Panico: il controllo che fa perdere il controllo

Pubblicato il   / Ansia e Depressione
Panico: il controllo che fa perdere il controllo

La leggenda narra che questo Dio greco, metà uomo e metà caprone, si divertiva a comparire all’improvviso lungo il cammino dei viandanti suscitando un terrore inaudito, per poi scomparire con grande lestezza. Questa leggenda evidenzia due caratteristiche indispensabili dell’attacco di panico, spesso ignorate o travisate: è improvviso e ha una durata molto limitata

Che cos’è un attacco di panico? L’attacco di panico è un periodo di paura intensa e improvvisa in assenza di vero pericolo; raggiunge il picco di massima intensità in circa 5-10 minuti e lentamente decade, con una durata complessiva non superiore ai 15-20 minuti. Nonostante sia estremamente limitato nel tempo, l’attacco di panico è uno tsunami psicologico: quando travolge, porta con sé un terrore sconvolgente; quando scompare, si lascia dietro un deserto colmo di angoscia e sofferenza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il disturbo di panico è una delle patologie psicologiche più diffuse, con un'incidenza della popolazione colpita pari ad almeno il 20%. Data la complessità della tematica, proviamo a fare un pò di chiarezza. 

Come si riconosce un attacco di panico? I sintomi, sia fisici sia psicologici, sono molteplici: dolore al petto, stordimento, capogiri, tachicardia, intorpidimenti delle estremità, difficoltà respiratoria o senso di soffocamento; meno conosciute ma coerenti con un quadro di panico sono le condizioni di derealizzazione e depersonalizzazione, sensazioni di scollegamento rispettivamente dall’ambiente circostante o dal proprio corpo, come se si stesse vivendo la propria vita dall’esterno. Oltre a una sintomatologia fisica estremamente invalidante si aggiunge una componente psicologica, connotata dalla paura di impazzire, di morire e di perdere il controllo. Ed è proprio il concetto di “perdita di controllo” che ci porta al secondo quesito. 

Come si arriva all’attacco di panico? Lasciate che vi racconti una breve storia. Un giorno un millepiedi incontra una curiosa formica la quale, sorpresa dalla sua scioltezza nel camminare, gli chiede: “Caro millepiedi, ma come fai a camminare così abilmente e in modo così grazioso con tutte quelle zampe?” Il millepiedi, perplesso e incuriosito dalla domanda, inizia a pensarci. Non trovando risposta, guarda le sue zampe mentre cammina, concentrandosi su ogni singolo movimento. Si sforza di capire, controllando sempre più accuratamente i suoi passi; così inciampa e... non riesce più a camminare. Proprio come il millepiedi ha tentato di controllare con la ragione e il pensiero qualcosa di automatico e di spontaneo, ovvero il camminare, se tentiamo di controllare le reazioni psicofisiologiche ugualmente spontanee e automatiche, il nostro corpo va in tilt. Per essere più precisi: se di fronte ad una reazione normale di paura o una reazione di attivazione, ad esempio conseguente ad una camminata veloce o ad una corsa, iniziamo a pensare “Senti come sta andando veloce il cuore? E’ un infarto!! Non è che sto per morire? Cosa sta succedendo? Non voglio stare male, non devo stare male. Devo assolutamente rallentare il cuore, il respiro…” otteniamo l’effetto paradossale dell’aumento della paura stessa. E’ la paura portata all’estremo: il panico, ovvero l’eccesso di controllo che fa perdere il controllo. 

Come si può evitare che la paura sana si trasformi in un attacco di panico? Una volta che la molla del panico scatta, l’unica cosa che si può fare è lasciare che segua il suo spontaneo decorso. Dobbiamo quindi evitare che la paura superi la soglia critica, determinando quella pericolosa escalation che trasforma una normale reazione di paura o ansia in panico. Ed è proprio questo l’obiettivo della tecnica della “peggiore fantasia”, strategia elaborata dal Prof. Giorgio Nardone, direttore e fondatore del Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo. Quando qualcosa spaventa, quando la paura o l’ansia influenzano la giornata, quando pensieri negativi e preoccupazioni disturbano la quotidianità, si dedichi mezz’ora di tempo alla “peggiore fantasia”. 

Ogni giorno, preferibilmente dopo pranzo, prendi una sveglia e impostala in modo che suoni dopo mezz’ora. Recati in un luogo della casa appartato, dove nessuno ti può disturbare. Abbassa le tapparelle, mettiti comodo e inizia a pensare volontariamente a tutte le tue peggiori fantasie, a tutto quello che può accadere di male, a tutto ciò che può andare storto. Sforzati di stare il più male possibile, sforzati di provare più ansia possibile, più paura possibile. In quella mezz’ora puoi fare tutto quello che vuoi. Se ti viene da gridare, puoi gridare; se vuoi imprecare, puoi imprecare; se vuoi piangere, puoi piangere. Una volta che la sveglia suona... stop. E’ tutto finito. Ti alzi, vai a lavarti il viso e riprendi la tua giornata.

La paura ha un funzionamento paradossale: se cerco di contenerla o di scacciarla, mi travolgerà. E se decidessi di toccare con mano i miei fantasmi per farli scomparire? 

Concludo l’articolo con una splendida frase di Martin Luther King, frase che non ha bisogno di spiegazioni o di commenti: “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio si alzò, andò ad aprire e non trovò nessuno”.