Quando si parla di relazione co-dipendente, purtroppo diviene quasi automatico il richiamo a situazioni di violenza di genere: sono sempre più frequenti le notizie che ci pervengono dalla cronaca sull’uccisione di donne da parte di partner o ex partner. Fatti tragici, ma solo la punta di un iceberg di un fenomeno allarmante e ben più ampio e variegato, quello della violenza di genere nella coppia che si declina in vari modi pur sempre dolorosi. Sebbene esistano casi di violenza perpetrata da donne nei confronti del partner maschile, statisticamente è molto più frequente che sia l’uomo a usare violenza sulla donna. Va da sé, senza dire, che la situazione di sopraffazione in una coppia può declinarsi in molti tipi di violenza, fisica, psicologica e in alcuni casi anche sessuale.
Ad oggi in genere, molti esperti delle scienze sociali tendono ad enucleare teorie e spiegazioni, per così dire “unilaterali”, secondo cui la violenza di genere nella coppia si nutre di dinamiche di comunicazione perverse, volte al controllo e alla sottomissione della donna vittima che è incastrata in un rapporto presumibilmente squilibrato e patologico dentro il quale la violenza e la sopraffazione troverebbe terreno fertile per alimentarsi. Secondo l’ottica sistemica invece il focus dell’attenzione non è più solo la donna, ma la coppia e la loro relazione.
In generale, ciò che rende una coppia in grado di accogliere i cambiamenti della realtà esterna, ad affrontare momenti delicati o critici della vita, a comunicare in modo sufficientemente efficace è la capacità di mantenere una sorta di confine intorno a se stessa al fine di preservare la propria integrità dalle possibili intrusioni che ne causerebbero la rottura. La capacità, cioè, di stabilire delle chiare regole di collaborazione che fissino i diritti e i doveri dei due partner al fine di mantenere una certa coesione, pur restando degli individui distinti. Ma non basta, il buon funzionamento di una coppia dipende, allo stesso tempo, dalla capacità dei due partner di ridefinire tali regole di fronte alle nuove esigenze ed ai nuovi bisogni e compiti di sviluppo che insorgono nelle varie fasi del ciclo vitale.
Nelle relazioni co-dipendenti ciò che viene a mancare è proprio questa flessibilità; infatti questo tipo di relazione disfunzionale, come tutte le relazioni simbiotiche, non prevede cambiamenti, anzi la staticità nella relazione produce una pericolosa omeostasi interna basata sul principio “mitico” della simbiosi e della “completezza nell’unione”; qualsiasi cambiamento all’interno o all’esterno della coppia viene dai partner negato e allontanato in quanto rappresenta la differenza ed accoglierla è per entrambi quanto mai impossibile. Il legame di dipendenza infatti genera immobilità: l’individuo resta come bloccato nelle trame della rete di un sistema relazionale e, generalmente, ne assume i suoi modelli interattivi riproponendoli anche negli altri contesti di vita.
Bisogna immaginare dunque una sorta di sintonia nella coppia, una compartecipazione a questa modalità violenta di vivere insieme, simbiotica e al contempo costrittiva. La donna “vittima” deve attenersi ad una sorta di protocollo di vita rigido dove ogni minimo cambiamento desta sospetto nell’uomo che è talmente insicuro e ansioso che l’unica possibilità di sopravvivenza che ha è controllare la partner ossessivamente; lei dal canto suo ha bisogno di sentirsi al centro della vita e dei pensieri di lui dunque l’unica possibilità che trova è il perdono, insinuando l’idea nell’uomo che lei abbia davvero qualcosa da nascondere…e dunque il circolo vizioso trova spazio per rinforzarsi.