Il colloquio nella relazione d'aiuto

Cosa succede in seduta? Cosa si fa dallo psicologo?

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Il colloquio nella relazione d'aiuto

Rogers (1951) definisce la relazione di aiuto come una “relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato. L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole una relazione d’aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei due partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore libertà di espressione.”

Il colloquio è un processo interattivo che ha luogo tra almeno due persone, diverso dalla conversazione in quanto l’interazione è finalizzata al conseguimento di un obiettivo predeterminato. “Il colloquio è un incontro tra una persona che soffre e cerca aiuto e un’altra che si suppone in grado di fornire aiuto e cui è richiesto qualcosa in più del semplice ascolto”.

Il colloquio clinico iniziale ha come prima finalità, l’esame del problema: tende ad identificare e specificare il problema del paziente e a collocarlo all’interno di un più ampio scenario costituito dalle problematiche e dalle caratteristiche complessive del paziente, sia a livello individuale sia a livello familiare e socio-relazionale.

Il colloquio non è una procedura passiva e nemmeno un processo induttivo, ma al contrario è un processo prevalentemente ipotetico-deduttivo: si parte da una base di conoscenza di carattere generale, si passa attraverso un processo di selezione/esclusione di ipotesi, si perviene a una formulazione specifica, che è indicata appunto come ‘formulazione’ o ‘concettualizzazione’ del caso e che opera il massimo di restringimento del ventaglio delle ipotesi.

Il colloquio utilizza, in primo luogo, materiale verbale ed esplora il sistema cognitivo-verbale. In secondo luogo, il colloquio rappresenta un setting di osservazioni specifico e ben strutturato. Infine, il colloquio costituisce un esempio di comportamento interpersonale significativo: consente perciò l’analisi delle variabili di relazione che si stabiliscono tra paziente e terapeuta.

Psicologia: Il colloquio nella relazione d'aiutoBenché sia invalso l’uso di parlare di primo colloquio, è più realistico parlare di un breve ciclo di colloqui clinici: una prassi abbastanza comune prevede 2-3 colloqui nel corso dell’ assessment iniziale.

Un’altra finalità del colloquio è quella di stabilire una relazione collaborativa con il paziente. Il colloquio va al di là del semplice ascolto: empatia e identificazione sono un risultato che si costituisce durante il colloquio, non un a priori metodologico.

Possiamo dire che l’essenza del colloquio è “avere informazioni per dare informazioni”.

Topografia dei colloqui iniziali.

Un colloquio ha di regola un basso livello di strutturazione: non esiste un ordine prestabilito degli argomenti e delle domande, sono le ipotesi e i dati a determinare la sequenza.

Presupposti.

Il colloquio è reso possibile da uno specifico contesto motivazionale, nel quale:

  • esiste una richiesta di aiuto psicologico;
  • esiste un professionista con una propria competenza tecnica;
  • è condivisa l’idea che il colloquio non è una terapia e che è improbabile che dia luogo a una qualche forma di sollievo immediato;
  • esistono delle aspettative (condivise) circa la possibilità di ricevere/fornire aiuto, direttamente o indirettamente.

Questi presupposti sono impliciti nel contesto e nel setting e rimandano alle vicende che hanno portato al colloquio.

Fase dei preliminari.

Il colloquio prende avvio con alcuni limitati convenevoli che sono del tutto sovrapponibili ai consueti riti sociali. Se esistono degli antefatti vengono richiamati, o per essere riassunti ed esplicitati o per essere messi tra parentesi. Se il contesto è equivoco deve essere definito.

Apertura.

In linea di massima, il colloquio prende avvio con una domanda molto aperta del tipo: “Qual è il problema?” o una qualsiasi informazione equivalente.

Specificazione del problema.

Si tratta di ottenere un’ampia e precisa descrizione del problema lamentato attualmente dal soggetto. L’enfasi è posta su ciò che una persona fa, pensa e prova nelle diverse situazioni piuttosto che su attributi che la persona possa avere globalmente. Affermazioni come “sono ansioso” o “sono depresso” vengono articolate in esemplificazioni e descrizioni multidimensionali: cosa vuol dire “ansioso” o “depresso” sul piano della risposta cognitiva (per esempio,quali pensieri attraversano la sua mente), sul piano della risposta psicofisiologica (cosa sente, palpitazioni o altro) o sul piano della risposta comportamentale (cosa fa e cosa non fa).

Analisi delle variabili funzionalmente correlate (fase delle ipotesi di mantenimento)

Questo segmento del colloquio tende, innanzitutto, a individuare (eventuali) situazioni (stimoli) che possono fungere da antecedenti e avere un ruolo determinante nell’elicitare i disturbi. Si aggiunge poi la cosiddetta analisi dei conseguenti: i comportamenti problematici del paziente sono seguiti da conseguenze di ordine interno, di ordine familiare, di ordine sociale. Queste conseguenze possono essere elementi cruciali nel mantenimento di dati comportamenti e di dati disturbi.

Gli approfondimenti procederanno poi allargandosi a tutte quelle variabili che possono modulare l’intensità, la frequenza, il grado di interferenza, che problemi/disturbi presentano.

Allargamento (fase dei problemi attuali).

Si tratta di un allargamento ai problemi attuali e le domande sono volte a individuare e specificare tutti i problemi, al di là del problema iniziale.

Storia dei problemi (fase delle ipotesi eziopatogenetiche).

Questa fase tende alla ricostruzione del primo insorgere dei problemi, della prima crisi, dei primi disturbi. Il conduttore tende a ripercorrere l’evoluzione di ciascun problema o disturbo cercando di cogliere i fattori di interazione con altri problemi o disturbi.

L’obiettivo è quello di formulare ipotesi che spieghino perché e come si sia sviluppato ciascun disturbo e perché si sia mantenuto fino al momento presente. Le ipotesi che si sviluppano in questa fase mettono in rapporto tra di loro i diversi disturbi e problemi che il paziente presenta.

Storia personale (fase del profilo complessivo).

Questa parte del colloquio mette tra parentesi gli elementi problematici e patologici che caratterizzano la storia clinica e cerca di ripercorrere la storia personale del paziente. Gli approfondimenti tendono ad una ricostruzione a tutto tondo del caso, della sua storia di vita, dei progetti e delle intenzioni che la percorrono. In complementarietà con la fase precedente, questa serie di approfondimenti tende a identificare i fattori di vulnerabilità presenti nella storia personale del paziente. Lo stile di questa parte tende ad essere abbastanza rievocativo e rilassato. Questa attenzione alla storia personale e all’anamnesi psicologica tende ad occupare una parte sempre piuttosto ampia nell’economia generale dei colloqui iniziali, tanto che alcuni vi dedicano tutto un colloquio, in genere il secondo.

Aspettative di trattamento.

Essendo già ormai delineata e contestualizzata la domanda del paziente, è ora possibile approfondire le sua aspettative riguardo al trattamento e ai suoi risultati. L’analisi delle aspettative è qualcosa di più ampio della valutazione della motivazione al trattamento. Il trattamento psicologico può significare un progetto di cambiamento e può implicare una disponibilità al cambiamento e una elasticità superiore a quanto il paziente possa affrontare.

Ipotesi di trattamento.

La parte finale del colloquio è volta alla precisazione di obiettivi di trattamento possibili e realistici sia per il breve sia per il lungo periodo.

Questo segmento del colloquio è volto parimenti alla raccolta dei dati necessari per valutare le diverse opzioni terapeutiche. La scelta delle tecniche è funzione, da una parte, degli specifici obiettivi, dall’altra, della strategia terapeutica globale.

Una buona tecnica deve essere atta a far fronte ai problemi del soggetto specifico in maniera efficace e duratura; inoltre, i benefici così ottenuti devono poter essere agevolmente generalizzati ad ampi aspetti della situazione di vita abituale del paziente e facilmente mantenuti nell’ambiente familiare e sociale in cui si trova o si potrà trovare.

Formulazione conclusiva e chiusura.

Lo psicologo richiama il filo logico dei colloqui svolti e dà ampie informazioni sui risultati principali di tutte le analisi che li hanno integrati.

Prospetta poi la propria formulazione del caso: espone una ricostruzione molto generale dei principali meccanismi che possono aver dato origine ai problemi/disturbi in esame. Indica le principali variabili che mantengono la situazione attuale, sollecita il paziente a fargli domande. Naturalmente presenta la propria formulazione con un linguaggio colloquiale, quanto meno tecnico possibile. Specifica che si tratta di ipotesi e precisamente delle ‘sue’ ipotesi. A questo punto passa ad illustrare le ipotesi di trattamento e riprende con chiarezza gli obiettivi e le aspettative che il paziente può nutrire e mette in risalto gli elementi di sovrapposizione e gli elementi di differenziazione. Se lo psicologo intravede diverse alternative terapeutiche, le prospetta al paziente e lo incita a prenderle in considerazione. Invita il paziente a fare domande e a considerare vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni di trattamento. Esiste una cesura sia logica sia temporale tra la conclusione dell’ assessment e l’inizio della terapia eventuale.

Solo a questo punto lo psicologo ha esaurito il suo compito come diagnosta e scioglie la propria riserva iniziale relativamente all’eventuale presa in carico.