Chi sopravvive meglio all’allarme del Covid-19?

L'individuo che sa attivare strategie e meccanismi più funzionali all'epoca del Coronavirus

Pubblicato il   / Psicologia e dintorni
Chi sopravvive meglio all’allarme del Covid-19?

Il ventaglio di questa casistica psicologica si presenta diversificata, complessa ed articolata.

Ne rappresenta un esempio il/la bambino/a che ha dovuto confrontarsi durante le fasi della propria crescita con uno o entrambi i genitori trascuranti; il/la bimbo/a si presentava in classe senza la merenda, perché la mamma aveva per l'ennesima volta dimenticato di acquistarla, oppure si tratta di quel/quella bambino/a cui mancava pressoché regolarmente il materiale di educazione tecnica, ossia gli strumenti (le squadre, le matite tecniche, il compasso, eccetera) perché ritenuto di "secondaria importanza" dal genitore, senza che quest'ultimo riuscisse a comprendere il disagio del/della ragazzino/a nel presentarsi regolarmente sprovvisto/a agli occhi del professore, dei propri coetanei e (di non secondaria importanza) messo/a nell'impossibilità pratica di apprendere ed impratichirsi allo stesso passo degli altri allievi nel programma didattico, o ancora, a cui al principio dell'inizio scolastico mancavano i testi di studio, poiché il genitore non aveva provveduto in tempo opportuno a farne la prenotazione e l'acquisto.

Il/la bambino/a a cui ballonzolavano i pantaloni in quanto, nel condivisibile ed apprezzabile sistema di riciclaggio degli abiti usati operato presso la famiglia, non vi era stata la cura di riadattare le misure e la taglia a lui/lei, oppure, ancora, quel/quella fanciullo/a abituato/a a stare con i calzini bagnati, poiché vi era esigua o mancata cura genitoriale nel recapitare le scarpe logore, bucate, in riparazione: quel/quella bambino/a ne accusava via via un disagio soggettivo progressivamente ridotto, quasi fino a sviluppare l'abitudine alla percezione di quei piedi bagnati.

Negli esempi sopra delineati si evidenzia un quadro di trascuratezza nella gestione della cura o dell'assistenza, poiché le esigenze infantili non sono "viste", colte, rilevate dall'adulto, oppure, non sono interamente comprese (il genitore può "non vedere" che quel pantalone riciclato veste due taglie in più al girovita, oppure potrebbe non ritenere importante e significativo che il/la figlio/a si presenti con tutti i materiali scolastici elencati dai rappresentanti d'istituto, poiché di una materia che lui ritiene ‘secondaria’ eccetera eccetera).

Con discreta probabilità, quel/quella bambino/bambina ha sviluppato delle capacità di resilienza che gli/le consentono nell'età adulta di fronteggiare con maggiore abilità e tenuta psichica le richieste di adattamento sociale, rinunce, eventuali privazioni.

Vi sono contesti familiari nei quali, più che la trascuratezza nell’erogazione della cura, emergono incoerenza e inaffidabilità del genitore; si tratta di quei bambini, ad esempio, il cui genitore dimentica sovente di andare a prenderlo a scuola.

Essi sviluppano un sentimento di sfiducia, queste creature si affacceranno sull'uscio della scuola elementare con l'ansia profonda di essere stati abbandonati; quando va bene, invece, si affacceranno quantomeno con il dubbio e la grande incertezza che questa volta il genitore si presenti, a dispetto dell'eventualità di doverlo attendere, per alcuni minuti o per alcune ore, insieme al collaboratore scolastico di turno.

Questo/questa bambino/a ha imparato a relazionarsi con un adulto su cui non poter fare affidamento, a causa di un'instabilità psichica del genitore stesso, ad esempio un genitore depresso, oppure un genitore alterato dall'impiego di sostanze, oppure impossibilitato, per ragioni che noi non conosciamo, a reperire ─quell'energia, ─quella disponibilità mentale e ─quell'assetto psichico fondamentali ad occuparsi del/della figlio/a.

In talune circostanze, il genitore risulta incoerente: a fronte di un sintomo fisico del/della figlio/a, egli si precipiterà dal pediatra manifestando allarmismo, apprensione e grave preoccupazione, pur tuttavia non si atterrà alle somministrazioni dell'antibiotico prescrittogli, evidenziando una scarsa adesione alle cure ed alle indicazioni del pediatra, dando prova di mutevolezza del grado di importanza attribuito alla condizione fisica del/della bambino/a, oppure (nella migliore delle ipotesi), scarsa comprensione del piano terapeutico concernente il trattamento medico del/della figlio/a.

Il genitore incoerente esprimerà dichiarazioni contrastanti con riguardo all'importanza del/della figlio/a di attenersi all'allenamento sportivo:

il giorno settimanale dell'allenamento di calcio, di danza, o di qualunque altro sport cui il/la fanciullo/a sia stato/a iscritto/a, il genitore "cambierà idea", poiché in un'occasione sosterrà che: "Lo sport è pratica di vita e disciplina irrinunciabile per la crescita", in altra dichiarerà: "Ma chi se ne importa, anche se perdi l'allenamento, io mi stufo a portarti fino a là", poiché lo stesso genitore risulta forse appesantito dalle incombenze quotidiane, percepisce la fatica emotiva e la difficoltà psicologica di occuparsi con regolarità di tutto quanto afferente la crescita e lo sviluppo del/della proprio/a figlio/a, (dunque, le operazioni di prendere l'auto e portare il/la figlio/a all'allenamento saranno in alcuni momenti per lui onerose, insostenibili).

Sussiste poi il genitore che espone il/la proprio/a figlio/a ai pericoli: lasciarlo/la giocare sul ciglio di strade trafficate di automobili, lasciarlo/la in balia di soggetti terzi che frequentano gli adulti di casa, il cui comportamento ed azioni non paiono sicuri o degni di fiducia.

Questi/queste bambini/bambine non si sentono protetti dagli adulti di riferimento.

Il/la bambino/bambina impara in questa cornice a galleggiare anche in una condizione di imprevedibilità, laddove, egli/ella diffida anche delle ragioni accampate dal genitore, dunque "resiste" ed attende che la realtà si mostri ai suoi occhi, perché la realtà letta o riportata dal genitore, non sarà credibile.

Quel/quella bambino/a divenuto/a adulto, oggi, sa sostenere il dubbio e l'incertezza.

Applicato al contesto corrente, quel/quella bambino/a divenuto/a adulto saprà reggere l'imprevedibilità di comunicazioni mediatiche spesso contrastanti, in una situazione politico-sanitaria in continua evoluzione, egli/ella talvolta inconsapevolmente nutre anche un senso di mancata fiducia verso l'autorità o le fonti organizzative ufficiali.

Un/una bambino/a che si sia confrontato/a con un tale genitore, potrebbe avvertire persino preferibile la circostanza del trovarsi da solo/a, nella misura in cui egli/ella percepisce di disporre di un controllo più fine, di una padronanza sugli eventi maggiore, quando operata da sé, piuttosto che dipendere da un adulto siffatto.

Quel/quella bambino/a divenuto/a adulto, presumibilmente, patirà meno la richiesta di isolamento imposta dalle recenti normative, finalizzate all'evitamento di contagio da Coronavirus.

Nell'epoca corrente connotata da un rischio di contagio da Covid-19 e dall'emergenza di richieste ambientali di rinuncia ai comfort antecedenti, alla libertà di movimento, e di ri-adattamento plastico e continuo indotto dalle notizie epidemiologiche in evoluzione, un adulto che ha sviluppato, suo malgrado, delle abilità di resilienza potrebbe stare a galla con maggiore disinvoltura, disporre di strumenti adattativi e di una migliore tenuta psichica, posto di fronte a • incertezza • imprevedibilità • criticità di cura (intesa quale oggettiva difficoltà di un massivo intervento sui grandi numeri).

Dedico uno spazio saliente, al/alla bambino/a che ha ricevuto attacchi e colpi alla propria autostima, poiché si è confrontato con un genitore (o entrambi i genitori) svalutante, squalificante, denigratorio:

"Tanto non ce la fai.".

"Fai schifo.".

"Non combinerai mai niente di buono.".

"Sicuramente se lo fai tu, verrà fuori un pasticcio da buttare via...".

"Sei nato sbagliato.".

"Non sai fare niente, non hai talenti e non hai nessuna capacità!".

Questa creatura, qualora riesca a non soccombere ad una tale sopraffazione psichica, che diviene (dal mio personale punto di vista squisitamente soggettivo) un'autentica e macroscopica violenza, un abuso psicologico, metterà in campo delle capacità di resilienza che potrebbero acquisire la connotazione di un sentimento di 'forza morale', di invincibilità:

sono quei bambini che divengono degli adulti determinati, caratterizzati da caparbietà e senso di immunità.

Inconsapevolmente è come essi dicessero "a me non accadrà mai nulla", applicato alla situazione contingente, potrebbero pensare:

"Questo virus non colpirà di sicuro me",

oppure: "Certamente io non lo prendo", "Io sono forte!".

Questi individui si sono ripetuti, per meccanismo difensivo di autorinforzo o di tipo autoconsolatorio, un innumerevole quantitativo di volte:

"Ce la faccio! Ce la faccio! Ce la faccio!” "Sono forte!", per contrastare le offese, le ingiurie, le squalifiche e, ad oggi, hanno sviluppato un sentimento di invincibilità, o di superiorità inconscia.

Il rischio per questi soggetti è l'autosopravvalutazione, essi rischiano di scivolare nella tendenza megalomanica, laddove operano un sovradimensionamento delle proprie competenze e delle proprie qualità.

Tale meccanismo è servito come antidoto al sentimento di annichilimento, al sentimento depressivo e alla paura mortifera di non farcela.

ATTENZIONE! Accanto a questi piccoli soggetti, i quali, dentro contesti familiari permeati da trascuratezza, nutriti di svalutazione, alimentati da imprevedibilità anche sui programmi pragmatici più semplici, abitati da adulti di esigua affidabilità e precaria stabilità emotiva, sono riusciti a mettere in campo abilità di resilienza, sussiste un imponderabile quantitativo di individui che non ha potuto strutturarle.

Costoro, versano in una condizione di profonda angoscia e vivono, analogamente-parallelamente il rischio socio-politico-sanitario corrente, indotto dall'avvento del Coronavirus, sviluppando stati di analogo disagio psichico.

Questo tipo di soggetto mal patisce l'imprevedibilità dei dati epidemiologici sui quali gli esperti non possono ad oggi ancora definire una stima (nella misura in cui trattasi di un virus non conosciuto), non tollera lo stato di isolamento e separatezza dagli altri (che lui/lei percepisce come solitudine non liberatoria, bensì condizione abbandonica).

A dispetto dei "bambini invincibili", lui sente una parte di sé piccola, fragile, vulnerabile, bisognosa.

Non ha sviluppato un'abilità di adattamento a fronte della penuria di risorse psichiche e materiali (tipiche del contesto della trascuratezza), dunque mal patisce ogni rinuncia, ogni privazione, che vive come il riattivarsi di un dolore profondo.

Questi individui adulti oggi vivono con difficoltà il non recarsi a supermercati o altri negozi ogni giorno, in quanto per loro l'acquisto di beni ha la valenza, il significato inconscio, di occuparsi di sé senza interruzioni, senza "carenze", senza sbavature difettose.

Per costoro, le richieste imposte dalla situazione attuale del rischio di contagio rappresentano la riattivazione di un dolore antico, una sofferenza psichica genuina e massiccia. Per questi Soggetti, l'ansia che sperimentano deve emergere, va riconosciuta: ricollochiamola, diamole una veste, una rilettura, una rielaborazione alla luce degli eventi attuali, che tuttavia vanno a riaccendere nostri nuclei antichi poderosi e imponenti.

Guardiamoci dalle banalizzazioni di taluni messaggi.

L'esondazione fluviale di messaggi mediatici "non serve andare in ansia" rischia di non tenere in debita considerazione la profondità del disagio psichico di molti dei nostri pazienti, i quali, oltre al dolore straziante correlato alla loro storia di vita, "non si sentono capiti", si sentono "diversi", "non compresi" dai messaggi dominanti ripetuti.

Per questi individui, che faticosamente si sono confrontati con genitori trascuranti, inaffidabili, precari, svalutanti, squalificanti e incoerenti, i quali hanno strutturato meno abilità di resilienza dei primi (descritti ad inizio articolo), per costoro, l'obbligo di stare a casa può rappresentare la riapertura di una sofferenza antica, forse divenuta rimossa dalla consapevolezza, che traducono in quel "vago senso di insofferenza alle mura di casa", in cui un retrogusto amaro si rinnova, un senso di forzatura, li riporta verosimilmente, alla sensazione acquisita (da bambini) di 'non poter sfuggire', di non potersi sottrarre a quel genitore sgradevole, indesiderabile, inadeguato.

Se, in una grossa parte della popolazione, dunque, si è sviluppata un'abilità di resistenza, quando invece quelle risorse straordinariamente potenti di resilienza non appaiono sufficienti, si consolida, in una minoranza della popolazione, il senso di impotenza: qui, la fragilità, il sentirsi vulnerabili e la percezione di assenza di controllo su ciò che accade intorno a noi, vengono percepiti come ingovernabili; per costoro diviene necessario trasformare l'impotenza, nell'acquisizione (almeno parziale) del senso di potenza, attraverso gli strumenti della psicoterapia o attraverso l'impiego di altri ricchi aiuti che la vita ci offre generosamente in varie opportunità e formule.