Diverse modalità per individuarsi

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individuazione - terapia analitica

L'individuazione è l'obiettivo della psicologia analitica. Il termine "individuazione" indica un processo psicologico che adempie destini individuali dati, ossia che fa dell'uomo quel determinato essere singolo che è (Jung, 1928, p. 174). Individuarsi significa diventare un essere singolo, diventare sé stessi, attuare il proprio Sé (ivi, p. 173). L'individuazione, da non confondere con l'individualismo, implica un migliore e più completo adempimento delle destinazioni collettive dell'uomo (ibidem). L'individualismo, invece, è un mettere intenzionalmente in rilievo le proprie presunte caratteristiche in contrasto coi riguardi e gli obblighi collettivi (ibidem).

Il processo di individuazione è un processo, attivo lungo tutto il corso dell'esistenza individuale, attraverso il quale l'Io tende a differenziarsi dalle altre istanze endopsichiche e a integrarsi in un rapporto peculiare con gli altri elementi basilari della psiche (Aversa, 1996, p. 230). Infatti, tale processo è caratterizzato da 5 tappe: 1) l'incontro con la Persona; 2) l'incontro con l'Ombra; 3) l'incontro con l'Anima/Animus; 4) l'incontro con il Puer e il Vecchio Saggio; 5) l'incontro con il Sé. È, appunto, dal conflitto tra le varie componenti della psiche (Persona, Ombra, Anima/Animus, Puer e Vecchio Saggio) che si giunge alla Totalità, ovvero, al Sé. C'è da dire che, fare i conti con l'inconscio comporta un processo o, a seconda dei casi, anche una sofferenza o un lavoro, cui è stato dato il nome di funzione trascendente (Jung, 1917/1943, p. 81).

È possibile giungere all'individuazione in vari modi. In Occidente viene utilizzata la psicoterapia e in modo particolare la psicologia analitica, che utilizza strumenti come l'immaginazione attiva, in Oriente viene utilizzata la meditazione e in modo particolare lo yoga. Bisogna, però, stare attenti ad utilizzare queste tecniche. Per esempio, un individuo orientale (tendenzialmente introverso) potrebbe trovare difficoltà nella applicazione di tecniche tipiche del mondo occidentale (tipicamente estroverso), viceversa, un individuo occidentale (tendenzialmente estroverso) potrebbe trovare difficoltà durante la pratica di esercizi e tecniche tipiche dell'Oriente (tipicamente introverso).

La tecnica dell'immaginazione attiva indica un processo attraverso il quale conscio e inconscio si incontrano e dialogano tra loro. Essa, per certi versi, può essere paragonata ad una sorta di sogno ad occhi aperti nel quale l'Io cosciente partecipa attivamente (per questo motivo viene definita immaginazione "attiva"). Le immagini e quindi i contenuti simbolici costituiscono il materiale di partenza che sarà oggetto a elaborazione. Tali immagini possono riferirsi ad un sogno o ad una particolare scena della propria vita che abbia indotto una particolare emozione. Esse sono espressione del proprio mondo interno e, quindi, della propria Ombra. Durante la pratica dell'immaginazione attiva è importante comportarsi verso le immagini come se fossero la realtà vissuta e accettarne la logica interna. Ciò che rende l'immaginazione attiva una tecnica significativa è la coscienza per il soggetto di vivere il suo dramma personale attraverso questa scena interiore. Questo metodo dovrebbe fondare un rapporto diretto con l'inconscio ed è utile a neutralizzare, relativamente, la coscienza e, quindi, spingere i contenuti interni a svilupparsi. Attraverso l'immaginazione attiva è possibile scoprire l'archetipo.

Ciò che differenzia l'immaginazione attiva dalle altre tecniche immaginative è che l'Io non si mette nei panni di un personaggio, come può accadere in uno psicodramma. L'Io si rivolge ad un'immagine dell'inconscio e aspetta una risposta da parte di questa immagine, risposta che non può essere prevedibile. Proprio per questo motivo, tale metodo può essere considerato una tecnica rischiosa in quanto sollecita artificialmente l'emersione dei contenuti inconsci. Infatti, l'utilizzo dell'immaginazione attiva è consigliato solo dopo che, in analisi, l'analizzando abbia raggiunto un rapporto non perturbante sia con le sue immagini sia con i suoi pensieri inconsci. Nei casi più gravi, soprattutto di psicosi latente, l'uso di questa tecnica è sconsigliato in quanto potrebbe attivare dei contenuti inconsci aventi una carica energetica tale da sopraffare l'Io. Secondo Jung, l'immaginazione attiva va praticata preferibilmente da soli per permettere un contatto diretto con il proprio inconscio. Egli, però, aveva accolto anche la possibilità di praticare tale tecnica alla presenza dell'analista. L'immaginazione attiva all'interno dello spazio analitico può offrire maggiori garanzie di sicurezza. L'importante è che l'analista non intervenga con suggerimenti o domande.

In origine lo yoga era un processo naturale d'introversione che assumeva tutte le variazioni individuali possibili. Simili introversioni conducono a processi interni caratteristici che trasformano la personalità (Jung, 1936, p. 547). Lo yoga è un metodo pienamente adatto a fondere insieme corpo e spirito fino a farne un'unità difficilmente contestabile, e creando una disposizione psicologica che permette intuizioni trascendenti la coscienza (ivi, p. 544). In Occidente l'equivalente più significativo dello yoga è costituito dagli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola che consistono in forme di meditazione, di esame di coscienza, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale e di altre attività spirituali praticate in un'atmosfera di raccoglimento dove potrà agire lo Spirito Santo. Secondo Jung anche alcuni metodi psicoterapeutici moderni, ed in particolare la psicologia analitica, si avvicinano allo yoga.

Ad esempio, il processo analitico crea un ampliamento della coscienza, in analogia con lo yoga, per il fatto che la coscienza è separata dai propri oggetti. Questo processo è strettamente collegato al processo di individuazione. È come se la coscienza si separasse dagli oggetti e dall'Io e migrasse nel non-Io, nell'altro centro, estraneo, anche se, originariamente, proprio (Romano, 2005, p. 78). Inoltre esiste una interessante analogia tra la tecnica dell'immaginazione attiva e lo yoga. La prima è un confrontarsi di una di quelle due modalità psichiche che vengono chiamate conscio e inconscio (Jung & Wilhelm, 1972, p. 145). Sia nell'immaginazione attiva che nello yoga si concentra l'attenzione. Nella prima la si porta su qualsiasi immagine, stato d'animo, porzione corporea venga alla mente. La fantasia che si sviluppa è di conseguenza molto personale, coinvolgente, presuppone la partecipazione dell'Io e provoca quindi adeguate emozioni (Romano, 2005, p. 108). Ciò è un modo importante per mettere in relazione l'Io e l'inconscio e rappresenta, secondo Jung, lo strumento per superare completamente il transfert con l'analista poiché, attraverso l'immaginazione attiva, si ritirano le immagini archetipiche proiettate. La meditazione orientale, invece, mira a tutt'altro scopo: tende a qualcosa di trascendente, svincolato da questioni personali e problemi contingenti. La meta è lo stato di pura coscienza, “l'illuminazione” (ibidem). L'illuminazione, satori, è l'essenza dello Zen e ha come obiettivo la ricerca del “conosci te stesso”, ovvero, la conoscenza della natura di un individuo. Un po' come la psicologia analitica, l'illuminazione consiste nel divenire consci di ciò che è inconscio per allargare la propria coscienza. Suzuki (1960) parla dell'uomo Zen come di colui che è in comunione diretta con l'inconscio. L'illuminazione non indica uno stato di trance ma uno stato nel quale la persona si trova in completa armonia nella sua totalità.

Riguardo all'utilizzo dello yoga, Jung (1954) ci mette in guardia dicendo che:

«Chiunque si accosti allo yoga dev'essere cosciente di quanto esso lo porterà lontano, se non vuole che la propria avventura spirituale rimanga un futile passatempo».

Egli ritiene che le forme di yoga e di meditazione più avanzate siano pericolose perché, invece di favorire l'integrazione dell'Io nel Sé, sfociano in una condizione in cui l'Io si disintegra, viene inghiottito dal Sé e scompare (Romano, 2005, p. 46). L'Io deve esistere, altrimenti: «se non esiste un Io, non c'è nessuno che possa essere consapevole di qualche cosa (ibidem)». Nella meditazione, infatti, è l'Io che va oltre, che si trascende (ivi, p. 129).

Lo psicologo svizzero (1936) scriveva che:

«(L'occidentale) farà immancabilmente un cattivo uso dello yoga, perché la sua disposizione psicologica è completamente diversa da quella orientale. (...) L'indiano non può dimenticare né il corpo né lo spirito; l'europeo dimentica sempre o l'uno o l'altro. (...) In Occidente, lo sviluppo spirituale ha seguito vie del tutto diverse da quelle dell'Oriente, preparando un terreno del tutto sfavorevole alla pratica dello yoga».

È curioso il commento di Jung e Wilhelm (1972), i quali criticano l'europeo dicendo che:

«È così penoso vedere l'europeo rinunciare a sé stesso e imitare in modo affettato l'Oriente. Egli invece avrebbe la possibilità di realizzazione molto maggiore se, restando fedele a sé stesso, sviluppasse dalla propria indole e dalla propria natura ciò che l'Oriente ha generato nel corso dei millenni».

L'unica provata possibilità che Occidente e Oriente si comprendano, sembra proprio essere la testimonianza della coscienza delle due esperienze – yoga e analisi – nella stessa persona (Romano, 2005, p. 132). Chi vuol conoscere veramente l'anima, attraverso la psicologia analitica di Jung pratichi l'analisi; che vuol conoscere veramente lo spirito, attraverso la cultura orientale pratichi la meditazione (ivi, p. 133). La cosa certa è che entrambe le discipline, prima o poi, andranno a svegliare un qualche mostro, ovvero, una parte d'Ombra.

 

Bibliografia:

  • ADORISIO, A.: L'immaginazione attiva: origini ed evoluzione, in Quaderni di cultura junghiana, anno 2, numero 2 - 2013
  • AVERSA, L. (a cura di).: Fondamenti di psicologia analitica. Bari: Laterza 1996
  • FROMM, E., SUZUKI, D.T. & DE MARTINO, R.: Psicoanalisi e buddhismo zen, (1960), Roma: Astrolabio Ubaldini Editore 1968
  • JUNG, C.G.: Psicologia dell’inconscio, (1917/1943), in Opere vol. VII: Due testi di psicologia analitica. Torino: Bollati Boringhieri 1993
  • JUNG, C.G.: L’Io e l’inconscio, (1928), in Opere vol. VII: Due testi di psicologia analitica. Torino: Bollati Boringhieri 1993
  • JUNG, C.G.: Lo yoga e l’Occidente, (1936), in Opere vol. XI: Psicologia e religione. Torino: Bollati Boringhieri 1992
  • JUNG C.G.: Commento psicologico al “Libro tibetano della grande liberazione”, (1954), in Opere vol. XI: Psicologia e religione. Torino: Bollati Boringhieri 1992
  • JUNG, C.G., WILHELM, R.: Il segreto del fiore d'oro, (1972), Torino: Bollati Boringhieri 2001
  • ROMANO, A. (a cura di). (2005). Jung e l'Oriente. Bergamo: Moretti & Vitali