Il segreto desiderio dell'anoressica

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Il segreto desiderio dell'anoressica


Trovare la libertà, il proprio modo di dirsi e raccontarsi, sottraendosi al detto altrui. E’ questo il desiderio segreto dell’anoressica. Non è la taglia 40 imposta in una società dove solo le top model sembrano essere felici ma, a provocare il sintomo, il desiderio di una propria libertà, di sottrarsi alle parole che la vogliono raccontare.

Parole che possono essere della madre, della famiglia, della Società, del sistema patriarcale. Una disperata e segreta ricerca di libertà quindi, di uno spazio di autonomia che, mancando delle parole per trovare una realizzazione si sviluppa tramite la restrizione alimentare.

Ma perché proprio con la restrizione alimentare?

Bisogna dire che l’anoressia parte innanzitutto da un disagio psicologico ed emotivo, è un modo con cui si reagisce a situazioni e vissuti dolorosi che possono nascere da delusioni in campo affettivo, lavorativo, scolastico, sociale, da difficoltà nei rapporti sentimentali o dalla scarsa adesione al nucleo familiare.

Ma tutto ciò origina sempre e comunque dal non riuscire a definirsi da sola ed essere definita da altri. E quindi siamo in presenza di un profondo disagio che non si può controllare. E per reagire al dolore si produce quindi un sintomo che, essendo sintomo, si può controllare: non si mangia!

Ma perché proprio il cibo e non per esempio una fobia qualunque, viene da chiedersi?

Il cibo ha una forte valenza simbolica e dovendo l’anoressica sottrarsi al detto altrui, il non mangiare acquista un particolare significato. Intanto il cibo è la prima forma di comunicazione del bambino con la madre. E poi scrive P. Lavanchy, medico e psicanalista: “L’alimentazione è normalmente un fattore d’integrazione dell’individuo nel gruppo o nella collettività. Tutti i riti di passaggio, battesimi, nozze, lauree, funerali, che segnano l’approdo del singolo ad una nuova appartenenza sono celebrate con un pranzo. Il mangiare assieme ha un significato affettivo di compartecipazione all’evento celebrato ma anche una funzione di accoglienza.

Gli invitati ai matrimoni sanciscono con la loro presenza l’ingresso degli sposi nella vita nuova. Scendendo a situazioni più quotidiane, anche il semplice pranzo serale in famiglia è una riaccoglienza nel gruppo dei membri sparpagliati nel mondo durante la giornata. Dal punto di vista del singolo, è una garanzia contro l’isolamento e l’emarginazione. Dal punto di vista del gruppo è un’affermazione d’identità. Il pranzo condiviso è quindi un elemento forte dell’ordine alimentare, quell’ insieme di pratiche sociali e antropologiche che ci distinguono dal mondo animale. Ma per le persone affette da disordini alimentari, il rito del pranzo alimentare suscita, comprensibilmente, un disagio che talvolta sfocia nella decisione di disertare la tavola comune.

Quindi non mangiando, l’anoressica taglia i legami con la madre, il padre, la famiglia la società e sancisce una protesta verso l’Altro inserito nel sociale e nella cultura sociale usando la primaria forma di comunicazione che ha imparato, forma di comunicazione che in molte famiglie continua a essere tale anche quando la bambina è grande (si usa esclusivamente l cibo per comunicare affetto)

In quale ambito origina l’anoressia?

All’interno della famiglia. L’orientamento sistemico sostiene che l’anoressica incarna un disagio nel sistema famigliare. La paziente si fa portatrice di un compito, ovvero non permettere l’evolversi delle relazioni del sistema che si in questi casi è invischiato in certe dinamiche rigide. Salvador Minuchin, pediatra, psichiatra e psicoterapeuta argentino, parla di quattro tipi di transazioni familiari sembrano favorire lo sviluppo di sintomi psicosomatici: l’invischiamento, la rigidità, l’iperprotettività, l’evitamento dei conflitti.

Il segreto desiderio dell'anoressicaNon mangiando la ragazza impedisce al sistema di evolvere (sono tutti concentrati su di lei, su un sintomo oggettivo e non pensano a modificare quello che crea disagio) rivendicando la sua autonomia da legami invischiati.

Ma il sistema famiglia è inserito in un contesto sociale e culturale da cui non si può prescindere.

Nella società attuale è presente una forte discrepanza tra il consumismo dilagante e il grande valore che viene sempre più attribuito all'autocontrollo. La magrezza assurge a simbolo di raffinatezza e di prestigio, di decoroso contenimento dei biso­gni. Sembra quasi un paradosso, ma nella moderna società opulenta esistono donne che si lasciano morire di fame, predi­cando una nuova forma di ascetismo: ottenere il piacere attraverso la negazione di sé –scrive-- Dott.ssa Arianna Nardulli in Anoressia: disturbo 'di moda'? - La restrizione alimen­tare compiuta dall'anoressica diventa quindi un modo per contestare la civiltà basata sul consumo e per proporre una ricerca di nuovi valori. L'anoressia si configura pertanto come un’esaltazione della nuova immagine di donna libera e autonoma, capace di esercitare un controllo ferreo su se stessa e sui propri bisogni".

L’anoressia riguarda per la maggior parte dei casi le donne.

Perché?

Di solito sono le donne che, fino a pochi anni fa e purtroppo ancora tutt’ora, sono state raccontate e sono raccontate da altri (nella maggior parte uomini) con linguaggi appartenenti al sistema patriarcale.

Scrive Ida Dominjianni, giornalista del manifesto, intellettuale e impegnata nel movimento delle donne: “non torna l’interpretazione sempliciona e deterministica dell’anoressia come malattia tutta e solo indotta da canoni estetici dominanti, che di conseguenza colpisce una popolazione femminile subalterna a quei canoni, vittima destinata e inconsapevole di chi li confeziona e glieli impone. Non torna quel gran vocio confuso e aggressivo che si condensa, ancora una volta, a fare e disfare la norma della donna “giusta”…Tutti dicono che l’anoressia ha sostituito, a fine 900, il sintomo isterico di fine 800; ma pochi s’interrogano su come e perché questa sostituzione sia avvenuta e che cosa segnali quanto alle trasformazioni della soggettività femminile avvenute nel corso di un secolo. Prendersela con l’industria della moda esenta da più fini interpretazioni di ciò che quel sintomo di estrema magrezza “vuole dire”, in un mondo dominato dall’estrema grassezza di tutto: consumo, potere, soldi. Annegare l’anoressia nel mare magnum del culto narcisistico del corpo nella società dell’immagine, nega l’evidenza che l’anoressia il corpo non lo coltiva ma lo rifiuta. Trattare le anoressiche come un esercito di vittime ignare delle altrui strategie, distoglie lo sguardo dalle perverse strategie di libertà che con la loro insostenibile leggerezza autolesionisticamente tentano. Abbagli su abbagli, come sempre quando il vocio sulle donne si sostituisce all’ascolto di quello che le donne non dicono, o dicono come possono.”(articolo apparso sul “Manifesto” il 21 novembre 2006).

Il discorso è molto più ampio rispetto la classica attribuzione a un legame simbiotico con la madre. Certo anche quello c’entra, si parte da lì in molti casi, ogni teoria, ogni narrazione ha la sua verità. Il mio discorso è di considerare l’anoressia come una ricerca da parte della ragazza di un modo di raccontarsi e dirsi sottraendosi a chi vuole parlare per lei sia essa sua madre, la sua famiglia, la società, il patriarcato.