Cos’è l’Ayahuasca?
L’ayahuasca è un decotto psicoattivo originario dell’Amazzonia, usato da secoli in contesti rituali per favorire visioni, introspezione profonda, connessione religiosa e processi di guarigione spirituale.
Il termine stesso “ayahuascha”, rivela un potente simbolismo: viene dal quechua, dove “aya” significa “spirito” o “morte” e “huasca” significa “liana”. Si può tradurre in italiano sia come “liana della morte”, nel senso di ponte verso il mondo degli antenati e degli spiriti, sia come “liana degli spiriti”.
Secondo molte tradizioni amazzoniche, un cacciatore/sciamano ricevette in sogno dalla grande anaconda-spirito (Yube) l’indicazione di unire due piante: la liana Banisteriopsis caapi e le foglie di chacruna (Psychotria viridis). Bollendole insieme nacque la “bevanda che insegna”; in altre versioni fu l’osservazione del giaguaro, che masticava la liana e si purgava, a svelare il segreto.
L’ayahuasca è considerata una “pianta madre”: negli stati modificati di coscienza “insegna” a riconoscere altre piante e a capire quali usare in situazioni specifiche.
Quando si parla di ayahuasca, ci si riferisce al decotto preparato con la Banisteriopsis caapi, una liana tipica del bacino amazzonico, insieme ad alle foglie di un’altra pianta, la Psychotria viridis.
Tuttavia, le tradizioni variano a seconda della regione e del gruppo etnico, infatti in alcune aree alla B.caapi si possono aggiungere altre piante, come la Diplopterys cabrerana.
La sinergia delle sostanze contenute in queste piante è ciò che crea la magia: l’azione combinata degli inibitori MAO della liana e la DMT delle foglie è ciò che rende l’esperienza tipicamente visionaria.
Questo spiega perché l’ayahuasca sia associata a vissuti intensi: molte persone parlano di espansione della coscienza, di una “riapertura” della connessione con il tutto e di una profonda risonanza con la natura e con gli altri esseri viventi. Per le popolazioni amazzoniche, il decotto è da sempre uno strumento di guarigione e di contatto con il mondo degli spiriti.
In quali contesti viene usata?
Tra i contesti in cui l’ayahuasca è maggiormente utilizzata vi sono i rituali del Santo Daime, un movimento religioso sincretico diffuso in Brasile che intreccia cristianesimo popolare, sciamanesimo amazzonico e spiritualità afro-brasiliana. L’ayahuasca, chiamata “Daime”, è un sacramento (e non una droga) che “apre” la coscienza al divino. Vi sono anche altre tradizioni che la utilizzano, come la União do Vegetal (UDV), la Barquinha e diverse culture indigene dell’Amazzonia.
Uno degli aspetti principali è la dimensione spirituale: le cerimonie di ayahuasca sono pensate come vie d’accesso al sacro, a incontri con “maestri interiori” e a viaggi attraverso diversi piani di coscienza.
Nelle comunità indigene, inoltre, l’ayahuasca è un fatto comunitario: un rito che sostiene l’unità del gruppo, rinsalda le relazioni e fa da ponte tra cura del corpo e dell’anima.
Oggi, l’ayahuasca è presente in molti Paesi in contesti moderni, e circola su due binari principali. Da un lato ci sono le cerimonie neosciamaniche e i percorsi di benessere e crescita personale. Dall’altro ci sono setting terapeutici e di ricerca, dove la bevanda viene studiata per i suoi potenziali effetti terapeutici in relazione a patologie come depressione, ansia, abuso di sostanze, disturbi alimentari e PTSD.
I suoi effetti sulla mente
L’ayahuasca agisce grazie alla sinergia tra due componenti. La liana Banisteriopsis caapi contiene β-carboline (harmina, harmalina, tetraidroharmina) che inibiscono in modo reversibile la MAO-A, l’enzima che di solito “smonta” molte amine biogene, inclusa la DMT: così la DMT non viene neutralizzata nell’intestino/fegato e può arrivare al cervello.
In più, la tetraidroharmina può ridurre la ricaptazione della serotonina, aumentando la trasmissione serotoninergica. Le foglie di Psychotria viridis apportano la DMT, che si lega ai recettori della serotonina: questo avvio di segnali si traduce in visioni vivide, emozioni intense e una marcata apertura introspettiva.
Gli effetti non riguardano solo ciò che si vede o si sente. Infatti, studi di neuroimmagine (SPECT, fMRI, MRI) mostrano maggiore attivazione in aree legate a emozioni, memoria e riflessione: corteccia prefrontale, insula, giro paraippocampale, amigdala. Si osservano anche cambiamenti nelle reti cerebrali legate al pensiero autoriferito e al rimuginio.
Nei partecipanti che vivono queste cerimonie con una certa regolarità, alcuni studi descrivono segnali di neuroplasticità, ad esempio un possibile aumento del BDNF, una proteina che aiuta i neuroni a crescere e rafforzare le connessioni.
Si osservano anche segni di riequilibrio del sistema dello stress (asse HPA) e possibili effetti antinfiammatori e antidepressivi.
In pratica, vi sono più neurotrasmettitori disponibili (soprattutto serotonina, ma anche dopamina e noradrenalina) e aumenta l’azione sui recettori della serotonina: questo fa sì che per alcune ore il cervello integra emozioni, ricordi e significati in modo diverso.
Sul piano elettrofisiologico (EEG), si vede di solito una riduzione delle onde alfa (stato di riposo) e un aumento di delta e gamma. Quando le onde gamma si sincronizzano tra aree occipitali, parietali e frontali, spesso compaiono immagini complesse, senso di unità e percezione del tempo/spazio alterata. È come se, per alcune ore, il cervello provasse nuove rotte di connessione, facilitando introspezioni e realizzazioni profonde che a mente ordinaria faticano a emergere.
Tutto questo spiega perché, in un setting protetto e guidato, l’ayahuasca possa favorire elaborazioni emotive profonde, a volte catartiche.
Accanto alla lettura biomedica, molte tradizioni descrivono l’esperienza come incontro con antenati, spiriti della natura o maestri interiori.
In chiave psicologica contemporanea, lo stesso materiale può essere compreso come inconscio personale, contenuti transgenerazionali e con un “inconscio selvatico”, un sottofondo che ci collega alla terra e agli altri viventi. Qui rientrano anche i cosiddetti “oggetti invisibili”: nuclei di significato che, pur non verificabili sul piano ontologico, sono reali negli effetti perché possono generare sofferenza o sollievo. Che li si chiami “schemi” o “spiriti”, il punto è che agiscono in modo significativo e profondo nella vita di chi li incontra.
I benefici terapeutici
Studi e testimonianze concordano su un punto: in un percorso ben strutturato, l’ayahuasca può aprire spazi di comprensione di sé, della propria storia familiare e del proprio posto nel mondo che prima erano inaccessibili, con frequenti intuizioni profonde, come il senso di interconnessione con natura, piante, animali.
Sul piano scientifico, contributi storici hanno ipotizzato utilità nel trattamento di disturbi psichiatrici. In ambito biomedico, uno studio su membri dell’União do Vegetal ha indicato possibili applicazioni per alcolismo e abuso di sostanze.
Somministrazioni protratte sono state proposte come potenzialmente utili in quadri a deficit serotoninergico, che si relaziona con patologie come depressione, schizofrenia, calo dell’attenzione e sindrome ipercinetica, pur con necessità di conferme.
Altri lavori hanno suggerito effetti immunomodulatori con ipotesi antitumorale e una possibile attenuazione di sintomi parkinsoniani grazie all’inibizione MAO-A e stimolo del rilascio di dopamina.
Un interessante studio clinico del 2003 ha valutato i benefici di una singola somministrazione orale: sono emerse alterazioni percettive e un tono dell’umore più positivo. Tra le esperienze riportate: allucinazioni visive e uditive, forme geometriche, colori vividi e la sensazione di altre dimensioni. Accanto a questo, si osservano spesso effetti fisici temporanei come vomito, diarrea, vampate, tachicardia e ipertensione.
Un’indagine in Spagna ha valutato rischi/benefici con due sottostudi. Il primo è stato condotto su 40 soggetti che non avevano mai consumato ayahuasca, di cui quasi il 45% aveva criteri psichiatrici alla baseline; dopo il consumo rituale oltre l’80% ha riportato miglioramenti mantenuti fino a 6 mesi, con riduzione di diagnosi e psicopatologia, soprattutto depressione.
Anche ansia e ostilità sono migliorate, ma più transitoriamente. Nel secondo sottostudio condotto su 23 utilizzatori abituali, si sono osservati meno casi di depressione, maggiore auto-trascendenza e più alta qualità di vita superiore rispetto al gruppo dei naïve. Questi dati sono coerenti con evidenze di effetti antidepressivi rapidi e durevoli anche dopo singola somministrazione, inclusi casi resistenti.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’ayahuascha terapeutica non si somministra in un evento singolo: di solito il lavoro dura mesi e può includere fino a una trentina di assunzioni in circa nove mesi.
Accanto agli esiti clinici, un secondo filone ha esplorato i processi psicologici che potrebbero mediare il cambiamento: confrontando 41 non utilizzatori e 81 utilizzatori abituali, questi ultimi mostrano più decentramento (osservare pensieri/emozioni senza esserne travolti) e un sé più positivo; nessuna differenza per valori di vita, realizzazione personale, sé nelle relazioni o sé generale. All’interno dei consumatori, il decentramento è maggiore oltre 15 assunzioni.
Perché vi siano potenti benefici, va data particolare attenzione al setting, preparazione (diete, regole), accompagnamento durante il rito e integrazione nei giorni successivi. Molte persone descrivono l’esperienza come trasformativa perché riporta in superficie emozioni rimosse e traumi, che diventano più lavorabili quando la cornice è chiara e la guida è competente.
In parallelo esiste un uso non clinico, orientato a crescita personale e introspezione: comprendere la propria storia interiore, riconoscere schemi ricorrenti e favorire cambiamenti concreti nella vita quotidiana. Per analogia con la psicoanalisi, l’ayahuasca offre una cornice esperienziale intensa da cui emergono simboli, immagini e intuizioni che, se ben integrate, possono stabilizzare il benessere emotivo.
Rimangono, tuttavia, limiti importanti: molte ricerche sono osservazionali, basate su auto-rapporti, con differenze nei metodi di somministrazione e nelle misure; è difficile standardizzare un rituale storicamente e culturalmente situato.
Un beneficio è chiaro: l’ayahuasca invita a rivedere certe separazioni tipiche dell’Occidente, come cervello/corpo e individuo/altri. La neuroscienza sociale spiega che la mente è incarnata e interpersonale. Non stupisce quindi che nelle cerimonie emergano risonanze familiari o memorie condivise, e che molte comprensioni maturino grazie alla dimensione comunitaria del rito.
Insomma, dai laboratori alle cerimonie il filo è lo stesso: per alcune ore cambia il modo in cui il cervello orchestra la coscienza, e con questo cambiano le mappe di senso con cui leggiamo noi stessi. Inoltre, l’ayahuasca appare come uno strumento promettente, in particolare per depressione, ansia, dipendenze, traumi e disturbi alimentari, anche se la sua efficacia e sicurezza devono essere corroborate con evidenze più solide.
Come si svolge una cerimonia di ayahuasca?
Di norma, per una cerimonia di ayahuasca tradizionale, ci si prepara con una dieta di 2–3 giorni. Il rituale avverrà di notte. Il curandero purifica ambiente e bevanda con tabacco, quindi i partecipanti, a turno, curandero compreso, bevono l’ayahuasca e si siedono al buio. Gli effetti compaiono dopo 20–30 minuti: arrivano visioni, un forte lavoro emotivo e spesso la purga (il vomito è frequente), che molte tradizioni considerano parte del processo.
La fase centrale può approfondirsi per 2–3 ore, accompagnata dagli icaros, canti che, secondo la tradizione, lo stesso decotto “insegna” al curandero. Talvolta, dopo 2–3 ore, viene proposto un secondo giro in cui si beve di nuovo l’ayahuascha; l’intera cerimonia dura tutta la notte, tipicamente 6–7 ore, finché non si torna allo stato ordinario di coscienza.
Esistono varianti della cerimonia. Per esempio, in molti paesi, non essendoci sempre un curandero amazzonico, la guida è talvolta affidata a facilitatori, e i canti “icaros” possono essere registrati.
Durante la cerimonia si resta in genere vigili (non è sonno, né delirio) e si mantiene ciò che Georges Lapassade chiamava “cogito di trance”: una parte di noi osserva ciò che accade.
Questa doppia posizione, di immersione nell’esperienza unita a osservazione, aiuta a ricordare e poi integrare quanto emerso. Per questo, oltre alla cerimonia, contano molto il setting, la preparazione (diete, norme), l’accompagnamento e l’integrazione nei giorni successivi.
Il fatto che il contesto conta moltissimo è stato provato da uno studio comparativo condotto in Uruguay, che ha confrontato due contesti di ayahuasca: un gruppo “cerimoniale” in un centro psicospirituale e un gruppo “terapeutico” un centro per le dipendenze, comparati usando questionari standard e interviste.
Nel centro per le dipendenze i partecipanti hanno ottenuto punteggi più alti in ‘affetto’, ‘cognizione’ e ‘percezione’ e hanno raccontato visioni più complesse, maggiore risonanza emotiva (empatia, senso di appartenenza) e sensazioni corporee più evidenti (purga, tremori). Le misure di intensità e i sintomi fisici non risultavano sempre diversi nei numeri, ma la qualità dell’esperienza sì: le emozioni passavano più spesso da paura/resistenza a pace, amore, sollievo, con ricordi biografici e insight più frequenti soprattutto nel gruppo terapeutico.
Gli autori spiegano le differenze con dosaggio, musica rituale e un setting clinico progettato per rompere i pattern compulsivi. Insomma, a parità di bevanda, è il contesto a modellare ciò che vivi, e quindi gli esiti.
L’ayahuasca è legale?
La legalità dell’ayahuasca cambia da Paese a Paese e dipende molto dall’uso che se ne fa.
In Brasile, patria di questi movimenti sincretici, l’uso è consentito dalla seconda metà degli anni ’80 quando avviene in contesti rituali e senza fini di lucro.
In Italia il quadro è stato a lungo controverso: la DMT è inserita tra le sostanze stupefacenti, ma Psychotria viridis e Banisteriopsis caapi non compaiono come piante vietate. Due sentenze della Cassazione (2005 e 2007) e una nota del Ministero della Salute (2010) avevano qualificato l’ayahuasca come “non narcotica”; in seguito però la giustizia amministrativa ha preso una linea più restrittiva e oggi l’uso in cerimonie o riti religiosi non è permesso (ricorsi respinti dal TAR Lazio).
Rischi psicologici secondo la psicologia moderna
La rapida diffusione dell’ayahuasca è sicuramente dovuta a tecnologia, informazione e reti globali, condizioni che hanno reso semplice procurarsi talee o campioni essiccati di B. caapi, P. viridis e di altre piante contenenti DMT o alcaloidi dell’harmala. Questo ha accelerato l’accesso all’ayahuasca, ma ha anche aperto zone d’ombra: fuori dai contesti tradizionali o da cornici ben controllate circolano preparazioni “analoghe” e ricette non tradizionali che, in vari casi riportati, hanno causato danni.
Per questo l’assunzione di ayahuasca non è una pratica da fai-da-te, e può essere rischiosa. Contano qualità delle piante, dosi, condizioni psicofisiche, interazioni con farmaci e patologie, competenza di chi conduce e integrazione dopo la cerimonia.
Sebbene sul piano clinico degli studi spagnoli su adulti sani indicano che la bevanda può essere somministrata in sicurezza, mancano indicazioni terapeutiche reali e protocolli chiari, difficili da stabilire sia per i vincoli regolatori sia per la variabilità botanico-chimica del decotto.
Ma i rischi sono reali. Oltre a specifiche controindicazioni fisiche (es. problemi cardiocircolatori, epilessia, o mancato rispetto della dieta), gli stati modificati di coscienza possono far emergere contenuti personali molto intensi. Senza un contenimento e una integrazione adeguati, il rientro può essere difficile, con attacchi di panico o, nei soggetti vulnerabili, un esordio psicotico. Molte criticità nascono quando manca una guida esperta durante e dopo, o quando si torna troppo in fretta alla quotidianità, senza dare senso a ciò che è emerso.
Inoltre, un lavoro efficace richiede un ponte culturale: tradurre simboli e visioni tra cosmologia amazzonica e cornici occidentali perché diventino materiale clinicamente utile.
Un capitolo cruciale riguarda le interazioni farmacologiche. Poiché il tè contiene inibitori delle MAO, la degradazione della serotonina può ridursi, aumentandone i livelli centrali; ciò è stato collegato anche a un certo effetto sedativo.
Se l’incremento è eccessivo, può comparire una sindrome serotoninergica potenzialmente grave, caratterizzata da stati confusionali, ipomania, agitazione, diarrea, febbre, sudorazione, nausea, vomito e alterazioni neuromuscolari.
In sintesi, l’ayahuasca può aprire esperienze potenti, ma non è adatta a tutti e presenta dei rischi. Un setting appropriato, una guida qualificata, una preparazione adeguata e un’integrazione post-cerimonia sono cautele essenziali: riducono i rischi psicologici e aumentano la probabilità che quanto emerge diventi materiale di cura.
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