Caso clinico: la fame nervosa

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Fame nervosa

Lucia

Conosco Lucia nella primavera del 2017. Lucia chiede un consulto perchè stanca dei suoi "problemi alimentari": è sempre a dieta, in realtà intervalla periodi di diete durissime e proibitive a periodi in cui mangia continuamente e di tutto. Lucia è "vittima" e "prigioniera" di una fame incontrollabile e insaziabile. Lucia si percepisce grassa e brutta, odia il suo corpo, lo nasconde e lo imprigiona in abiti scuri e larghi. Lamenta una difficoltà a stabilire relazioni autentiche con gli altri e una scarsa assertività: incapace a dire "No", finisce spesso per sentirsi deufradata dei suoi diritti e dei suoi desideri. Spesso si sente prosciugata dagli altri, altri di cui avverte un bisogno immenso. Fin da piccola ha sempre pensato di non potercela fare da sola, di non riuscire a camminare con le proprie gambe. Tutto questo le crea un profondo disagio, un senso di vuoto e di solitudine che colma con il cibo.

Lucia è una giovane donna, lavora come impiegata amministrativa in una piccola azienda, un lavoro che non la soddisfa ma, che, adesso, pensa possa essere l'unico lavoro in grado di svolgere. Al momento non ha una relazione sentimentale e vive ancora con i genitori.

La storia di Lucia

Lucia è figlia unica, è stata voluta intensamente dai genitori, soprattutto dalla madre. Lucia arriva dopo diversi aborti spontanei. La storia di Lucia è costellata da piccoli traumi, ai quali, però, i genitori non sembrano aver mai dato importanza. Quando Lucia aveva all'incirca sei anni, la madre ha avuto un'improvvisa paralisi alle gambe davanti ai suoi occhi. A seguito di questo episodio, la madre viene ricoverata in ospedale per un lungo periodo. L'anno dopo Lucia assiste impotente ad un infarto del papà: il papà sopravvive, ma viene ricoverato in ospedale. Di entrambi gli episodi Lucia ha ricordi confusi, nei colloqui riporta solo un vissuto di profonda paura e di impotenza: "Nessuno mi ha spiegato cosa stesse succedendo, tutte e due le volte sono andata ad abitare dalla nonna, mi dicevano solo che non dovevo piangere, dovevo essere una bambina forte così mamma e papà potevano tornare presto dall'ospedale". Nei giorni successivi all'episodio dell'infarto, Lucia aveva avuto episodi di vomito frequente e ripetuto curato con un farmaco. A nessuno era venuto in mente che il vomito potesse essere anche una reazione somatica a ciò che era successo. Nella storia di Lucia sembra che i genitori abbiano avuto in mente solo il corpo della bambina. Da piccola, infatti, la bambina è stata sottoposta a molti accertamenti medici perchè non aumentava di peso e non cresceva in altezza. Lucia ricorda che quando non mangiava la madre si disperava e piangeva. Divenuta più grande, Lucia è sottoposta a diverse visite di controllo per accertare le cause dei frequenti mal di testa, i controlli non evidenziano cause mediche. Nella storia di Lucia sembra che ci sia stata un'attenzione particolare al corpo, ma poco spazio per la dimensione emotiva, come se tutto dovesse essere spiegato in termini medici e concreti, come se ci fosse una difficoltà a cogliere, a parlare dei vissuti emotivi di Lucia.

Il rapporto con i genitori

Lucia intimamente prova per la madre un amore profondo, ma anche una rabbia sorda e violenta. Fin da piccola ha sempre percepito la madre come una donna debole, bisognosa di essere protetta, una madre che non poteva "attaccare" perchè si sarebbe "rotta" in mille pezzi. Lucia è cresciuta con il timore e con la convinzione che dire "NO" può minare e rompere irrimediabilmente la relazione. Lucia doveva e poteva essere esclusivamente ciò che la mamma era in grado di vedere e di sostenere.

Il rapporto con il padre è al contrario tenero ed amorevole: "Per me mio padre è sempre stato un punto di riferimento, almeno fino all'incidente". Il padre è diventato inabile al lavoro inseguito ad un grave incidente, è caduto da un'impalcatura mentre stava costruendo una casa. In seguito a questo episodio, il padre cade in un profondo stato depressivo. Da quel momento per Lucia il padre non sarà più emotivamente accessibile.

Il percorso terapeutico: camminare insieme

In una fase iniziale della terapia Lucia era incapace di un qualsiasi gesto spontaneo, sembrava congelata nella postura e ripiegata su se stessa, come se volesse occupare il meno spazio possibile. Tendeva ad essere compiacente e seduttiva. In seduta mi sentivo imprigionata e soffocata in una bolla d'inautenticità, ero bloccata e affaticata. Probabilmente queste sensazioni che avvertivo, erano controtransferalmente ciò che provava Lucia nello stare in stanza con me: una persona estranea con la quale dover essere compiacente e seduttiva, per il timore di un legame con l'altro passibile di disconiscimento e frattura e, allo stesso tempo, per una inconscia preoccupazione relativa al contatto con il proprio sè nascosto.

Lucia inizialmente aveva difficoltà a raccontare quello che le succedeva. Passava da un evento all'altro della sua quotidianità senza soluzione di continuità, talvolta il suo pensiero ero frammentato e confusivo. Io mi perdevo come se improvvisamente mi venissero a mancare dei punti di riferimento. Capitava spesso, ad esempio, che non comprendessi bene quello che mi stava raccontando ed era necessario che l'aiutassi e la sostenessi nel racconto. Era come se ogni volta dovessi intervenire per ripulire e rimettere ordine nell'ingarbugliato intreccio di pensieri e di parole disordinate, per dare un senso e una continuità all'esperienza soggettiva nell'incontro di Lucia con il mondo. La sua narrazione era piatta, spenta, priva di una coloritura emotiva. Alcune mie domande che provavano a mettere l'attenzione non solo sugli eventi, ma sulle emozioni sottostanti, su come ci si potesse sentire per esempio in una situazione del genere, suscitavano sempre la stessa risposta automatica: "Bene". Era chiaro, però, che fosse una risposta vacua e prestabilita, era evidente che ci fosse una profonda carenza di contenuti emotivi. Era necessario che Lucia, prima di poter rispondere, imparasse a sentire ed io dovessi pormi come "soggetto vicario senziente" in modo che Lucia, all'interno di un'esperienza condivisa, potesse cominciare a prendere confidenza con le reazioni emotive di base (la rabbia, la gioia, la paura, la tristezza), potesse cominciare a farne esperienza, successivamente potesse riconoscerle e nominarle e infine interiorizzarle.

Una girandola di emozioni

Con il proseguire della terapia in Lucia comincia a farsi strada la possibilità di conoscersi attraverso la scoperta e/o il riconoscimento delle proprie caratteristiche, dei propri pensieri e delle proprie emozioni. In Lucia, la necessità di poter riconoscere la propria identità, ciò che la rende unica e che la identifica, al di là delle sue proiezioni deformanti, credo sia ben rappresentata dalla sua voglia e dal suo bisogno di raccontare e di raccontarsi. Attraverso un eloquio e un pensiero sempre più fluido e strutturato, Lucia, ha incominciato a parlarmi del suo mondo, di ciò che le piace e non le piace, di ciò che vorrebbe, ma che ancora teme, perchè può iniziare ad accedere al suo mondo interno, un mondo emotivo che inizia ad essere differenziato e popolato di poliedriche emozioni. Ha iniziato a pensare che forse potrebbe cambiare lavoro ed accettare la proposta di convivenza della sua collega di lavoro. Le relazioni con l'altro, a volte, sono ancora fonte di disagio, ma cominciano ad essere più fluide e più autentiche. Finalmente Lucia ha smesso la dieta, ha iniziato a prendersi cura di sè: si è iscritta in palestra, tollera qualche chilo in più concedendosi anche, senza tirannici sensi di colpa, qualche sgarro alimentare che non ha più la forma di un' abbuffata solitaria.

...scoprirsi creativi

Lucia si è aperta ad una dimensione creativa che si evidenzia chiaramente nel suo diverso modo di vestire, più colorato e originale e in una recente passione che, forse in un futuro prossimo, potrà concretizzarsi in un progetto lavorativo: ha iniziato a realizzare borse di stoffa su commissione, ogni borsa è unica perchè ispirata dal committente. Lucia è attenta ad una dimensione estetica prima completamente assente, probabilmente questo è possibile perchè come sostiene Winnicott (1970): "Per essere creativa una persona deve esistere e avere senso di esistere, non in maniera consapevole, ma come base di partenza per agire. La creatività, è allora, il fare che emerge dall'essere. Essa indica che colui che è, è vitale".

BIBLIOGRAFIA

  • Schore, A. N. (2003), "La regolazione degli affetti e la riparazione del Sè", Astrolabio, Roma
  • Winnicott, D. W. (1970). Trad. It. "Dal luogo delle origini", Cortina, Milano, 1990