Genesi, sintomatologia e cura della nevrosi

Il “bambino nascosto” nevrotico: il percorso che lo porta dalla sua nascita fino all’adultità

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psicoanalisi e nevrosi


Riassunto:

Questo articolo parla della genesi, della sintomatologia e della cura della nevrosi, che è una malattia molto insidiosa ed invalidante, che molto spesso è sottovalutata, perché non va più molto di moda parlare della sua cura.

In particolare spiega di come un paziente nevrotico può affrontare la sua malattia e guarire con l’aiuto dello psicoterapeuta, che potrebbe non avere avuto il suo stesso problema, o, se è stato nevrotico, a sua volta ha vissuto il suo stesso problema e intrapreso il suo stesso percorso, dove ha fatto crescere la sua parte bambina nevrotica fino alla guarigione.

Ricordiamo che le parti bambine o i bambini nascosti sono due, quello abbandonico che nasce dalla nascita ai due anni circa, e quello insicuro che ha problemi di autostima, che nasce circa dopo i due anni e mezzo, tre, tre anni e mezzo.

La genesi della nevrosi nasce nell’interazione e quindi nella relazione del bambino con una sua figura di riferimento. Quando la relazione è disturbata, dentro questa relazione nasce un bambino nascosto sofferente nell’inconscio del paziente, che è legato all’autostima, che si è generato nell’infanzia dopo innumerevoli volte che i suoi genitori, entrambi, o uno di essi, o le sue figure primarie di riferimento che lo hanno accudito, gli hanno detto che non era bravo, che non valeva niente, fino a sostenere che fosse addirittura un insufficiente mentale, come i loro genitori a loro volta probabilmente hanno detto a loro, come vedremo.

Questo drammatico processo di denigrazione, può essere da parte dei genitori cosciente o inconscio, e cioè più o meno consapevole. Anche il bambino da nascosto cioè inconscio arriva durante il processo di guarigione ad essere sempre più cosciente.

Così succede che i genitori non l’hanno assolutamente mai valorizzato dal punto di vista dell’autostima, perché per esempio vedevano che non rendeva cognitivamente, perché in realtà quasi sempre era pieno di ansia ed andava totalmente in tilt dal punto di vista prestazionale. Questo perché il bambino, fin dalla tenera età, può essere succube della sua ansia da prestazione, nel tentativo di essere sempre al massimo e di non sbagliare mai e di soddisfare totalmente e sempre quindi i suoi genitori, e l’ansia lo paralizza fino non solo a farlo rendere poco nelle sue prestazioni, ma di fatto fino a farlo sbagliare spesso. Di conseguenza di fatto non funziona. Così che tutti lo considerano un incapace, lo stigmatizzano, e lui si convince di esserlo, e subisce questo trauma, in maniera continuativa, trauma che lo porterà ad essere nevrotico. Vedremo poi perché ha l’ansia da prestazione, che deriva dal suo dover essere sempre perfetto, impossibilitato a sbagliare mai.

Il suo ideale inconscio è sempre arrivare ad essere il primo e sopraffare tutti, nel tentativo di supplire a questa sua deficienza, e invece subisce il conflitto e si blocca, e rimane mediocre, se va bene, dal punto di vista prestazionale, a subire il conflitto, a funzionare il più delle volte male, fino a paralizzarsi. E se non si cura può rimanere malato per tutta la vita. Ma per curarsi prima di tutto deve accorgersi di avere questa malattia nevrotica.

Ecco che si forma così nel paziente, fin dalla tenera infanzia, una parte bambina, un bambino piccolo nascosto, che ha verso di sé una bassissima autostima, che si sente estremamente insicuro, che ha una tremenda paura di sbagliare, un bambino che chiede a tutti prima di fare ogni cosa se va bene come la sta facendo, o come si fa a farla, o se non va bene, come la deve fare, chiede cioè sempre l’approvazione, insomma da solo non prova mai a farcela, perché è invaso da un’insicurezza totale che lo fa traballare, un terrore totale di fare sbagliato, di non farcela, e quindi di conseguenza poi di crollare. Il crollo così è sempre nell’aria, si diventa come degli equilibristi su un filo in alta quota.

Questo bambino nascosto malato, inconsciamente crede ai suoi genitori, perché quando si è bambini si crede sempre a tutto quello che loro ti dicono, che è come se fosse oro colato. I genitori sono come se fossero Dio, in un certo senso sono Dio, proprio per il fatto che non sbagliano mai, che non possono sbagliare mai.

Il bambino così crede alla loro denigrazione verso di lui, ed è convinto quindi di non valere nulla, di essere un insufficiente mentale veramente perché gliel’hanno detto i genitori, e ad ogni situazione un po' complessa da risolvere crede di non farcela, e quindi ha paura di sbagliare, ha il terrore di sbagliare, anche perché ogni volta che sbaglia, è la conferma definitiva da parte dei suoi genitori che è vero che è un handicappato insufficiente mentale. Quindi sbagliare è impossibile! E qualsiasi cosa che evoca una dimostrazione prestazionale crea ansia.

E neanche più ci prova, per carità, a fare qualcosa, nei casi più gravi, perché se poi sbaglia è la fine! E c’è così il rischio che giunga alla paralisi totale, all’attacco di panico!

Di conseguenza, questo bambino, e poi questo fanciullo, una volta che si è ammalato di nevrosi, vede tutti nel presente come se fossero i suoi genitori del passato che lo criticano e lo denigrano, li scambia, li confonde per essi, e allora ad ogni incontro relazionale con chiunque, bene o male, è come se ritornasse di fronte ai suoi genitori giudicanti e pretendenti, non importa se nella realtà sono ancora vivi, o se sono morti, perché ormai il conflitto è dentro di lui, è cioè internalizzato, si dice, e così ogni volta si riempie di un’enorme ansia che paralizza la sua parte adulta che ne rimane succube, perché si sente giudicato e criticato, come si sentiva con i suoi genitori.

Ma cos’è l’ansia? È una risposta del corpo ad un grave pericolo, quello di essere attaccati, ma non solo, anche quello di non funzionare, di fallire, e di vedersi drammaticamente una nullità, in ultima analisi di crollare. Così, più aumenta l’ansia, dovuta al conflitto interno sempre più radicato e profondo, e quindi internalizzato, e più può diventare disfunzionale, e così più nascono i sintomi, più o meno gravi. Il bambino nascosto insicuro, come abbiamo visto, ha sempre bisogno di approvazioni e cerca di farsi sempre dire da tutti che è bravo, per sfatare una volta per tutte lo stigma di essere un insufficiente mentale, di cui lui stesso è convinto, come è convinto che lo pensino anche gli altri. È convinto inconsciamente, ma lo può essere anche coscientemente convinto.  

Lui può stare per anni e decenni a farsi dire che è bravo. Dopo ogni dimostrazione che fa per farselo dire, anche se gli dicono che è bravo, non serve a nulla, lui non ci crede mai, anzi, continua a riverificarlo su sé stesso ogni azione che fa, invano, perché ogni volta ritorna al punto di prima, e cioè alla consapevolezza, purtroppo alla certezza, di non valere niente, se anche solo fa una prestazione positiva ma in essa sbaglia qualcosa. No basta, si auto boccia! Perché lui ogni cosa che fa la fa per non sbagliare, è questo è il motivo principale della sua vita, tutto il resto viene dopo. Insomma, un grande dramma, che lo fa traballare ogni volta. Non ci sono così vie di mezzo. Se fa giusto è un Dio, se sbaglia, anche un minimo, la prestazione, è una nullità. Manca il sentirsi comunque sufficienti, con una buona autostima, che rimane in maniera costante, no, perché ogni volta che si crolla sparisce il ricordo di quando ci si sentiva capaci, e si cade in depressione, e ogni volta che ci si rialza, basta un minimo errore, che si ripiomba a sentirsi incapaci.

Manca il sentire che si possono avere dei successi imperfetti. Questo è un punto fondamentale: ripeto, se il paziente si vede imperfetto si odia! Come odia l’altro se lo vede imperfetto e non assolutamente performante. O tutto o niente! Può nascere anche tanta rabbia verso sé stessi e verso gli altri, quando ci si accorge di essere intrappolati da questa ansia, da questo conflitto, da questo bisogno totale di vincere, di trionfare, per supplire a questa propria deficienza, cioè dal bisogno di non sbagliare, di non fallire, che è alla base del proprio conflitto, del conflitto del nevrotico, che così si cerca di superare, sempre ogni volta una volta per tutte, ma almeno all’inizio, non si riesce mai.

La guarigione della persona nevrotica avviene nel tempo quando il paziente riesce sempre più ad agganciare innanzitutto la sua parte bambina, quindi a mettersi in contatto con essa, ma per farlo deve distanziarsi da essa per poterla vedere, e quindi in ultima analisi, deve prenderla per mano e farla crescere, fino a riprendersi il controllo della sua mente e del suo corpo. Questo avviene quando il paziente impara ad accettarsi imperfetto, abbandonando di fatto l’onnipotenza della perfezione.

L’articolo quindi cerca di approfondire queste dinamiche e quello che succede dentro il paziente, come fa per liberarsi da questo suo parassita interno anacronistico, che è la sua parte bambina insicura. Ma prima di tutto bisogna accettare la sua presenza del bambino nascosto sofferente, dentro di lui, e volergli bene, come alla fine si vorrà bene e si perdonerà le persone che ti hanno fatto stare male, perché si comprende in fondo che non è stata colpa loro, erano vittime anche loro dei loro meccanismi interni psicopatologici nevrotici subiti a loro volta dai loro genitori nevrotici.

 

Genesi della nevrosi

Abbiamo visto nello scorso articolo sui “bambini nascosti”, che si intitola: “la sofferenza psichica vista nell’ottica dei “bambini nascosti”, che tali bambini sono dentro ognuno di noi e che devono crescere per farci stare bene.

Ci sono due bambini nascosti, uno abbandonico ed uno legato all’autostima, sono i due bambini nascosti principali e nascono quando sorge una psicopatologia. Il primo può nascere alla nascita, mentre quello legato all’autostima può nascere dai due anni e mezzo in poi, circa, quando inizia il linguaggio e la relazione triangolare anche con la figura paterna, che dovrebbe fungere da terzo, e aiutare il bambino ad uscire dall’ottica simbiotica con la madre, ed è l’età della nascita del complesso Edipico.

La nevrosi ha origine nell’infanzia, da questo ultimo bambino nascosto, quello legato all’autostima, che si è creato dalle relazioni disturbate con i suoi genitori, o le sue figure di riferimento primarie, ed è un bambino che sta male, ed è inconscio, e cioè si nasconde nell’inconscio del paziente.

Molto spesso, la nevrosi è una malattia pressoché invisibile, misteriosa, e cioè che apparentemente non si vede, ma in modo latente è sovrana nelle relazioni disturbate, e fa stare male le persone, che la subiscono. Una persona nevrotica può stare per tutta la vita a vivere male, può stare tutta la vita ad essere inconsapevole di avere una malattia, e tantomeno una malattia che può guarire. Ma certo se non se ne accorge che è malato non può impegnarsi per guarire!

Sia lei che le persone che le stanno accanto, non credono in fondo che sia un problema legato ad una malattia psicologica, no, anzi credono proprio di non essere malati, perché magari sono così con questi sintomi da una vita, magari da 50 anni, e credono che facciano parte del loro carattere, della loro personalità.

Molto spesso questa malattia nevrotica invalidante, che colpisce sintomatologicamente anche il corpo, viene definita una malattia organica. Quando poi si tratta dell’argomento ansia, che è sempre collegato alla nevrosi, anche il DSM V parla di una possibile ansia generalizzata, e cioè diffusa in tutto il corpo, di origine organica, e non solo di origine psicologica, e quindi nella maggior parte dei casi le persone non pensano che possa essere curata con una cura psicologica, ma solo che sia un problema organico, e che quindi debba essere trattato solo con psicofarmaci ansiolitici, che troppo spesso vengono assunti con leggerezza, e creano una dipendenza, senza che si lavori psicologicamente sulle cause, non solo della nevrosi, ma anche dell’ansia.

Invece secondo me c’è una stretta correlazione tra ansia e nevrosi, non ci può essere nevrosi senza ansia. Una persona può stare anche tutto il giorno, come vedremo, con l’ansia che gli provoca un mal di testa muscolo tensivo, che può essere un fortissimo dolore, ma credere senza nessun dubbio che non c’è niente da fare, che è un problema organico, ed invece è psicologico, oppure con una tensione cervicale o alla schiena o a tutta la muscolatura corporea, e credere che sia un problema organico, ma anche in questo caso il problema è psicologico, che induce sì un malessere organico, ma ha origini psicologiche.

La nevrosi infatti è una malattia sottile, difficile da individuare, e quindi da curare. Secondo me è prettamente una malattia che ha un’origine psicologica, che nasce dalla relazione che hanno i bambini con le loro figure primarie di riferimento, e non è di origine organica.

Ma cosa capita al bambino che diventerà un fanciullo, un adolescente e poi un adulto nevrotico? Di solito capita di vivere in famiglie dove ci sono genitori che sono anch’essi nevrotici, o che hanno problemi narcisistici, e cioè anch’essi non si sentono sufficientemente sicuri, e hanno a loro volta problemi di bassa autostima, o che sono assolutamente egocentrici, e ruotano la loro vita solo su loro stessi, tutti gli altri non esistono in realtà, ma esistono solo loro, da soli, nel mondo. Tutto questo può essere cosciente o non cosciente per la persona stessa.

Ne conosco tante di queste persone. Il genitore narcisista è bravo solo lui, non dice mai a suo figlio che è bravo, assolutamente mai, non fa mai complimenti a nessuno, tantomeno a sé stesso, pretende che gli facciano sempre tutti complimenti solo a lui, è arrogante, presuntuoso, egoista, pretende sempre di essere al centro dell’attenzione, il mondo è solo lui e gira intorno a lui, e attacca continuamente gli altri che non fa altro che criticare, ed è alto il suo potere di denigrazione. Appena infatti una persona fa un minimo errore, non vale nulla. È inoltre competitivo con tutti, e fa stare male coloro che vivono con lui. Basta un minimo errore per cui lo sfortunato non vale niente! Non ha problemi o sensi di colpa a distruggere l’autostima delle persone, probabilmente perché hanno fatto così i suoi genitori con lui, e a loro volta i nonni hanno fatto così con i genitori. Insomma bisogna spaccare la catena nevrotica transgenerazionale.

Così quando un bambino subisce un clima del genere, con un genitore di questo tipo, inevitabilmente ne soffre, e prima o poi si ammala e si nevrotizza anche lui, perché il figlio si ritrova in pratica un genitore assente, o entrambi i genitori assenti, e cioè che sono inevitabilmente non attenti ai suoi bisogni, perché troppo concentrati sui loro.

È un genitore che apparentemente è una brava persona, magari stimata da tutti, mentre in realtà non riesce veramente ad amare suo figlio, a volergli bene, perché lo usa solo per i suoi fini narcisistici, cioè per farsi gratificare a sua volta, e così il figlio si sente sempre più solo, e gli manca un sostegno, anche perché ha un padre che non solo è assente psicologicamente come supporto psicologico, ma spesso lo può anche essere fisicamente. Il papà insomma non c’è, e molto spesso è il figlio che deve fare da padre al padre, di fatto, se ogni volta deve riempirlo di complimenti e dirgli che è bravo, insomma se ogni volta lo deve sostenere narcisisticamente. E poi il figlio, con un padre assente, rischia di non procedere alla separazione con la madre e rimane invischiato nella relazione simbiotica con lei, perché il padre non lo tira fuori dalla simbiosi.

E lo stesso succede se incontra una madre come suo padre, narcisista, che è sempre centrata sui suoi problemi, che così ha poco tempo per stare dietro fisicamente e mentalmente a suo figlio, o addirittura quando sua madre è depressa, e cioè incapace di sintonizzarsi con lui, perché sta male lei già di suo, ed ha poca energia a disposizione per il figlio, ed è di fatto assente così anche lei, nel momento in cui suo figlio ne ha più bisogno, e cioè la sua infanzia.

Un figlio nevrotico capita spesso anche in famiglie dove ci sono persone molto intelligenti con il culto della prestazione e della perfezione, che quindi possono essere ambiziose ed arriviste, se sono più o meno nevrotiche, che possono ricoprire anche un ruolo importante nella società, e che pretendono coscientemente o inconsciamente che anche loro figlio sia perfetto, sennò crollano pure loro, dopo essersi identificati con lui.

Sono quelle situazioni dove i genitori importanti sono come un peso per i figli, che hanno sempre la tendenza di rincorrerli per raggiungerli, e loro si sentono sempre una nullità, dietro a loro, perché sono troppo importanti e a volte famosi, praticamente irraggiungibili. E così il figlio, che si ritrova così perennemente insoddisfatto, è magari sempre lì perennemente ad emularli, ad emularne le gesta, per dimostrare a sé stesso, al genitore e agli altri che è bravo, anzi bravissimo anche lui, e non gli basta mai!

Essere nevrotici significa sostanzialmente sentirsi profondamente degli incapaci e avere il terrore di sbagliare, di mostrarsi in errore, ed essere incapaci ad essere imperfetti. Quindi vuole dire avere un io fragile, poco strutturato, debole, perché quando sbagli tremi tutto dalla paura, e vacilli, un io che a volte può portare il soggetto a non avere un adeguato esame di realtà, perfino quindi a sfiorare la psicosi, che è quando una persona vive in una realtà diversa da quella di tutte le persone, ed è assente, fuori dal nostro mondo. È un essere fuori dalla realtà diverso quello del nevrotico, meno eclatante, ma pur sempre è caratterizzato dal non vedere l’altro esattamente per quello che è, e quindi in ultima analisi non lo si può rispettare.

Quando un genitore si sente profondamente insicuro, perché a sua volta ha una parte bambina inconscia molto insicura che padroneggia e lo condiziona, succede che ha bisogno di sentirsi bravo attraverso le gesta e le prestazioni dei figli, perché se il figlio eccelle allora si sente di eccellere anche lui, e si sente così meno un incapace, mentre se il figlio fallisce e crolla, si sente fallire e crollare pure lui, e in questo modo si può sentire invece profondamente anche lui un incapace. E vive così anche il genitore il suo trionfo o la sua tragedia ogni volta attraverso il figlio. Così il suo bisogno di rivalsa condiziona il suo rapporto con suo figlio.

Questo perché i figli sono parte del proprio corpo, sangue del proprio sangue, e il genitore crede che se il figlio è bravo è la dimostrazione inconfutabile che anche lui è bravo e non è un insufficiente mentale, come profondamente si sente ed è convinto di essere, se è nevrotico. Ma non solo, crede che tutti pensano che lui, essendo il genitore che l’ha generato, debba essere per forza un “genio” anche lui! Così si riempie di stima e di orgoglio, per le gesta del figlio, che agli occhi degli altri ingigantisce sempre, e considera come se fossero sue, ed in questo caso la separazione col figlio è purtroppo nulla.

Ma se il figlio non è bravo, e ha dei problemi, anche solo ogni tanto, anche solo quando è sotto ansia o stress, allora ecco che insorge la situazione drammatica, che il genitore si sente tremare e crollare, e così questo povero figlio disgraziato a volte può venire disconosciuto, perché rappresenta ogni giorno una minaccia, lo specchio del proprio fallimento.

Quindi il nevrotico, che come abbiamo visto ha un grado di sicurezza interiore veramente minimo, e tantomeno un grado di elaborazione delle sue dinamiche molto basso se non scarso, quasi zero, è talmente fragile che è come su un filo da equilibristi in ogni momento, pronto a cadere da un momento all’altro nel dirupo, e vi garantisco che il dirupo è profondo, come il loro buco narcisistico, quindi legato alla loro autostima.

Seguendo le dinamiche che ho appena illustrato, allora di conseguenza il genitore tende ad avere bene o male sempre la tendenza, tra i figli, a seguire, a gratificare, e addirittura a prediligere e a volere più bene a coloro che sono più bravi, che funzionano meglio, che hanno una maggiore libertà di pensiero, che così lo gratificano indirettamente di più, ai quali si può identificare meglio, e cioè quelli che sbagliano meno, e lo fanno sentire un “Dio”, che finalmente è arrivato dove non è riuscito ad arrivare lui stesso nella vita, se il figlio trionfa in qualcosa. Per poi magari attaccarli, successivamente, per invidia distruttiva, quando sono bravi e raggiungono positivamente un obiettivo, perché devono sentirsi bravi solo loro, no, non ci può essere nessuno al mondo più bravo di lui, tutti devono essere inferiori a lui, e lui essere l’unico Dio che trionfa.

Così nasce una sorta di lotta continua con il figlio che genera ed aumenta non solo l’ansia del genitore, ma anche quella a sua volta del figlio, che vive in uno stato di forte tensione casalingo continuo, e intanto inizia ad avere bisogno di non sbagliare mai, aumenta la sua ansia di prestazione, il suo bisogno di essere perfetto, e inizia a nevrotizzarsi anche lui. Inoltre c’è una sorta di coazione a ripetere dell’atteggiamento del genitore verso il figlio, perché la nostra mente è abituata a funzionare, se riesce, sempre allo stesso modo, perché è meno faticoso per lei. Questo vale per tutti i meccanismi mentali di ognuno.

Così succede che con un genitore così nevrotico, inevitabilmente nasce e cresce un figlio come lui, a sua immagine, nevrotico, che tratterà a sua volta i suoi figli come è stato trattato lui dai suoi genitori, se non è guarito, e quindi è ancora sopraffatto dal funzionamento della sua parte bambina che è uguale a quella di suo padre o di sua madre. C’è quindi una sorta di circolo vizioso che non si interrompe tra le generazioni.

Per esempio, molti figli sono spinti quasi costretti a studiare, quando raggiungono le scuole superiori, indirizzi che magari a loro non interessano, per arrivare dove non è arrivato il genitore, che è lui che avrebbe voluto fare quegli studi, che così solo attraverso questa identificazione diciamo carnale con il figlio, diventa anche lui superiore, come abbiamo visto. Il genitore così più o meno inconsciamente, che è egocentrico, che cioè non riesce a guardare se non solo sé stesso, guarda più ai suoi interessi che a quelli del figlio, che usa per i suoi fini. È quel genitore che non riesce ad essere empatico con il figlio, con i figli, no, i bisogni dei figli non vengono visti, è più forte di loro. Così questi genitori non ti dicono mai che sei bravo, no, non lo riescono a vedere, non solo perché sono bravi solo loro, e vogliono sempre il massimo da te in ogni prestazione, e non si accontentano mai, ma perché se tu sei bravo automaticamente diventi più bravo di loro e allora ti devono subito massacrare e buttare giù dal piedistallo per essere solo loro i primi, i vincenti. Hanno quindi una forte invidia e rabbia distruttiva, e sono denigranti sempre.

A tale proposito, mi ha colpito molto un genitore di un ragazzino di 17 anni, un padre, che ho visto di recente in videochiamata WhatApp, che parlando del figlio, che ha smesso di andare a scuola, e sta 10-15 ore al giorno sui videogiochi, ed è stato dai 14 ani 16 anni a fumare solo canne, mi ha detto che l’unica cosa che ha saputo dirmi di suo figlio è stata: “Dottore, mi sento un fallito perché a casa non mi porta i risultati”.

Nasce così lentamente dentro il figlio il culto del perfezionismo, il bisogno di essere sempre bravo, ma magari di essere solo bravo, no, deve essere perfetto, il migliore, il più bravo… che ansia… quello che non è mai stato suo genitore, in modo tale che il bisogno di gratificare sempre i genitori sia soddisfatto. No non può permettersi di sbagliare mai, assolutamente mai. Ma è così un circolo vizioso. Tu più cerchi di essere il migliore, per fare in modo che tuo padre si giri finalmente dopo una vita che non si è girato per dirti che sei bravo e che ti vuole bene, e più tuo padre se vai bene ti bastona e ti annienta, dopo che si è identificato con te per osannarsi tramite te. E sono generazioni e generazioni che le relazioni tra genitori e figli vanno avanti così, in questa sofferenza, difficile da scoprire, e di conseguenza da elaborare.

Il figlio così non può permettersi mai di sbagliare, altrimenti può succedere che le prende anche fisicamente realmente, che sono cinghiate con la cintura dei pantaloni, o castighi! Come mi ha raccontato un paziente, che suo padre al ritorno da scuola, se aveva preso un brutto voto, lo riempiva di cinghiate, date con la cintura dei pantaloni di cuoio. Così un genitore scarica tutta la sua frustrazione di sentirsi un incapace per colpa di suo figlio che non l’ha fatto sentire un Dio.

Quante volte succede che un ragazzo che torna a casa da scuola dopo avere preso un brutto voto, e già sicuramente si sente umiliato lui, ed un incapace, che venga picchiato, solo per il brutto voto che ha preso? E magari ce l’ha messa tutta, non è vero che non ha studiato, ma è solo inibito? Queste sofferenze a lungo andare possono diventare traumatiche e creare un trauma, che sta alla base anch’esso della nevrosi, e la alimenta.

Così c’è il rischio che spesso il figlio, pieno di paura, faccia le cose non tanto per sé stesso, ma per gratificare i genitori e farli stare bene, non c’è quindi di fatto ancora una separazione con loro, oppure c’è una totale ribellione verso non solo i genitori ma l’autorità in genere, e scaturisce tanta rabbia, che il minore non riesce spesso a gestire, e che spesso scarica così sui più deboli, ed il figlio molla tutto, non fa più niente.

Nasce così, sempre di più, il suo carattere nevrotico, e se non ci riesce ad assolvere questo compito, di soddisfare i genitori, nasce sempre di più in lui la paura tremenda di sbagliare e di non essere all’altezza della situazione, e la conseguente paura di non essere considerato, e in ultima analisi di non essere amato, stimato e benvoluto dai suoi genitori. Quindi si alimenta il suo buco rispetto all’autostima, che si chiama narcisistico, ma non solo quello, anche il suo buco affettivo.

E il figlio continua a vivere come se vivesse sulle sabbie mobili, ed è molto fragile, e può essere a rischio di crollare. Il figlio quindi deve essere sempre super e mantenersi ad un livello prestazionale molto alto, e lo ripeto ancora, non deve assolutamente sbagliare mai, no non può sbagliare mai, altrimenti è una tragedia per i genitori che lo denigrano, e così con l’andare del tempo tutta la sua vita è centrata principalmente sul fare le cose giuste e sul non farle sbagliate, quello è il leitmotiv della sua vita, che supera qualsiasi altra cosa o aspettativa.

E incomincia così a nascere in lui ansia da prestazione, e paura di sbagliare, perché non si può non sbagliare mai, ma non solo, la nevrosi porta ad avere deficit anche importanti di memoria, e quindi a scuola non si può essere bravi, perché le cose sfuggono, non si ricordano, non vengono memorizzate, non rimangono ferme ed osservabili dentro di lui, e di conseguenza il ragazzo non può altro che sotto pressione andare in tilt e sbagliare, e quando il ragazzo sbaglia, ha il terrore di deludere i suoi genitori, che di fatto si sentono molto delusi da lui, e lo rimproverano sempre, anche pesantemente, e non si accontentano mai di lui. Insomma come dicevo un circolo vizioso, dove il figlio insegue la perfezione ma diventa una trappola per lui perché se non la raggiunge crolla, ma quando l’ha raggiunta viene massacrato.

Così il figlio ha la continua sensazione che se non è perfetto non vale nulla, e visto che è impossibile essere sempre perfetti, cala sempre di più la sua autostima, che ogni volta che sbaglia sprofonda, e la sicurezza che lui ha di sé stesso, e lui intanto si carica sempre più di ansia. Di conseguenza non sopporta di venire scoperto a fallire, a sbagliare, che non è capace di fare quella cosa richiesta, e gli sale l’ansia da prestazione, al punto da non rendere più bene anche a scuola, dove le sue prestazioni precipitano, e così gli passa anche la voglia di studiare, perché crede che non funziona perché non ci arriva, perché è un insufficiente mentale, come spesso e senza problemi gli dicono apertamente i suoi genitori, ma non solo loro, anche gli insegnanti, e non solo loro, anche gli amici e i parenti, nel tentativo di stimolarlo, ma così ottengono l’effetto contrario, la sua paralisi, il suo blocco totale. Non a caso molti di questi ragazzi non reggono più la situazione ed interrompono gli studi scolastici, e non vanno più a scuola.

A lungo andare, il suo bambino interno nascosto legato all’autostima, che vive in questo modo nella sofferenza, e ogni giorno sviluppa sempre di più il suo carattere nevrotico, si blocca sempre di più nel suo percorso di crescita, non riesce mai a crescere e lui si sente sempre un perdente ed un incapace. E nella vita può incontrare anche bambini reali o ragazzi suoi coetanei che se vedono che sbaglia lo massacrano dandogli dell’idiota, e si sa, i bambini, e i ragazzi, poi sono tremendi, quando un loro conoscente, un bambino sbaglia, tutti lo attaccano, o anche quando un adolescente sbaglia, spesso si mettono a ridere, come mi ha detto un paziente che ha subito questa esperienza umiliativa, che era stato bullizzato. “Da piccolo ero terrorizzato quando dovevo scrivere in corsivo, perché quando sbagliavo la maestra, ed ero in seconda elementare, mi prendeva a sberle! E me la facevo addosso, la cacca addosso, dalla paura, ogni volta, e tutti in classe ridevano e mi prendevano in giro, ed ero diventato così lo zimbello di tutti. In quei momenti avrei voluto sparire dal mondo!”. E non a caso adesso che ha 30 anni è da quando ha 16 anni che fuma hascisc 3-4 canne al giorno, sono 15 anni che sparisce dal nostro mondo, di fatto.

E così lentamente il bambino o l’adolescente crede che ci sia qualcosa di sbagliato in lui, che non potrà mai farcela, ed aumenta la sua bassa autostima che arriva ad essere sottozero, ed inizia giorno dopo giorno a salire l’ansia da prestazione, sempre di più, perché si ha paura di deludere non solo i propri genitori, ma tutte le persone con le quali si interagisce, commettendo degli errori. E continua a lottare, e magari lotta per anni, oppure smette di lottare, smette di cercare di dimostrare a sé stesso che funziona, che è bravo, e crolla e si rifugia in uno stato depressivo più o meno profondo, più o meno grave, che lo può coinvolgere interamente, e lo fa sentire triste e malinconico.

Il genitore che vuole sempre coscientemente o inconsciamente il figlio sempre perfetto, perché in realtà profondamente ha anche lui un bambino nascosto, una parte bambina che si sente un incapace, perché si è ripetuta la medesima relazione patogena con i suoi genitori, non accetta che suo figlio sbagli, e gli fa venire ansia da prestazione, se non è perfetto.

Sono quei genitori frustrati che si sentono insicuri e hanno quindi bisogno di gratificazione attraverso le imprese del figlio, ma che si dissociano immediatamente da loro figlio, se il figlio non rispetta le loro aspettative. Ma al figlio non basta mai il bisogno di essere gratificato costantemente, perché dentro ormai il peggio è stato fatto, e lui si sente una nullità, anche se gli dicono che è bravo, o anche se lo dice lui a sé stesso. Nasce così un senso di inadeguatezza profonda. Così in certi casi i figli perdono la gioia di essere loro stessi, perdono la gioia di vivere, e non sono mai sereni, contenti, ma sono sempre in ansia e sotto stress, e così strutturano così un “falso sé”, e possono essere invasi anche da una forte angoscia quando crollano e si deprimono, e hanno il senso di colpa se non vengono risucchiati dal desiderio dei genitori di sentirsi bravi attraverso di loro, perché è l’unico modo per garantirsi l’attenzione dei genitori, e in ultima analisi, se fanno bene, il possibile loro amore.

Sono i figli che non riescono mai a separarsi dai loro genitori e a crescere, che rimangono attaccati ad essi, sono i figli piccoli che credono totalmente ai loro genitori, che non si immaginano neanche lontanamente che i genitori stessi possano sbagliare, e che quindi quando loro stessi sbagliano, si sentono profondamente sempre in colpa e stanno male.

La nevrosi si può generare anche quando un genitore non si fida di suo figlio e a priori ha paura che lui sbagli a fare le cose, e allora lo anticipa sempre, fa le cose al posto suo, trasmettendogli la sensazione che lui non è capace a farle, e che quindi ancora che è un incapace, un handicappato, una nullità, un cretino, senza dargli la possibilità di provare e di sbagliare, proprio perché non è contemplato in lui la possibilità di crescere sbagliando.

Sono quei genitori che il più delle volte non conoscono la psicologia e cosa vuol dire avere una inibizione intellettiva da prestazione, e quando un figlio non funziona automaticamente per loro è un insufficiente mentale, è un deficiente, è un cretino, uno scemo senza appello, ne sono convinti, e glielo dicono sempre in faccia che non vale niente, e soffrono anche tanto anche loro di avere un figlio così. Ne soffrono da morire. Hanno una botta dentro anche loro. Oppure, paradossalmente, possono conoscere anche tutti i meccanismi nevrotici, ma sono talmente nevrotici che la squalifica verso il figlio parte comunque al suo errore, anche se sanno che è inibito mentalmente, perché nasce dalla loro parte bambina giudicante. Insomma devono dare comunque al figlio dello scemo se sbaglia!

Ma la cosa più drammatica è che il figlio, finché ancora non è guarito dalla sua nevrosi, ha la tendenza con la sua parte bambina a pensare, come pensano i suoi genitori, che se sbaglia è un handicappato, e si sente anche lui una botta di emozione di paura che lo fa sobbalzare. Non è infatti stabile ancora in lui la sua sicurezza in sé stesso.

Ricordo un paziente che mi ha raccontato che suo padre era un ingegnere e che lui non era bravo in matematica, e allora suo padre gli faceva delle lezioni di ripetizione. Lui non era bravo anche perché era molto inibito e pieno di ansia, e aveva anche vuoti di memoria, quasi delle assenze, dove era addirittura capace di rispondere che 2+2 era uguale a 5, quando era sotto pressione nelle lezioni con lui di matematica, dove andava in tilt totalmente. A lezione con suo padre doveva dimostrare sempre che era bravo, doveva ad ogni costo funzionare, ed invece finiva costantemente sotto pressione ed inevitabilmente sbagliava, e suo padre invece di incoraggiarlo gli diceva: “abbassa la testa, cretino!”, e poi gli sbatteva con rabbia una matita sulla testa, decretandolo definitivamente idiota.

E lui ogni volta naturalmente si sentiva cretino, e doveva subire questa umiliazione. In realtà non era affatto cretino, ma solo inibito mentalmente, soffriva infatti di una grave forma di nevrosi invalidante e paralizzante che i certi momenti gli dava una inibizione intellettiva totale. Suo padre, anche lui estremamente nevrotico, era convinto di avere un figlio handicappato, e così lo trascurava e non lo considerava mai, ed era diventato un padre assente per lui. Mentre aveva un altro figlio, che era un genietto in matematica e nelle materie scientifiche, come informatica, un figlio, che a differenza di lui, osannava continuamente, e che seguiva costantemente, perché così, identificandosi in lui, si poteva gratificare, e lui stesso sentire meno handicappato. Per poi naturalmente massacrare quando si accorgeva che era più bravo di lui.

Bene, questo paziente mi diceva soffrendo che per una vita intera ha aspettato che suo padre si girasse almeno una volta per dirgli che era bravo, quindi in ultima analisi per sentirsi stimato ed amato, ma suo padre l’aveva stigmatizzato come lo scemo della famiglia, credeva che gli unici intelligenti fossero gli ingegneri e tutti gli altri fossero degli scemi, e osannava continuamente il fratello, che il mio paziente invidiava e temeva, e cercava sempre di emulare, ma non ci riusciva perché era bloccato. Insomma, una tragedia.

Fortunatamente non tutti subiscono questa umiliazione e non tutti diventano così nevrotici ed insicuri. Per esempio mi ha raccontato un altro paziente, più fortunato nella vita, che suo nonno gli diceva sempre, per incoraggiarlo quando sbagliava: “tu provaci, l’importante è provarci, ma se sbagli fa niente, non deve succedere nulla, non ti devi sentire non bravo o un incapace, evita solo di rifare lo stesso errore, se ci riesci, con semplicità, con calma e senza paura, perché c’è sempre qualcosa da imparare, perché sbagliando si impara, e se non si sbaglia non si può imparare”.

Era un nonno speciale, sano, sicuro di sé, che accettava che il nipote potesse sbagliare, e quindi lo aiutava a non avere ogni volta ansia da prestazione, e il bisogno di essere sempre perfetto, all’opposto di sua madre che gli diceva sempre dopo ogni verifica, anche quelle che erano andate bene: “ma non potevi fare di più?”. Non accontentandosi così mai delle sue prestazioni e pretendendo in lui sempre di più, in ogni campo della sua vita.

Un altro paziente, Armando, un paziente nevrotico, di cui sentiremo ancora parlare parecchio, è venuto in terapia lamentando di essere affetto da glossofobia, e cioè della paura di parlare in pubblico. Lui aveva bisogno di parlare davanti a 200 persone per fare carriera, ma non riusciva mai, ed andava sistematicamente in panico solo all’idea, dopo che effettivamente era andato quasi in panico una di quelle volte che aveva provato a parlare in pubblico, ben 10 anni fa.

Un giorno io gli ho detto in seduta online, perché lui il più delle volte faceva sedute online, che per guarire doveva accettare e prima di tutto riconoscere di essere imperfetto, e quindi amare la sua imperfezione, perché il suo bambino nascosto non può sbagliare, mi ha sgranato gli occhi e mi ha detto: “no, no Dottore, io lo so, io non accetto di sbagliare, non lo accetterò mai, io devo essere sempre perfetto, il migliore, non ce la faccio ad essere altrimenti!”.

Sì, lei deve essere sempre perfetto, solo l’idea di sbagliare le fa venire un colpo, una botta dietro al petto. Un giorno mi disse, quando era già a buon punto della sua guarigione, perché aveva preso consapevolezza dei suoi limiti: “da piccolo le pretese su di me erano troppo alte. Mamma e zii hanno sempre visto in me un futuro genio, un qualcuno che secondo le loro aspettative avrebbe sicuramente raggiunto nella vita un futuro importante, diventando chissà chi di importante, una persona famosa, al punto anche che alla fine ci ridevano anche sopra di questa faccenda”. Mentre lui certamente ci rideva meno!

Questo è il racconto del paziente: “Tu diventerai qualcuno, mi dicevano sempre, io che ero il primo di 14 nipoti, le aspettative verso di me erano altissime. Mia mamma forse mi ha inculcato troppo prepotentemente l’obbiettivo di essere sempre super. Mi ricordo che a 10-15 anni dovevo sempre soddisfare le aspettative degli altri. Ancora adesso, che ho 47 anni, devo essere perfetto con mia madre, perché se sbaglio non soddisfo più le sue aspettative, e quando lei anche involontariamente mi fa una critica, mi dà un fastidio enorme”.

Ed io ho aggiunto: “se non è perfetto agli occhi di sua madre non soddisfa più il narcisismo di sua madre, che così ha paura che sua madre non le voglia più bene, e non riesce a parlare in pubblico da ben 10 anni (che è il motivo per cui è venuto da me), perché le 200 persone che la ascoltano sono come sua madre, e come suo padre che la criticano e le dicono che non è il migliore, il perfetto, e così lei sparisce, se deve fare le cose sempre in funzione degli altri, lei stesso sparisce. A lei vengono gli attacchi di panico a parlare in pubblico perché l’idea di sbagliare, di un possibile suo anche minimo errore, la porterebbe a non fare la prestazione da Dio assoluto, che lei vuole fare per riscattarsi, per fare vedere a tutti, che non è un fallito, per poter così recuperare con una mega esposizione, con una mega prestazione perfetta, 10 anni dove non ha mai avuto il coraggio di parlare in pubblico davanti ai suoi colleghi. Perché lei ha paura che tutti come sua madre, se sbaglia e non è perfetto, pensino sicuramente di lei che è un handicappato, un insufficiente mentale (che è quello che lui crede che pensino tutti)”.

Un altro paziente, viveva una situazione drammatica, ogni volta che una persona sbagliava, specialmente se era a lui vicina dal punto di vista affettivo, come esempio potrebbe essere stata una figlia o un figlio. Era più forte di lui, anche se sapeva che suo figlio era intelligente, perfino molto intelligente, gli veniva il tremendo dubbio, se sbagliava, che fosse insufficiente mentale, che fosse scemo, ed era sempre lì a controllare, quindi, come faceva con sé stesso, se funzionava o non funzionava, se fosse questa persona intelligente o meno, ben sapendo che era l’emozione della sua parte bambina, la sua emozione, ma comunque l’emozione la provava, di inadeguatezza dell’altro! Il meccanismo psicologico si chiama proiezione. Attribuire all’altro una cosa che ti riguarda.

Era più forte di lui, doveva sempre controllare se l’altro era perfetto o meno. No, anche solo un minimo di imperfezione su sé stesso o sugli altri era intollerabile, da squalifica totale. Ben sapendo che anche i suoi genitori avevano fatto sempre lo stesso anche loro con lui, ma non riusciva a non squalificare. Così la sua parte bambina era feroce, dava giudizi senza appello, a destra e a manca, bastava che la persona faceva un errore, che la stima verso di lei che si era acquisita da anni spariva, anche solo per un attimo, e c’era bisogno della conferma ogni volta, perché la tornasse a stimare.

È impressionante quindi come non ci sia una via di mezzo, un grigio costante, o si stima o si denigra, o bianco o nero, mentre invece nel peggiore dei casi si denigra sempre. Un figlio, paradossalmente, può essere bravissimo in tutte le materie, ma basta un errore di non comprensione di qualcosa, cha la stima verso di lui crolla di colpo, e il paziente, visto che è suo figlio, si angoscia lui stesso sentendosi lui stesso una nullità.

Quindi anche in questo caso l’esame di realtà, e cioè credere che una persona è sempre bene o male brava, sparisce, e possono essere giudizi categorici negativi e deprezzamento totale verso il figlio se non è sempre perfetto, se sbaglia a fare anche solo una minima cosa, magari quando il giorno prima era riuscito a prendere anche 10, il massimo dei voti in materie difficili.

É pazzesco come il giudizio verso una persona, anche un figlio, a cui si vuole un bene da morire, così risulta connesso inevitabilmente a se stessi e alle proprie parti bambine che si auto svalutano, e auto svalutano a loro volta, e non esiste che ci sia una costanza della rappresentazione mentale positiva della persona considerata bene o male intelligente comunque, anche se sbaglia, no, o tutto o niente, o la persona viene vista come un genio se va bene, o viene pensata insufficiente se va male, con il conseguente tremare di se stessi che ci si sente di colpo una nullità, perché ci si identifica con lei.

Sono quei genitori che devono continuamente raccontare le gesta dei loro figli a tutti, che si vantano attraverso i figli, che devono sempre esagerare quando raccontano le prestazioni dei loro figli, magari se hanno preso 8, e sono già bravi, dicono che hanno preso 9, un voto o addirittura due voti in più, ben sapendo che non è vero, ma per non sentirsi incapaci loro stessi, non riescono a non mentire. Il loro dramma da genitori è che quello che è il figlio sono anche loro, separazione zero!

Ci sono a tale proposito genitori che non fanno altro che dire a tutti che i loro figli sono i migliori, raccontandone continuamente le gesta, naturalmente ingigantendole, ma il bello è che non se ne rendono conto neanche loro, tanto hanno bisogno di farlo per non essere visti dagli altri loro stessi insufficienti, come vedono loro gli altri perdenti.

Questi genitori accusavano il mio paziente e lo stigmatizzavano ogni errore che faceva, dandogli ogni volta dello scemo.

È pazzesco come queste persone si comportano così con loro stesse allo stesso modo, e come lo si può veramente osservare, e lo osservano anche loro stessi, solo alla fine dell’analisi, o della psicoterapia che funziona, quando il paziente, che sta sempre meglio, si eleva e dall’alto si guarda giù come funziona, si osserva in diretta, come funziona la tua parte bambina, il cui funzionamento sempre più da inconscio diventa cosciente, e quindi visibile. E così anche ogni minimo errore che il paziente fa per lui è insopportabile, intollerabile, inaccettabile, perché anche per sé stesso, è la dimostrazione definitiva che lui è uno scemo totale, una nullità, un perdente senza appello.

Quindi, come non esiste la costanza dell’oggetto dal punto di vista affettivo, cioè quando una persona rimane dentro di te e c’è dentro come affetto stabile costantemente senza sparire sia quando commette atti buoni che quando purtroppo sbaglia e commette atti diciamo meno buoni o “cattivi”, così non c’è la costanza dell’oggetto narcisistico, e cioè non c’è costanza di giudizio dell’altro, che se sbaglia è cretino e lo sei anche tu, se è per esempio un figlio, se fa giusto invece è un genio, e lo diventi anche tu.

Quindi, ripeto, l’esame di realtà è insufficiente e sfasato. E cioè non si vede la realtà per quella che è, assolutamente, perché l’esame di realtà non è sfasato solo nell’ambito psicotico, ma può esserlo benissimo anche nell’ambito nevrotico, come abbiamo visto finora abbondantemente, anche se in maniera diversa.

Un giorno, sempre Armando, mi ha detto: “sì Dottore, io non sopporto di avere difetti, ha ragione lei, ho paura che mi scoprano che sbaglio, che sono in difetto, la possibilità di un loro giudizio negativo del gruppo mi fa partire il blocco, l’attacco di panico, più o meno forte. E’ vero, come dice lei, che c’è del perfezionismo in me, che io devo essere sempre perfetto, per non sentirmi quello che il mio bambino nascosto si sente sempre, e cioè una nullità, e ogni volta mi metto alla prova per vedere io stesso se sono bravo, e se faccio una cosa giusta mi sento Dio e salgo alle stelle, e sale la mia autostima di colpo da zero che era a mille, ma subito dopo se ne faccio un’altra cosa sbagliata, crolla tutto e mi risento una nullità, basta un minimo errore per farmi sprofondare di nuovo e mi sento tremendamente fragile, non mi sento stabile, e traballa il mio Io!”.  

L’emozione e la sofferenza nel sentirsi degli incapaci può essere tremenda, devastante, e può paralizzare qualsiasi prospettiva futura, perché si è convinti di non valere niente nel presente e anche nel futuro, si è convinti che è impossibile raggiungere un traguardo perché si è limitati. E si può raggiungere veri momenti di profonda disperazione, dove è sovrana non solo l’ansia ma anche l’angoscia. Dove ci si sente degli uomini finiti, e non si capisce che senso ha vivere.

 

Nascita della sintomatologia nevrotica

Quando poi il bambino, il fanciullo, a mano a mano che diventa prima adolescente e poi adulto, non riesce a guarire da queste problematiche, da solo o con l’aiuto di qualcuno, allora si dice che il conflitto diventa cronico, e cioè si dice che il conflitto è internalizzato, perché diventa interno dentro di lui, e così si ammala di nevrosi, e diventa un adulto nevrotico, rimanendo così con un bambino interno inconscio che non è cresciuto e si sente una nullità, un bambino nascosto che è intrappolato dentro di lui, un bambino che non gli appartiene, che non è il paziente, ma è diverso da lui.

Succede così che questo bambino, anacronistico, rimane con uno schema patogeno in testa, che è lo schema della relazione con i suoi genitori svalutanti e pretendenti, che è stato generato da milioni di momenti relazionali con lui, nell’infanzia, bene o mali simili, che lo hanno fatto soffrire, e che ora vede nella vita, in maniera anacronistica, in tutte le sue relazioni presenti, e così il passato con le sue emozioni irrompe con prepotenza nel presente e lo inquina e lo stravolge, fino al punto che l’esame di realtà è sfasato, non finirò mai di sottolinearlo.

Ad ogni relazione c’è sempre dell’ansia, più o meno importante. Come da bambino, così, anche l’adulto, se non viene curato, o cambiando linguaggio se non viene fatta crescere la sua parte bambina fino all’adultità, può vivere anche 50 anni o tutta la vita col bisogno continuo e la conseguente paura di dimostrare di essere bravo e l’ansia, il terrore se non lo è, e se non riesce a crescere e a guarire da solo, allora nasceranno i sintomi più importanti, come per esempio il rischio di cadere in uno stato depressivo, e un’ansia bene o male costante, che può arrivare ad essere generalizzata, e che cioè non lo lascia mai.

Così ogni giorno lui è un bambino piccolo che si sente di non valere nulla e deve continuamente dimostrare il contrario per non cadere in uno stato depressivo profondo. È inutile che gli dicano che potenzialmente senza l’ansia invalidante potrebbe essere una persona normale, no, inconsciamente non ci crede, crede solo di essere un insufficiente mentale, un fallito, ed è questo il suo profondo dramma che lo paralizza nella vita.

In alcuni casi il ragazzo che subisce questa patologia può smettere, come un mio paziente di 17 anni, perfino di andare a scuola, e si chiude nella sua camera, a volte si chiude nel suo silenzio e nella sua disperazione, ed inizia a fumare hascisc, o a drogarsi, o a giocare con i videogiochi più di 10 ore al giorno, come tentativo più o meno cosciente di evadere dalla sua sofferenza, dalla sua angoscia più profonda, come tentativo paradossalmente di curarsi, dimostrando magari a se stesso, attraverso il successo nel videogioco, che funziona. Finché magari ha il coraggio di chiedere aiuto ai suoi genitori, e di chiedere di andare da uno psicologo, perché lui da solo non ce la fa, sta troppo male.

In altri casi, invece, quando il conflitto e la disperazione sono meno massicci, la natura ti aiuta in adolescenza a guarire da solo, ti dà una chance, ma solo pochissimi ci riescono, perché se hanno vissuto una relazione profondamente patogena con i loro genitori, o anche solo con uno di essi, no, non c’è niente da fare, ci si ritrova malati, o come ho detto nell’articolo precedente sui bambini nascosti, ci si ritrova senza essere cresciuti e sempre comunque bambini che non si è cresciuti e che si deve far crescere, perché il bambino nascosto che non è cresciuto è sinonimo di bambino nascosto malato, è la stessa cosa.

Il bambino reale con tratti nevrotici, che poi diventerà un adolescente ed un adulto nevrotico, quando si dice il suo conflitto diventa internalizzato, che significa, come abbiamo visto, che è dentro fissato e radicato dentro di lui, quando non riesce a crescere si blocca del tutto e rimane bambino, intrappolato nella sua coazione a ripetere sempre uguale, ed è lì che nasce la sua parte bambina che non è cresciuta, il suo bambino nascosto inconscio legato all’autostima, malato, e da adulto ha tutte le caratteristiche che aveva quel bambino nell’infanzia o quell’adolescente in adolescenza, e cioè un’autostima sottozero e il suo sentirsi una nullità. Lui così crede che non vale nulla.

Così la sua parte bambina insicura, si riempie di ansia, che a seconda del conflitto può essere sempre più forte, e radicalizzata, e perdurante, come abbiamo visto generalizzata, e questa ansia lo porta ad avere i sintomi, che possono essere più o meno invalidanti.

Ma cos’è l’ansia e soprattutto perché si genera? L’ansia è una risposta corporea ad una paura, la paura di sbagliare, che dovrebbe attivare il corpo a difendersi da un pericolo, ma quando è troppa diventa disfunzionale, e il bambino l’adolescente e l’adulto possono arrivare a non funzionare più.

Quando si ha il terrore e c’è un grosso pericolo che si può sbagliare, perché abbiamo visto non si soddisfano i propri genitori che possono arrivare ad odiarti e a non volerti più bene, che poi diventano i tuoi genitori interni persecutori, oppure non si soddisfa se stessi quando dobbiamo continuamente dimostrare anche a noi che siamo bravi, il pericolo di sbagliare diventa vitale e allora il corpo produce ansia che è una difesa corporea ad una paura. L’ansia nasce non solo quando si ha la paura di sbagliare, ma quando si sbaglia realmente, e si ha paura, una paura tremenda della reazione dei genitori se ti scoprono, che può anche essere rabbiosa. Il corpo si irrigidisce, c’è una contrazione della muscolatura di ogni muscolo, perché il soggetto deve attivarsi per affrontare il pericolo, come se si trovasse davanti ad un leone che lo vuole azzannare e fare fuori. L’ansia è la risposta corporea per difendersi da questo pericolo, ma quando è eccessiva diventa disfunzionale e nascono i sintomi.

I sintomi si dividono in due categorie, sono relativi alla sfera cognitiva, al funzionamento mentale, e relativi alla sfera corporea.

La persona non riesce più a pensare e il suo corpo si irrigidisce fino a potersi bloccare con un attacco di panico.

Il sintomo nevrotico, che può essere diverso a seconda della psicopatologia che una persona subisce, consiste nell’avere un’estrema paura e terrore nel venire scoperti ad essere insufficienti, negativi, sbagliati, ad essere dichiarati falliti, ad essere scoperti mentre si sbaglia, ad essere scoperti in fallo, è una cosa tremenda. Il sintomo nevrotico si crea perché non si accetta l’imperfezione.

In entrambi i casi, subentra l’ansia, che può essere anche un’ansia importante, che emerge come difesa rispetto al sopraggiungere di un pericolo, una paura, che ha il paziente di crollare nell’errore davanti agli occhi di tutti, di venire scoperto che sbaglia.

L’ansia massiccia produce quindi inibizione intellettiva e irrigidimento corporeo.

Quando viene coinvolto il funzionamento mentale che diventa deficitario, si parla di inibizione intellettiva, dove c’è un’altra persona, che è la parte piccola del paziente, che ruba parzialmente o totalmente il cervello al 100% al paziente, dico sempre io in gergo popolano, cioè si impadronisce della sua mente, e la parte adulta non ha più voce in capitolo e ne risulta succube.

Io mi esprimo così con i miei pazienti, per fargli capire praticamente e con parole semplici cosa sta succedendo dentro di loro.

Nell’inibizione intellettiva c’è una estrema difficoltà a riprendere in mano le proprie facoltà cognitive da parte della “parte adulta” del paziente, quella che ha continuato a crescere dentro al paziente e non è rimasta bloccata al conflitto come la parte bambina, e la persona sta male, viene sopraffatta, perde il contatto con la profondità di sé stessa, con il suo pensiero, a volte vacilla il suo esame di realtà. E a volte vacilla anche il suo io, perché può arrivare al punto di non avere piena consapevolezza di sé stesso.

Invece, quando l’ansia coinvolge il corpo, tutto il corpo può tremare fino a stare molto male, perché c’è uno scoppio, un subentrare di ansia, di molta ansia disfunzionale, che può paralizzare il corpo, e ci può essere addirittura come sintomo una sorta di crisi di panico, che è la massima espressione della paralisi del corpo stesso, perché c’è un blocco psicosomatico totale di esso.

L’ansia può essere forte o meno forte, e può portare a sintomi differenti a seconda della sua gravità. Ci possono essere sintomi anche somatici cronici, più o meno gravi, a seconda della quantità dell’ansia, e della sua cronicità, oppure, se il paziente è meno compromesso, ci possono essere sintomi più lievi, che sopraggiungono all’arrivo dell’ansia, come un improvviso sopraggiungere del riflesso psicogalvanico (sudore alle mani).

L’ansia disfunzionale porta comunque un eccessivo irrigidimento della muscolatura corporea, che può sfociare in mal di testa più o meno intensi, dolorosi, come per esempio in una emicrania muscolo tensiva. Ricordo un paziente che stava talmente male che quando gli capitava l’attacco di mal di testa, gli pulsava dietro l’occhio e sentiva un dolore fortissimo, e doveva andare a letto, e stare al buio, e poteva capitare anche per giorni interi.

Un altro sintomo è per esempio un continuo sfregamento dei denti, chiamato bruxismo, che significa digrignare i denti, anche di notte, e i denti si consumano fino a lisciarsi. Oppure si può arrivare a grossi problemi di digestione e di metabolismo, a coliti, addirittura a ulcere, più o meno gravi.

Insomma i sintomi possono essere molteplici e possono coinvolgere diverse parti del corpo. Ci possono essere anche tic, che possono essere di diversa natura. O anche mangiarsi le unghie o le pellicine delle dita, fino a scorticarsi e a farsi venire fuori del sangue, può essere un sintomo nevrotico.

Una sfera che è molto colpita dal punto di vista sintomatologico, quando ci sono problemi legati all’ansia da prestazione, è la sfera del linguaggio. Possono subentrare problemi di linguaggio, fin da quando il bambino è giovane, come la balbuzie, blocchi del linguaggio, dove la persona si blocca e non riesce più a parlare, fino al blocco più o meno grave delle sue funzioni cognitive, perché è talmente concentrato a funzionare e a non balbettare o bloccarsi, che non ha più energia per poter pensare e collegare i pensieri, che quindi non può più utilizzare. Sparisce così la libertà di pensiero, e il più delle volte ci possono anche essere deficit di memoria, sia a breve che a lungo termine, fino ad arrivare a forme di dissociazione vera e propria, quando il soggetto ha delle assenze e si dimentica quello che stava dicendo, anche in maniera, a volte, molto imbarazzante e catastrofica.

Alla base di tutta questa sintomatologia, c’è la paura, il terrore, di essere insufficienti mentali, e di mostrarsi tali, e quindi il giudizio degli altri che si crede squalificante e che quindi paralizza, e il giudizio di sé stessi, perché il primo che trema perché si sente un incapace è il paziente stesso, che può funzionare, come può non funzionare, e quindi, a seconda delle circostanze e del suo percorso analitico, essere più o meno invaso dai sintomi.

Ci sono certi balbuzienti che credono che il loro problema sia organico, mentre invece è assolutamente psicologico. E va curato attraverso una psicoterapia psicoanalitica, che possa cioè andare alle radici del problema stesso, come vedremo, per cercare di elaborarlo e quindi per cercare che non abbia più ragione di esistere.

Quando il conflitto è già internalizzato, e cioè è radicato dentro il paziente, il bambino in origine si osserva e vede che non funziona, che non rende, e si convince di essere un incapace, non capisce che potenzialmente potrebbe funzionare se fosse privo del conflitto, perché, non l’ha mai sperimentato di esserne totalmente libero, perché vive talmente fortemente costantemente il conflitto, che ne è sopraffatto. Ogni volta ci si mette alla prova per vedere se si funziona, quando il conflitto internalizzato è radicato, e non c’è apparentemente nulla da fare, si può anche ricoprire ruoli importanti nella vita dal punto di vista professionale o di studio, irraggiungibili se non si fosse intelligenti, ma questo non basta mai, ci si sente sempre messi alla prova e giudicati una nullità, non una possibile nullità, magari fosse così, no una totale nullità, sì, perché la parte bambina non sa vederti altrimenti, o tutto o niente! E ti dice ogni secondo da una vita, da decenni che sei irrecuperabile, che non vali nulla, che sei un perdente, un fallito, ecc. ecc., e tu puoi perdere la motivazione di affrontare il mondo, e purtroppo a volte anche di vivere, nei casi più gravi.

Quindi, la parte bambina, o ti fa sentire una nullità, o ti fa sentire un Dio, e subentra l’onnipotenza, a volte l’arroganza, in alcuni casi la maniacalità, e il disprezzo verso gli altri che vengono denigrati e invidiati, anche con rabbia, perché anche l’invidia e la rabbia sono una componente importante di questa psicopatologia.

Si può essere infatti tanto rabbiosi verso gli altri, perché ci si sente attaccati e giudicati da loro, fino ad avere vere e proprie manie di persecuzione, e tutto il mondo diventa cattivo, perché ti giudica e ne hai paura, e la denigrazione rabbiosa verso gli altri ti porta a distanziarti da loro e dal loro giudizio visto come persecutorio. E ci si sente giudicati da tutti, anche se non è vero che ti giudicano, magari ti danno solo dei consigli, specialmente le persone che ti vogliono bene.

Ci può essere anche una scarsa considerazione verso gli altri, che vengono considerati sottozero, come i propri genitori consideravano il paziente, così che la storia si ripete tra generazioni, da generazione a quella successiva.

E la situazione si ripete quando ogni volta nella vita si incontrano persone nel presente che possono in qualche modo assomigliare alle proprie figure primarie di riferimento attraverso le quali si ha subito il conflitto, e ci si ritrova in difficoltà perché emerge subito di nuovo di colpo il conflitto internalizzato alla vista di queste persone, cioè c’è un blocco psicosomatico dovuto alla paura della parte bambina che ha il terrore ad essere giudicata, con la conseguenza che alla base della sua psicopatologia lei si sente insicura e ha poca autostima di sé stessa. Così il paziente si trova in una sorta di “falso sé”, che lo fa sentire fuori da sé stesso, in balia ad altre forze ed emozioni che sono dentro di lui, e non è più lui, ma che lui sente attraverso il suo corpo. Il paziente torna così di colpo ogni volta a vivere le stesse emozioni di paura che aveva durante l’infanzia e l’adolescenza, e a paralizzarsi davanti ad esse.

Vi garantisco che dal punto di vista sintomatologico è una situazione terribile, drammatica, che non auguro assolutamente a nessuno! Neanche al mio peggiore nemico, si dice così. Perché l’esame di realtà porta a vedere in diretta le proprie limitazioni, e fa male vedere ogni volta che non si può essere sé stessi, ben sapendo cosa vuole dire essere sé stessi, quando si è già avanti nella terapia, perché si è sperimentata parzialmente, solo alcune volte la libertà di pensiero, e la libertà dall’ansia che attanaglia il tuo corpo, anche se a volte si è talmente immersi nella patologia che non si vede neanche l’azione della parte bambina, si prova solo una grande ansia, e si sta male, e non si riesce a capire come mai, non basta dire che quella persona non è tuo padre o tua madre, magari! Non basta dirsi che tu hai paura di sbagliare, e che devi dimostrare sempre che sei bravo! Bisogna cercare di elaborare tutte le dinamiche che intercorrono, ma questo processo deve essere fatto con estrema pazienza, e all’inizio il più delle volte fallisce. No, non si riesce ad elaborare niente, ma si subisce il conflitto, rimanendo impotenti di fronte ad esso.

Quando si è succubi del conflitto e ci si ritrova a non funzionare, riemerge molta ansia e magari non si riesce a parlare e ci si blocca, e allora bisogna solo aspettare magari con dispiacere perché le si vuole bene, che questa persona, che ha generato lo stato di attivazione del conflitto, che inconsciamente hai scambiato per un tuo genitore, vada via, e solo quando si ritorna soli l’ansia lentamente scema, anche se un po' rimane sempre. Come dire, attraverso il linguaggio del corpo: “meglio sempre essere in allerta, che non mi ricapiti la stessa situazione, no, non posso rimanere senza ansia, altrimenti mi privo delle sue difese massicce e mi tolgo la protezione”.

E la convinzione di non valere niente è totalizzante, e può perseverare per decenni. Inoltre c’è una enorme vergogna ad essere scoperti dagli altri che non si funziona, e che quindi ti stigmatizzino come un handicappato, con una diagnosi senza appello.

Si sta male e non si sa perché, e ci si abitua a tale situazione come se fosse la norma, ed è quando la parte bambina è totalmente sconosciuta, e si crede che i sintomi ti appartengono, sono tuoi, della tua parte adulta, e non della tua parte bambina.

E così, è un dramma il più delle volte per un ragazzino, per una ragazzina, o per un adolescente in genere, vedere tutta questa sua sintomatologia, vedere che lui stesso fa fatica a funzionare, è un dramma osservare i suoi limiti, vedere che invece gli altri, i suoi amici funzionano e non si bloccano, che è l’ulteriore conferma che è limitato, senza possibilità di appello, vedere che ogni errore che fa lui o le persone che ama di più, lo fa sobbalzare emotivamente, gli fa venire una botta dentro, e lo annebbia, perché è la conferma che è un fallito, una nullità, un insufficiente mentale, ma soprattutto che non c’è nulla da fare, che è impossibile stare meglio, e tantomeno guarire, perché non si sa di essere malati! E nasce l’invidia verso le persone che stanno bene. E la rabbia verso di loro e verso sé stessi.

E si è convinti che gli altri se ne accorgano anche loro, se tu sbagli, e che sicuramente ti considereranno un limitato, se lo scoprono che sbagli, anche perchè molto spesso te lo dicono apertamente in faccia, specialmente le persone arroganti che a loro volta hanno bisogno di sentirsi Dio e di distruggere gli altri, che ti considerano inferiore o con dei problemi, che non vedono l’ora di rilevare e sottolineare ogni minima debolezza, per attaccarti di persona, e sentirsi così bravi solo loro. Se poi te lo dice il tuo migliore amico che sei un limitato, o un parente, o un fratello o un genitore, insomma una persona a cui vuoi bene e a cui credi, vi garantisco che è una mazzata ogni volta, sono come delle cinghiate fisiche, e si vorrebbe sprofondare nell’abisso per sempre. Perché non ci si abitua mai a sentirsi denigrati, mentre chi ti denigra non è in analisi e sicuramente lo farà sempre, bisogna abituarsi e prevederlo, operazione difficilissima. Perché in realtà si vuole essere sempre amati ed apprezzati da tutti.

Ci si può sentire handicappati, pazzi, malati mentali irrecuperabili, e può a questo punto subentrare una sorta di tremendo sconforto, di tremenda tristezza, di smarrimento, che può sfociare in uno stato depressivo più o meno intenso e grave, profondo, quando ci si accorge di sbagliare anche in maniera clamorosa, magari in pubblico, e così ci si sente totalmente una nullità, perché non si funziona, e si continua a monitorarsi per difendersi quando non si funziona, e si lotta, mentre a volte lo sconforto ti fa perdere qualsiasi speranza, che si perde, e allora si vorrebbe sprofondare e sparire, e così a volte possono subentrare pensieri estremi, come quelli di farla finita, di suicidarsi, tanto lo stato di malessere è profondo, quanto si sta male.

Quando il centro della tua vita diventa la prestazione in assoluto in ogni campo, l’essere perfetto e il non sbagliare nulla, e così ogni volta che si vive, cioè sempre, costantemente, bisogna continuamente dimostrare di essere non solo bravi ma i più bravi, vi garantisco, è una trappola, ed è molto faticoso, dover aspettare sempre che ti facciano i complimenti, e fare ogni cosa perché te li facciano, e controllare ogni istante anche te stesso per vedere se sei perfetto e non sbagli, e anche tu sei costretto a fare a tutti i complimenti, così te li fanno anche a te! Per carità! Che ansia, quando te ne accorgi!!!! Ma ancora di più quando non sei cosciente di questi meccanismi, quando non te ne accorgi.

Spesso anche il rendimento scolastico è deficitario a causa dei sintomi nevrotici, e anche gli insegnanti non capiscono che il bambino o il ragazzino o il giovane adulto non ci arriva per problemi psicopatologici, e non riescono ad aiutarlo, e a loro volta lo denigrano, come fanno i suoi genitori.

Inoltre quando si è pieni di ansia, le persone lo percepiscono empaticamente, e sentono l’ansia, e ne sono invasi anche loro, e si allontanano, perché non si è di buona compagnia, perché la propria rigidità mentale e corporea inquieta, e si sente che non si viene cercati da nessuno, mentre magari tuo fratello, che non ha questi problemi, è il leader della compagnia e lo cercano tutti. Queste persone tutti cercano di evitarle.

L’ansia delle persone ansiose si sente, si percepisce, si annusa, inquieta, dà fastidio, si cerca di evitare, si vede che le persone non sono spontanee, che sono costipate, che non sono veramente loro stesse, che sono in balia di altre forze che le comandano, ma soprattutto si sente a livello empatico che l’altra persona non c’è, perché non ti può vedere per quello che sei, e quindi non ti rispetta, e ti annulla. Si sente che c’è qualcosa che non va in loro.

Lo psicoterapeuta sente l’ansia di queste persone ansiose ed è abituato a sentirla e a gestirla contro- transferalmente, perché è abituato a distinguere la sua ansia da quella del paziente, ma non tutti la sanno gestire, perché l’ansia degli altri evoca fantasmi passati, sveglia scheletri nell’armadio, perché tutti bene o male siamo passati ad averne anche solo un po', specialmente in adolescenza quando abbiamo affrontato il nostro conflitto edipico, e abbiamo lottato contro chi ci voleva bene per distruggerlo, per farlo fuori, perché non esistesse più, perché ti lasciasse il campo libero dalla sua presenza, specialmente se era un persona che ti faceva male.

 

La cura delle nevrosi

Nelle situazioni nevrotiche, dove la fa da padrone la parte bambina dominante insicura, e si vive in una totale insicurezza, che deriva da una sorta di relazioni infantili squalificanti, come abbiamo visto e come vedremo ancora meglio, la prima fase della terapia prevede la presa di coscienza del ruolo e della presenza della “parte bambina”, del bambino nascosto, che deve essere visto, osservato dal paziente, dalla sua parte adulta grande cosciente, e questo prima o poi deve avvenire se il paziente vuole guarire, è pregiudiziale per la sua cura.

Lo psicoterapeuta deve subito, fin dalla prima seduta, sottolineare al paziente che non è solo lui in realtà, ma che c’è dentro di lui un’altra persona, che è un bambino nascosto interno a lui che lo comanda, che lo fa trottare come un burattino, che lo manovra, che manovra i suoi fili senza che lui se ne accorga, senza che lui se ne possa accorgere, e che lui, se si libera da questa persona, se si libera da tale assedio, potrebbe essere un altro, un'altra persona, e cioè tornare ad essere solo se stesso, tornare ad essere padrone a casa sua, o meglio esserlo per la prima volta, perché se sei stato bloccato fin da bambino, non sei mai stato libero, veramente. Il paziente così deve capire che se non avesse questo bambino latente che lo comanda da una vita, potrebbe essere un’altra persona, e su questo registro deve insistere lo psicoterapeuta, in modo tale da dare fiducia al paziente che un giorno ce la può fare a vincere e a liberarsi da questa oppressione, se supera un giorno il suo conflitto, facendo crescere, con il suo aiuto, la sua parte bambina malata.

Naturalmente ci sono tanti modi da parte del terapeuta per verificare l’esistenza o meno della parte bambina, e cioè quanto e se il paziente è malato, se è nevrotico, e se potenzialmente veramente potrebbe funzionare, una volta guarito, o se è veramente insufficiente mentale, perché certi pazienti veramente sono purtroppo limitati dal punto di vista cognitivo, dal punto di vista organico, e allora il lavoro è diverso, vanno aiutati a prendere coscienza delle loro deficienze, ad accettarle e a conviverci. Francamente ne ho trovati pochissimi di questi pazienti, più o meno insufficienti mentali, con seri problemi cognitivi.

Ci sono poi i pazienti che sono comunque intelligenti, ma hanno pochissima capacità introspettiva, e quindi anche con loro è difficile lavorare, è molto complicato.

Il più delle volte invece incontriamo pazienti, anzi che sono di solito anche molto intelligenti, ma che possiedono inibizione intellettiva, senza la quale saprebbero perfettamente funzionare, e quindi sfruttare tutte le loro potenzialità.

Per verificare tutto ciò e convincere il paziente che non è uno stupido, un cretino, come lui si crede, nel caso che ha le sue potenzialità, a volte invito il paziente alla somministrazione di test cognitivi che misurano la potenziale intelligenza del paziente, e il più delle volte emergono delle sorprese positive, e lui si sorprende di quanto è intelligente, mentre a volte il paziente è talmente inibito che fallisce anche nei test, o addirittura li rifiuta. Ma ci sono altri modi per vedere se una persona è intelligente o meno, comunque lo psicoterapeuta lo può vedere anche solo dai colloqui iniziali in fase diagnostica, perché è abituato a fare anche questa valutazione, specialmente se ha pratica, ed è un po' di tempo che fa questo lavoro, perché a volte il test può essere visto come invasivo, ed inquieta.

Anche io uso il test psicologico cognitivo solo come ultima spiaggia, in realtà tendo a non usarlo, perché a volte lo ritengo invasivo, e quindi preferisco farmi guidare dalla mia esperienza.

Quello che invece faccio sempre, è invitare il paziente, o il possibile futuro paziente, a leggere il mio primo articolo sui bambini nascosti, ed intanto ne illustro la teoria sia dal punto di vista teorico che pratico. Ma non insisto perché lo leggano. Molto spesso infatti preferiscono non leggerlo.

Il bambino nascosto narcisistico, e cioè quello legato all’autostima che genera la patologia nevrotica, può rimanere nascosto per una vita intera, e rimanere fermo lì, bambino, alla sua età, senza mai crescere, fin dall’infanzia, finché non viene scoperto e fatto crescere, e così ricomincia il suo percorso di vita, per raggiungere la parte grande, adulta del paziente che già è cresciuta, e non vede l’ora di aspettarlo, anche perché la sua libertà dipende dalla guarigione di questo suo figlio, di questo bambino inconscio interno bloccato.

La persona nevrotica in teoria ha la possibilità anche in adolescenza di superare il suo conflitto anche da solo, ma se il conflitto è molto profondo è molto difficile, e quindi se non ci riesce, il paziente rimane nevrotico e lo può rimanere per tutta la vita, se non decide seriamente di farsi curare e di entrare in psicoterapia, ma bisogna essere molto motivati alla cura, e bisogna permetterselo, sia dal punto di vista delle proprie difese psicologiche personali, sia economicamente, ma vi garantisco che ne vale assolutamente la pena. E bisogna avere tanta energia psichica a disposizione per inseguire la guarigione, e raggiungerla, ma soprattutto bisogna che qualcuno ti spieghi non solo che sei malato, ma che puoi guarire, e questo vale per le persone il cui carattere è pervaso dalla malattia e non si accorgono di essere nevrotici.

Da soli è molto difficile guarire, praticamente impossibile, se si è superata una certa età, e cioè togliersi dal conflitto, dalla nevrosi, e cioè snevrotizzarsi, specialmente se la nevrosi ha radici profonde, antiche, e quindi il conflitto è troppo profondo, e risulta lontano dalla propria coscienza, ed è quindi apparentemente irraggiungibile.

Io sono convinto che in potenza tutti i veri nevrotici possono essere curati, nessuno escluso, ma bisogna avere pazienza, non bisogna avere fretta di guarire, perché i nevrotici sono una gran bella gatta da pelare, tanto la loro psicopatologia è profonda ed intensa, è misteriosa ed invalidante. La psicoterapia psicoanalitica si occupa proprio anche della cura di questi pazienti che sono in difficoltà e stanno male a volte in maniera silenziosa ma massiccia, e sono pieni d’ansia e di sintomi disturbanti, un’ansia sottile che li sovrasta, che li padroneggia, che li annebbia, e gli impedisce di vedere la vera realtà, e gli fa vivere le loro relazioni interpersonali in maniera distorta, un’ansia che gli impedisce di raggiungere la loro gioia, e la gioia degli altri. Un ansia, come abbiamo visto, che può essere assolutamente invalidante.

Ma come si fa a guarire? Cerchiamo di andare per ordine. All’inizio della psicoterapia, bisogna cercare di fare in modo che il paziente veda prima o poi la sua parte bambina in azione, come abbiamo già detto, e solo quando inizierà a vederla e ad agganciarla, che a sua volta sarà veramente agganciato anche lui e sarà il vero inizio della psicoterapia risolutiva, che guarisce. La fase dell’aggancio è la prima fase, e può durare a lungo, ed è direttamente proporzionale a quanto è profondo e nascosto nell’inconscio e quindi difficilmente raggiungibile il suo conflitto, almeno all’inizio.

Nella fase dell’aggancio, la prima cosa che bisogna fare è dare un nome alla parte bambina, è importantissimo, è uno stratagemma per fare vedere al paziente che dentro di lui c’è un’altra persona, con la quale dovrà fare i conti per molto tempo, se vorrà guarire, un giorno.

Il paziente vive più sulla fiducia dell’esistenza di questa parte bambina, all’inizio, perché nelle prime fasi della terapia, il più delle volte, non si riesce a vedere, ma che viene mostrata fin dall’inizio dallo psicoterapeuta, che la vede fin dal primo giorno, e che invita il paziente a darle un nome, a scriverle e a farsi scrivere lettere, per renderla a lui più cosciente.

Il terapeuta, che è abituato a vedere le parti bambine dei suoi pazienti, e che ha sufficientemente fatto crescere le sue durante la sua o le sue analisi o psicoterapie personali, deve essere delicato a mostrare la parte bambina al paziente, perché a volte deve fare i conti con le sue difese massicce, che derivano dal suo conflitto internalizzato. Perché è doloroso per tutti essere in contatto con la propria ansia e vedere in diretta il proprio conflitto, e cioè arrivare a prendere coscienza che in profondità ci si sente una nullità, e questo provoca un dolore enorme, che si avrebbe la tendenza a cancellare subito, finché non si guarisce. Infatti, se viene troppo in fretta in contatto con il suo conflitto, il paziente si spaventa, scappa, e non viene più, rinunciando alla cura, ed è veramente, per lui, un peccato, perché perde l’opportunità di vivere con una qualità della vita migliore.

Bisogna quindi essere molto delicati, bisogna lavorare in punta di piedi, rispettando le sue difese, che magari l’hanno aiutato da una vita a sopravvivere, perché ognuno fa quello che il suo psichismo gli permette di fare al meglio in quel preciso momento, in ogni momento, in ogni istante, non può andare oltre, o fare diversamente, o fare di più, e se il meglio per lui in quel momento è stato sviluppare una nevrosi, questo gli ha impedito di stare peggio, o perfino magari di scompensarsi, che vuol dire, in questo caso, subire uno scompenso narcisistico, e nei casi più gravi, dover assumere anche psicofarmaci.

Quindi se c’è ancora la parte bambina, è perché il paziente non è riuscito a trovare alternative migliori per stare bene, per stare meglio. Più prosegue la terapia, e più si fa crescere la parte bambina che assume valore e predominanza, e più “viene presa per mano” e la si riesce ad ascoltare.

Quando il paziente ha un enorme buco narcisistico da riempire, e cioè si sente una nullità profondamente fino all’ultimo suo capillare, il percorso non può essere breve, ma inevitabilmente ci vuole il suo tempo, per elaborare il suo conflitto, fino a quando il paziente, una volta guarito, dalle profondità delle sabbie mobile in cui era finito fin dall’infanzia, può camminare su un terreno dove c’è alla base il cemento armato, e così non c’è più il rischio né di traballare, né di cadere, e il gioco è fatto! Ma prima che si solidifichi il cemento armato ci vuole tempo. Solo alla fine assume una forza mai avuta prima, una forza e una stabilità dell’io eccezionale, come vedremo. Ma andiamo per ordine.

Come si diceva, io chiamo sempre la parte bambina del paziente col suo nome aggiungendo parte piccola. Per esempio il paziente che si chiama Armando, 47 anni, di cui ho parlato, che soffre di attacchi di panico quando deve parlare in pubblico, la sua parte bambina, il suo bambino nascosto l’ho chiamato Armando piccolo, o Armandino, oppure chiedo al paziente di dargli lui un nome, perché di solito aggiungo piccolo non al bambino nascosto narcisistico ma a quello abbandonico, quello che si sente solo, che è il primo che generalmente si forma. O meglio io chiamo piccolo il primo bambino nascosto che viene alla luce, che si vede nel paziente, che non è detto sia quello abbandonico che si sente solo e che fa fatica a separarsi, che comunque c’è sempre, in tutti i pazienti.

Quindi bisogna vedere se il paziente è in grado di dare un nome alla sua parte bambina, altrimenti glielo dò io. Ma se non riesce a dargli un nome è perché non riesce a vederlo, e quindi a parlarci insieme, e allora una strategia potrebbe essere, per farglielo vedere, fargli scrivere lettere, e farsi scrivere lettere dalla parte bambina.

Molto importante, sempre per visualizzare il bambino piccolo interno nascosto, è l’autoanalisi personale, per esempio mettersi a scrivere tutto quello che viene in mente, in una sorta di auto-associazioni libere, senza omettere nulla di quello che si pensa, proprio nulla, anche le parolacce o le bestemmie, o le istanze aggressive se emergono, dove il paziente può esprimere la profondità di sé stesso, dove parlano i suoi bambini interni, e lui può vederli in diretta, e comunicare con loro. Per guarire infatti bisogna che ci sia una comunicazione tra la parte piccola e la parte grande – adulta, che a parole è semplice da capire, ma di fatto è difficilissimo da attuarsi.

Dal buio alla luce, perché, proprio come in una giornata, il paziente lentamente deve passare dal buio delle tenebre della notte alla luce del giorno luminosa del sole, dalla confusione alla chiarezza, alla nitida visione della reale situazione, ma non basta, poi la deve digerire, partendo appunto dalla visione e poi vedremo dalla elaborazione della sua parte bambina: lì sta la chiave del processo di guarigione.

Bene, il paziente di riferimento si chiama Armando, come abbiamo detto, e che il paziente non sia riuscito a chiamare la sua parte bambina con un nome che lui ha scelto, perché non riesce a vederla, perché è talmente radicata dentro di lui e lui è talmente nevrotico, da essere immerso nella nevrosi, ed essere in fondo quindi all’abisso del suo mare, senza poter assolutamente vedere dove sta lì il suo bambino interno nascosto malato.

Io invece, che l’ho visto fin da subito, l’ho chiamato Armando piccolo, o Armandino, e fin da subito spero che lo stesso paziente accetti di chiamarlo Armando piccolo, solo perché si fida di me, che gli garantisco che c’è la sua parte bambina, ed è ben presente dentro di lui. Questo succede quasi sempre, perché i pazienti di solito mi trovano in internet e quando arrivano da me hanno già letto nel mio sito gli articoli che ho postato, specialmente quello suoi bambini nascosti, quindi sono già preparati a sentire che io parlo di loro perché sanno che è il mio metodo di lavoro parlare dei bambini interni nascosti, e che per guarire bisogna farli crescere.

L’Armando piccolo, o Armandino, quello legato all’autostima, quello che si sente un insufficiente mentale, e per compensare questo deficit si crede Dio e deve fare il Dio, il più delle volte inconsciamente, noi l’abbiamo visto tante volte, dico al paziente, ma lei non è mai stato nella situazione di vedere in diretta l’Armando piccolo veramente in azione, l’abbiamo visto e teorizzato in più di 100 sedute, in più di un anno e mezzo, prima in sedute due volte la settimana, poi una volta la settimana, come lei mi ha detto, ma veramente non se n’è mai reso conto profondamente di avere questo bambino interno nascosto che le rubava e le ruba in certi casi totalmente il cervello al 100%, da una vita, probabilmente perché osservarlo la fa stare male, le provoca dolore, o comunque per motivi che scopriremo insieme.

Cercherò di spiegarmi meglio cosa succede dentro di lei. È come se lei fosse in un mare bollente di squali che la vogliono divorare e che le vogliono fare del male, ma finché ne è dentro al mare, totalmente immerso in questo mare bollente, non riesce a vederlo, non riesce a vederli, e non riesce a sentire la paura degli squali, non riesce a rendersene conto, perché è troppo dentro la situazione, e in ultima analisi non riesce a differenziarsi e quindi a difendersi da essi. Come una persona che ha partorito, finché non partorisce glielo possono spiegare 10.000 volte cosa vuole dire partorire, ma finché non partorisce non sa cosa vuole dire, non può sapere cosa vuole dire, perché non l’ha vissuto sulla sua pelle!

Anche lei non può sapere cosa vuole dire essere un uomo libero totalmente senza l’Armando piccolo che le ruba il cervello bene o male in ogni interazione, no, lei non è mai stato con il cervello con il suo cervello libero al 100%, no assolutamente mai, non è stato mai libero veramente nella sua vita, perché anche quando crede di essere libero, succede che il suo bambino nascosto disperato, nel tentativo di guarire un minimo, si impadronisce proprio del suo cervello e le toglie energia psichica, e quindi la fa rendere meno rispetto alle sue potenzialità cognitive, e può arrivare perfino a bloccarle, anche quasi o totalmente.

Anche solo infatti riuscire a parlare bene ma essere lì con il terrore che magari le verrà un attacco di panico, anche un micro attacco di panico quando parlerà in pubblico, l’idea anche solo l’idea che non riuscirà a dire la frase o quel discorso che deve dire, e la paura che si bloccherà prima o poi, le toglie energia mentale che potrebbe utilizzare per pensare meglio o ragionare meglio o fare i collegamenti meglio utilizzando la sua memoria, quella a breve e a lungo termine. Anche il solo fatto che lei ripete quasi a memoria tantissime volte il discorso da dire in pubblico, perché ha paura di sbagliare e di incepparsi, quando ci sono poche persone, nel piccolo gruppo, le toglie spontaneità. Quindi il bambino nascosto le impedisce di utilizzare al 100% le sue potenzialità cognitive, e lei ha meno energia mentale, diciamo così, a disposizione, che vuole dire non avere il proprio cervello libero totalmente, non averne il suo totale controllo, e di fatto rendere molto meno, essere schiavi dell’Armando piccolo, che le ruba il cervello e si impadronisce di lui e di lei, nei casi in cui l’inibizione intellettiva è molto massiccia e predominante.

Monitorarsi continuamente che succeda l’irreparabile, e cioè l’attacco di panico, ed essere terrorizzati che questo avvenga, la porta ad avere tantissima ansia e paura, e a volte rabbia per la propria impotenza, malessere ed inquietudine, e di fatto a non avere la mente, diciamo in gergo il cervello, totalmente libero a sua disposizione, perché le sue energie mentali le deve usare per controllare se riesce a funzionare, senza venire scoperto se non funziona, sarebbe una vergogna insopportabile, e così solo l’idea che possa succedere non la fa riuscire a pensare e ragionare sufficientemente bene, e quindi non ci pensa proprio a parlare in pubblico, ed il solo pensiero la fa andare in tilt! Così lei non parlando in pubblico evita il rischio di un totale fallimento, che succederebbe se lei sbagliasse, e questo fallimento sarebbe davanti ai suoi occhi, davanti agli occhi della sua parte grande impotente, che è succube della situazione, e davanti, purtroppo, agli altri.

Di solito più uno si monitora all’inizio e più vede la sua parte bambina in azione, e più si riempie di ansia. Ma è solo la prima fase della psicoterapia, bisogna persistere.

Non è facile che il paziente arrivi al punto di accorgersi realmente della presenza della sua parte bambina nascosta fin da subito. È il più delle volte, specialmente se è molto nevrotico, un percorso graduale che avviene durante il prosieguo della terapia, un processo lento, fatto di ascolto delle proprie emozioni, che il paziente col tempo riesce a sentire sempre più appartenenti non a lui ma ad una parte che non conosce che è dentro di lui, appunto la sua parte bambina, che appunto è inconscia, e quindi all’inizio non osservabile, anche se in realtà sono osservabili i sintomi, che da essa sono generati.

Poi lentamente molto lentamente la parte bambina diventa sempre più cosciente, e quindi diventa osservabile, sempre se il lavoro terapeutico va avanti bene, e succede se il paziente è motivato ed agganciato di conseguenza. È un processo lento molto lento di coscientizzazione, un passaggio dall’inconscio invisibile alla coscienza visibile. Così sempre di più l’ascolto e la presa di coscienza di questo bambino interno provocano sofferenza e dolore, ma anche gioia, perché lo si riconosce finalmente, e si intravvede la possibilità di guarire veramente. Quindi bisogna essere cauti durante questo processo, e non si deve, non si può avere fretta.

Il terapeuta deve fare il più possibile per spiegare i meccanismi interni del paziente, proprio per aiutarlo a prendere coscienza delle sue parti bambine. Il paziente va reso partecipe ed aggiornato del suo percorso, proprio per aiutarlo a rendere cosciente la sua parte bambina, che significa farla affiorare il più possibile alla coscienza. Il percorso di crescita va illustrato non solo all’inizio, ma periodicamente, per motivare così il paziente al lavoro terapeutico, per favorire un’alleanza terapeutica con lui, tra la parte adulta del paziente e il terapeuta, pregiudiziale per la riuscita della cura.

Così, quando e se finalmente il paziente viene agganciato, dopo avere fatto innumerevoli tentativi per agganciarlo, la sua parte bambina è tutta contenta di poter finalmente parlare con suo padre, che è la parte grande del paziente, e così è propensa ad emergere dal suo nascondiglio nascosto dentro il paziente, e non vede l’ora di farsi vedere, inizialmente, poi subentrano le paure e si chiude di nuovo a riccio, e prima che si fidi di lui totalmente ci vuole tempo, ma prima o poi succede.

Appena il paziente si separa parzialmente dalla sua parte bambina, e cioè la può vedere anche solo per poco, diciamo da lontano, distante da lui, ecco che allora aumentano di colpo i sintomi, ed io glielo dico sempre al paziente che succederà che gli aumentano i sintomi, sennò il paziente ha paura di essere peggiorato e di non guarire più, ed entra nello sconforto, e può entrare in crisi, e può vacillare l’alleanza terapeutica, e a volte il paziente può non venire più, ed interrompere la terapia.

È il momento delicato in cui, dopo qualche insight, dovuto anche a qualche interpretazione azzeccata dello o della psicoterapeuta, al paziente scompare la nebbia di colpo e si ritrova davanti la sua parte bambina che può osservare in diretta, e spesso si spaventa inizialmente ancora di più, e peggiora l’ansia e i sintomi.

Cosa significa avere un insight? Vuole dire, nel linguaggio psicoanalitico, quando il paziente si rende conto di colpo del conflitto che affiora, vede finalmente in diretta per la prima volta il suo bambino nascosto come agisce e dice: “ma guarda te!! Non me n’ero mai accorto di questo meccanismo, di come agiva il mio bambino nascosto, che non sono io, o meglio che è una parte di me! Mentre credevo di essere io ad agire così! Anzi in realtà non l’avevo mai visto, mi dice il paziente, non ti avevo mai visto, voglio darti del tu, credevo che tu non ci fossi, ma scusami tanto, ora poverino ti voglio amare, e non odiare più, perché adesso so che esisti, che sei un bambino reale dentro di me, come mi ha sempre detto il dottore, e ora non posso più ignorarti, sennò faccio l’errore magari di mio padre, che mi ha ignorato per tutta la vita!”.

Vedere in diretta il proprio bambino interno genera molta ansia le prime volte, perché è come vedere di colpo tuo padre o tua madre che ti squalificano, dico al paziente, e poi perché, una volta osservandosi scoperto, il bambino nascosto inizialmente produce più ansia. Ma non basta l’insight, non basta vedere il proprio bambino interno per guarire, per non avere più la sua ansia ed essere negativamente influenzati da lui. Il processo è graduale.

La seconda fase, una volta individuata la propria parte bambina, è la fase della sua crescita, è farla crescere e la parte adulta decide di occuparsi di farla crescere, ma per farlo il paziente deve essere cosciente, come dicevo, che la parte bambina esiste, non tanto inizialmente perché non la vede, ma perché si fida che esiste, dopo che gliel’ha detto il suo psicoterapeuta, col quale è importante sia sempre in alleanza terapeutica.

L’alleanza terapeutica è quell’alleanza tra la parte adulta del paziente e lo psicoterapeuta, che porta il paziente a credere nella cura e ad essere motivato alla cura stessa. Perché se un paziente non è motivato a guarire difficilmente guarirà, e se una persona non vuole guarire non guarirà mai. E quindi per rispetto verso lei e le sue difese, non bisogna insistere, e bisogna lasciarlo andare via, perché nessuno può essere curato se non vuole curarsi. Come se il paziente decide di interrompere la terapia, sì bisogna spiegargli i suoi meccanismi, ma non si può insistere troppo.

È pregiudiziale che il paziente veda la sua parte bambina per farla crescere e per guarire. Se il paziente non la vede e non ci parla insieme, non la può fare crescere.

Cosa significa che cresce la parte bambina? Che sempre più si integra con la parte adulta, e quindi non ha più bisogno di “rubarle” le sue funzioni cognitive, di rubarle il cervello, come dico io ai miei pazienti, in pratica non ha più bisogno di esistere e di agire di nascosto, furtivamente, rubando la mente e il corpo del paziente, sempre allo stesso modo. Non vi aspettate che il processo sia immediato, no non abbiate queste aspettative sennò vi sbagliate e soffrirete della vostra illusione. Il processo è il più delle volte lungo e doloroso, ma ne vale la pena, come dico sempre, anche se è indefinibile sapere quanto tempo durerà. Perché in fondo al tunnel c’è la rinascita, e solo al traguardo si capisce quanto si è vissuti male fino allora, quanto non si è potuto utilizzare tutte le proprie potenzialità, quanto non si è mai stati veramente se stessi, e non si è mai riusciti veramente a diventare in toto degli adulti.

Un paziente può arrivare solo fin dove è arrivato l’analista o lo psicoterapeuta, e se l’analista non è guarito per quel problema che magari ha avuto anche lui, ma non è riuscito a superarlo del tutto, se è rimasto anche lui bloccato ad un suo nucleo centrale nevrotico, allo stesso nucleo nevrotico del paziente, e non è mai cresciuto del tutto anche lui, non lo tirerà mai fuori dal suo problema, non potrà mai curare il paziente e guarirlo, perché non riuscirà a vedere in profondità i meccanismi della sua parte bambina, perché non è riuscito a vedere e ad elaborare neanche la sua. Questo vale per ogni psicopatologia.

Quindi, se il terapeuta è sufficientemente sano in questo caso dal punto di vista nevrotico, bisogna essere fiduciosi che prima o poi potrà arrivare la soluzione per i disturbi del paziente, la sua guarigione, e questo messaggio di fiducia bisogna farlo passare al paziente, per rassicurarlo che un giorno ce la potrà fare, che un giorno potrà essere finalmente libero di essere sé stesso, quando ci sarà la remissione dei sintomi, e non ci sarà più la predominanza dell’ansia e dell’angoscia dovuta al suo conflitto internalizzato.

Ma il terapeuta deve essere convinto che questo può accadere, deve avere la speranza della guarigione sempre in testa per il suo paziente, e deve credere alla sua terapia, ben sapendo che potrebbe essere un percorso lungo, ma ne vale la pena provare, perché la qualità della vita quando si è guariti non ha paragone con la qualità della vita di quando si è malati.

Sì sa, anzi lo possono veramente sapere solo quelli che ci sono passati, nessun altro, che è un altro vivere. Non finirò mai di dirlo. È una questione di libertà di pensiero e di spazio mentale, e di avere un corpo libero dall’ansia che ti attanaglia, dalla tensione muscolare, dall’inibizione intellettiva, è una questione di rispetto verso gli altri che vengono visti solo per quello che sono, perché non si proietta più su di loro i propri vissuti genitoriali, cioè non li si confonde con i propri genitori, ed è soprattutto una questione di solidità dell’io, ci si sente forti, sicuri, determinati, pronti all’azione, ma soprattutto non ci si attiva con l’ansia per la paura di essere attaccati, perché il tuo inconscio, rappresentato dalla tua parte bambina, capisce che non c’è nessuno che la vuole attaccare, che è il motivo per cui nasce l’ansia, la difesa ad un attacco ipotetico, quando hai paura di sbagliare e che gli altri ti attacchino. In questo senso io parlo di esame di realtà sfasato, perché in realtà non c’è nessuno dal quale ti devi difendere, che ti giudica continuamente, che è attentissimo, sempre secondo te, a controllare se sbagli.

Non bisogna avere dubbi sulla possibilità di guarigione del paziente, bisogna crederci, la speranza è fondamentale per aiutare il paziente ad impegnarsi verso la sua cura, per avere la sua motivazione giusta, perché senza la motivazione giusta non si va da nessuna parte. Così anche il paziente deve credere alla possibilità di arrivarci alla fine del suo percorso, quando arriverà a vedere alla fine del suo tunnel, la sua luce. E come abbiamo visto, se non ci crede il terapeuta, non ci può credere neanche il paziente, e il paziente non può guarire.

Se il terapeuta avrà la forza della sua guarigione, perché, se è stato malato anche lui, conosce la strada la via per guarire, e quindi sa già quale è, non è ignota per lui, e non deve nasconderla al suo paziente, per motivarlo, perché non sono più le parti bambine che attraverso il suo corpo guardano il mondo, ma lui nella sua interezza.

Bisogna essere convinti che il paziente un giorno guarirà, che potrà arrivare, come per esempio Armando, a parlare in pubblico davanti anche ad un milione di persone avendo in pieno l’uso delle sue totali potenzialità cognitive, che significa poter pensare, poter ragionare, poter memorizzare ed attingere dalla memoria, che significa spaziare tranquillamente tra un argomento ed un altro, liberi, sciolti, e usare la sua mente per fare solo quello che sta facendo, non contemporaneamente per fare anche altro, cosa che è impossibile quando si è inibiti, e tutto è bloccato dall’ansia feroce e dalle sue conseguenze, e ci si sente tesi, imbalsamati come se si fosse dentro una gelatina solidificata mortifera.

Non bisogna avere dubbi che se si fa un bel lavoro prima o poi si guarisce, bisogna esserne certi, anche se ve lo dico subito, ci vuole tempo, nessuno può guarire in un lampo, ci vuole fede, costanza e perseveranza. Ci vuole che il paziente venga in seduta e rispetti le regole del setting, anche se non si può sapere, non si può assolutamente sapere quanto tempo ci metterà a guarire, ad arrivarci, che è comunque una domanda che ti fa prima o poi il paziente, specialmente questo tipo di paziente.

Quanto tempo ci metterò a guarire? Bisogna dire che sapere quanto tempo ci vuole è impossibile, ma che lui è in grado sicuramente di guarire. Poi comunque il processo di cura è un processo graduale, non si guarisce subito di colpo, si hanno dei miglioramenti, poi delle ricadute, e così via finché il bambino piccolo nascosto si decide a guarire e a lasciare la mente ed il corpo del paziente alla sua parte grande. Sì perché anche lui ad un certo punto deve decidersi a guarire, deve decidere di cambiare i suoi schemi, le sue credenze, la sua coazione a ripetere, deve decidere di abbandonarle, come dire che ad un certo punto anche la parte bambina deve entrare in alleanza terapeutica con il terapeuta e il paziente e fidarsi di loro, fidarsi di quello che gli dicono, e cioè credere e digerire che non è un insufficiente mentale, anzi, che è una persona intelligente, e che ce la può fare da solo, ma questo succede solo alla fine della terapia, e vi garantisco sono momenti magici! Quando finalmente si può sbagliare senza soffrire e stare male, e concedersi un errore al ricordo di quanto si è stati nevrotici e quanto ti faceva male, diventa quasi una gioia!

Quindi, essere stati nevrotici, può essere per uno psicoterapeuta di aiuto al paziente perché si conosce sulla propria persona il percorso di crescita della propria parte bambina, che comporta dolore sofferenza e particolarissime emozioni, che possono essere di ansia, paura, angoscia, depressione, terrore, e perfino di rabbia, e sono egodistoniche (ego vuole dire io, distonico distante, quindi distante dal proprio io), all’inizio, e cioè non visibili dall’io del paziente, per poi diventare egosintoniche, e cioè in sintonia con il suo io, visibili, alla fine dell’analisi.

Così il terapeuta sa sulla sua pelle cosa sta vivendo il paziente, e avendo vissuto la sua stessa esperienza, probabilmente riesce ad essere più a contatto con lui, lo comprende meglio, riesce ad empatizzare meglio con lui, sa di cosa lui sta parlando, ogni parola che dice, e soprattutto se vede il leone dentro il paziente non fugge perché non gli evoca il suo perché il suo è cresciuto, e quindi non dimentica quello del paziente, perchè se è guarito della stessa malattia, il leone che gli faceva paura dentro non ce l’ha più. Sono quindi le parti bambine del terapeuta, una volta cresciute, che guidano direttamente loro il paziente alla guarigione.

Questi pazienti, che generalmente paradossalmente sono molto intelligenti, spesso con un’intelligenza superiore alla media, hanno il più delle volte la mania della perfezione e vogliono quindi guarire subito, ma a volte la fretta li porta a limitare e diminuire la possibilità di una pronta guarigione. Invece bisogna avere pazienza, rispettare sé stessi e i propri limiti, e volersi bene, per poi superarsi, perché il percorso è lungo di solito, specialmente se il paziente ha un carattere strutturato su questa malattia, e sono anni o decenni che ne è affetto, ed è invalido per anni per colpa sua, della malattia.

Allora bisogna convincere il paziente che ha paura ad affrontare il suo problema, che un giorno ce la potrà fare, che deve stare tranquillo che ce la farà. Ma spesso questi pazienti sono onnipotenti, non accettano il limite della cura, e si mettono in competizione con il terapeuta e lo attaccano perché si sentono attaccati a loro volta, e non credono alle sue promesse, per loro non esiste che la terapia duri anni, no, loro vogliono guarire subito, perché se dura anni è la conferma che sono dei falliti, degli insufficienti. Sì, questi pazienti hanno un carattere presuntuoso e permaloso, che può essere latente o più o meno manifesto, e non accettano di essere in errore, con un problema da risolvere, non accettano che glielo fanno notare, e il fatto che la terapia possa durare anni, è per loro l’ennesima dimostrazione che sono dei malati, e quindi che sono dei falliti, mentre tutti gli altri non lo sono perché funzionano. E non a caso spesso questi altri vengono odiati ed invidiati.

E così spesso è una lotta con il paziente, che va convinto ad ogni seduta di continuare il suo percorso, e ogni seduta hai la sensazione che si sganci, di non averlo più agganciato. Bisogna invitare il paziente a non mollare mai fino alla fine.

Io dico sempre al paziente Armando: “Io sono convinto che lei arriverà ad un certo punto a guarire, che guarirà e non avrà più nessuna paura e riuscirà a parlare anche davanti ad un milione di persone e le passerà il panico, che sarà solo un lontano ricordo, e lei riprenderà il corso della sua vita, e raggiungerà gli obbiettivi che prima non era riuscito a raggiungere, finalmente li raggiungerà, ne sono convinto, e diventerà anche un leader che parla al suo pubblico senza paura, è solo una questione di tempo, è solo sapere aspettare e nello stesso tempo lavorare con intensità, e in questo lavoro bisogna essere fiduciosi ed avere pazienza, che prima o poi ci riuscirà, sì lei  prima o poi ci riuscirà a superarsi e a guarire!

E quando succederà le sembrerà impossibile tanto è bello, tanto è fantastico essere liberi! Vedrà! Adesso non può capire cosa le sto dicendo, ma un giorno lo capirà. Vede, è una questione di percentuale di furto del cervello da parte della sua parte bambina che si sente una incapace una nullità, e crede così che siano gli altri a scoprirlo e a confermarlo. Ogni volta che lei sbaglia, ogni volta che fa anche un piccolo errore, ha una botta di paura che sente anche fisicamente dentro nel profondo di sé stesso, nel suo corpo, un’emozione potente che la paralizza, sente l’emozione qui dietro al petto, un’emozione forte che fisicamente la sovrasta, l’emozione della paura, che le irrigidisce tutto il corpo, e ha la sensazione di non essere più sé stesso, di non avere più la padronanza di sé stesso, perché si riempie di ansia e non si sente più lei, e magari le viene mal di testa e non si sente bene, e ha una sorta generale di inquietudine e di malessere.

E allora bisogna innanzitutto che lei si monitori, che lei si osservi, per riprendersi in diretta sé stesso, che lei parli in diretta al suo bambino interno mentre le sta usando il suo corpo e la sua mente, in modo tale da dirgli in diretta, magari con dolcezza, anche se è difficile, perché non si deve permettere di usare un corpo che non è il suo, ma per farlo bisogna che lei elabori il perché lo fa, quali sono i suoi scopi, e che sia sempre in alleanza terapeutica con me, che lei si fidi di me che potrà un giorno guarire.

Auto monitorarsi è fondamentale, e cioè guardarsi dall’esterno, come avere una telecamera davanti che ti osserva e vede il funzionamento della propria parte bambina costantemente, ma specialmente quando scatta l’ansia e scattano i sintomi, bisogna che si osservi il funzionamento della parte bambina in diretta, ed è la cosa più difficile, perché quando si è dentro al problema ci si ritrova spiazzati, anche perché la visione dei propri limiti fa male, fa dolore. E mentre il paziente vede la sua parte in azione, deve capire cosa sta succedendo nella scena, cosa la sua parte bambina sta dicendo all’altra persona che gli è davanti che che gli sta facendo venire ansia, deve capire cosa l’altro crede che gli stia dicendo, perché la parte bambina crede che gli stia dando una risposta rispetto alla sua domanda, sono bravo?! Invece tutto ciò è falso, è la parte bambina che si immagina un dialogo che assolutamente non c’è! Per questo dico che l’esame di realtà può essere zero, che la parte bambina è fuori dal mondo!

E questo, parlando ad Armando, le capita magari non solo quando deve parlare in pubblico, ma anche a volte davanti ad un’altra persona o ad un gruppo di persone. Ma di solito con quali persone capita? Anche con persone conosciute, anche con parenti o amici, che conoscono magari la sua storia e i suoi limiti, e cioè tutte le volte che il paziente è andato in tilt e si è quindi mostrato limitato, e ha dato l’impressione reale di essere un insufficiente mentale o con dei deficit cognitivi anche gravi, importanti, e lei ha paura di mostrarsi ancora tale, quello di una volta. Succede allora che ha sempre bisogno di mostrarsi perfetto, integro, funzionante, esente da errori. È una questione di avere paura di essere scoperti in errore, con la conseguente paura di essere denigrati, di essere invasi dal giudizio, di mostrarsi ed essere degli handicappati, dei falliti, delle nullità, che è proprio quello che la sua parte bambina si sente, quello che in profondità si sente lei! Ed ha paura di conseguenza che gli altri con il loro giudizio lo confermino. Questi concetti che continuo a ripetere non mi stancherò mai di dirli, perché sono il nucleo centrale della psicopatologia del nevrotico.

Ma facciamo un esempio. Arriva la sorella del paziente, che è venuta a trovare il paziente. Con lei certamente ci sono vissuti emotivi intensi perché è più grande di lui, più anziana di lui, e ha vissuto l’infanzia con lui. E al paziente che fino ad allora stava bene, si sente di colpo dissociare, e si riempie di ansia, non è più lui. Poi quando la sorella va via, gli passa tutto.

Cosa è successo allora?! Che ogni cosa che dice il paziente in realtà le sta dicendo: “sono bravo?”. O meglio glielo sta dicendo la sua parte bambina, che gli ha rubato il cervello totalmente, perché lui è inconsapevole di questa dinamica, e magari a fatica, sta parlando di qualcosa che in teoria non ha niente a che fare con il bisogno di farsi dire che è bravo! Ma soprattutto quando parla la sorella, e magari sta parlando di come si innaffiano i fiori, crede che gli stia dicendo che non è vero che è bravo ma che è un incapace, terribilmente un incapace, come gli diceva suo padre e anche sua madre.

Insomma un gran casino! Una grande confusione! Poi solo dopo quando si rientra dalla dissociazione, dal falso sé, quando la sorella va via, al paziente magari viene una illuminazione, che in psicoanalisi si chiama insight, e capisce questa cosa, e sa distinguere i due linguaggi, perché ci sono due linguaggi paralleli, quello ufficiale delle parti grandi, e quello delle parti bambine, o meglio la parte bambina disturbata spesso ce l’ha solo il paziente, che ha un doppio linguaggio, la sua parte grande che parla alla sorella, e la parte bambina che parla lo stesso alla sorella in contemporanea, e abbiamo visto cosa le ha chiesto.

Spero di essermi spiegato bene. Di essere stato esauriente. L’argomento può essere facile da comprendere dal punto di vista della spiegazione dei meccanismi mentali, ma vi garantisco che emotivamente, quando una persona ne è dentro, è un casino il sentirsi intrappolati. E quando la persona deve parlare con due linguaggi contemporaneamente, non potrà mai essere veramente performante e lucido! E figuratevi quando dall’altra parte come interlocutore c’è un genitore nevrotico o una sorella nevrotica, i dialoghi sono 4 contemporaneamente, quelli delle parti adulte e quelli delle parti bambine, e così l’ansia la fa da padrone in maniera assoluta!

Il paziente malato può succedere che manchi assolutamente di umiltà, perché in fondo per compensare le sue presunte deficienze si senta Dio, superiore agli altri, che denigra a sua volta, in una sorta di circolo vizioso, come è stato denigrato lui. Così la storia si ripete da generazione in generazione.

Quindi il più delle volte il lavoro che va fatto è su tutta la sua personalità, per farlo diventare forte, con un io forte, stabile, strutturato, perché a volte anche il nevrotico ha la struttura dell’io che vacilla, che lo fa sentire fragile, fino ad arrivare al punto, nei casi gravi, che si può scompensare, come ho già detto.

A questo tipo di pazienti, ai nevrotici in genere, dico sempre che bisogna lavorarci su, che lei ci deve credere, non che ad ogni seduta vuole smettere e non venire più perché crede che sia impossibile guarire ed ha gettato la spugna, no quello non è lo spirito giusto, deve essere la prima cosa che pensa durante il giorno il lavoro analitico per guarire, e l’ultima cosa che pensa prima di andare a letto, deve essere il suo obiettivo principale guarire perché la limita troppo rimanere malato, è quella l’ossessione che deve avere, perché la malattia le impedisce di essere finalmente veramente se stesso, le impedisce di pensare come vorrebbe, e la arricchisce di emozioni forti che la fanno stare male, emozioni forti che in realtà sono anacronistiche, perché non appartengono a lei, ma ad un bambino nascosto dentro di lei che vive nel passato ma agisce ancora indisturbato nel presente, purtroppo, in maniera massiccia.

E perché la vita va avanti, e si è magari già anziani, e bisogna avere la voglia di vivere quello che rimane da vivere con gioia, perché la vita è breve, e vi garantisco che quando non sei più nevrotico, tutte le relazioni presenti diventano fantastiche, perché si parla per esempio di un argomento e si sa che si sta parlando solo di quell’argomento, e tu osservi la padronanza che hai in diretta del tuo corpo che finalmente funziona.

O quando un parente nevrotico ti fa visita, sai difenderti, o meglio non hai più bisogno di difenderti, perché sei diventato un adulto e se sei guarito, non puoi altro che vedere l’altro come se fosse un bambino, da prendere per mano. E soprattutto quando parla non ti fa più male e dolore, e non ti fa venire più ansia.

Ad un certo punto, verso la fine della terapia, arriva la fase in cui il paziente si rende conto e si convince che è inibito, e prende coscienza, si convince con la sua parte adulta che è intelligente, non ne ha più il dubbio, ma il suo inconscio continua a comportarsi come se non lo fosse, la sua parte bambina continua a farlo spaventare del contrario, a chiedere conferma a tutti, e ad essere terrorizzato della risposta. Questa fase è delicata e particolare, perché la parte bambina preme per dare messaggi al paziente che sono totalmente lontani dalla sua coscienza, mentre la parte adulta è sicura che lui funziona, ne ha avuto le prove durante la vita, proprio perché si è osservato funzionante alcune volte, e poi sempre più, e ha visto che potenzialmente lo è, finalmente ne è convinto.

È la fase in cui il paziente è invogliato a guarire perché sa cosa vuole dire guarire, perché è riuscito finalmente dopo decenni di sofferenza a sperimentarlo almeno una volta, e quindi è sempre più separato dal suo bambino interno, che considera con delle idee assolutamente fuori dal mondo, strampalate. Lo vede sempre più distante da sé, egodistonico. Arriveremo a parlare di questa fase finale, ma ho voluto anticiparvela, per darvi un po' di coraggio, specialmente se sei un paziente che stai leggendo, o se sei una persona che sta male e non hai ancora deciso se andare in terapia.

Certo che il paziente se non è invogliato a guarire perché non sa cosa vuole dire guarire totalmente e definitivamente, perché non ci è mai arrivato nella vita non solo a capire di essere malato, ma ad essere finalmente libero, almeno una volta, fa più fatica ad andare avanti nella terapia con fiducia ed entusiasmo, perché vuole vedere i fatti, è come “Tommaso”, se non vede non crede. Se avesse mangiato già un gelato, e quindi si ricordasse di quanto è buono quel gusto, allora avrebbe voglia ogni volta che si avvicina alla gelateria di ricomprarlo, ma stavolta non può essere così, perché lui non ha idea di cosa vuole dire guarire perché non lo è mai stato guarito.

È difficile spiegare per iscritto cosa significa sentire improvvisamente, essere invasi improvvisamente dal bambino nascosto, quando si incontra qualcuno o si deve parlare in pubblico, questa sensazione di colpo di non essere più se stessi, questa sensazione di uscire dalla propria mente, di dissociazione, questa sensazione di paralizzarsi, mente e corpo, di essere in balia, e soprattutto di non capire cosa ti sta succedendo, non solo, ma di essere succube di quello che ti sta succedendo.

Come è stupefacente spiegare cosa succede quando arriva finalmente la libertà di pensiero totale, e si è totalmente liberi finalmente di essere se stessi, dopo che finalmente si è elaborato il conflitto, è una sensazione veramente spettacolare, vedere per la prima volta in diretta che si riesce a pensare e ragionare senza l’autocontrollo, e che si è finalmente liberi.

Ma andiamo per ordine. Stare male e vedersi ingabbiati succede a volte come a volte può non succedere, o magari succede meno, a seconda, dipende dalle circostanze e da chi si ha davanti, può succedere solo incontrando una persona o succede incontrando più persone o collegandosi in video con poche o tante persone. In ogni caso vieni sempre colto alla sprovvista, perché vedi il bambino nascosto, se riesci a vederlo, solo quando è in azione, all’ultimo momento quando sei già dentro alla sua azione, quindi non si può sapere e prevenire come sarà la sua presenza, la sua manifestazione, non si può in certi casi in ultima analisi difendersi.

Come si può essere invasi dall’ansia che paralizza, e subentrano i sintomi, come si può non esserlo, verso la fine della terapia. È così imprevedibile, ogni volta, cosa succederà. Può capitare a volte anche quando ci si ritrova da soli e non si riesce a svolgere un compito, che si è invasi dall’ansia, che il proprio cervello si paralizza. È una sensazione bruttissima di perdita di contatto con sé stessi, perché prende il sopravvento il bambino interno che ruba la scena a quello grande, a quello adulto, e ti viene una grande paura di sbagliare, e cala di colpo il tuo potere prestazionale.

Il bambino nascosto si impadronisce improvvisamente del corpo e delle potenzialità cognitive di quello adulto, e lo fa annebbiare, lo fa “sparire”, lo fa non essere più sé stesso, e lo costringe a sprofondare in totale angoscia prestazionale.

Il bambino nascosto ti può portare anche ad avere, come abbiamo visto più volte, dei deficit cognitivi, come per esempio dimenticarsi cose o nomi, che senza ansia si conoscono benissimo, sono le cosiddette “assenze”, momenti dissociativi improvvisi, oppure dire cose che non si vorrebbero dire, dire discorsi poco sensati, annebbiati, che uno si accorge mentre parla che non è lui che sta parlando ma non riesce a fare altrimenti che osservarsi e basta, purtroppo, oppure incepparsi, bloccarsi, paralizzarsi, il tutto che si accompagna ad una tremenda vergogna.

Insomma sparisce la possibilità di essere veramente se stessi. Quando il corpo e la mente comandato dalla parte bambina dice stop, non c’è apparentemente più niente da fare, l’ansia è talmente paralizzante che tutto il corpo e la mente tendono a bloccarsi dalla paura, ed è come una rete che ti cattura, una tagliola che ti colpisce e ti spezza le gambe, e ti paralizza il cuore, e non puoi più muoverti, e può iniziare anche l’attacco di panico, più o meno intenso, più o meno paralizzante, più o meno vario, assolutamente imprevedibile, assolutamente soggettivo, e cioè non è uguale per tutti, ma è sempre diverso, più o meno intenso, per la persona che lo vive.

È una questione di un’emozione potente che tu senti che nasce dal tuo petto, senti e riesci a capire che in realtà non ti appartiene, che non è tua, che irrompe improvvisamente dentro il tuo petto, e magari ti blocca la frase che stai dicendo, ti blocca la parola, ed è più forte di te, non riesci più a parlare, ci provi ma sei bloccato. Una sensazione di assoluta impotenza, che è veramente bruttissima.

Come si fa allora per venire fuori da questa situazione? Bisogna cercare di calmarsi, e per farlo l’unico modo è parlare con lei, la tua parte bambina, e dirle che può sbagliare, che non deve dimostrare niente a nessuno. Ma prima di tutto bisogna accettarla, accettare di avere una malattia psicologica, un problema, che si chiama nevrosi, questo è il primo passaggio, ma è tutto direttamente proporzionale a quanto ci si può, ci si riesce ad accorgere della presenza del proprio bambino interno nevrotico, e quanto si riesce a parlaci in diretta, mentre ti ruba o tenta di rubarti il corpo.

Per esempio nell’attacco di panico si perde totalmente il contatto con la parte bambina che fa del tuo corpo quello che vuole lei e tu non puoi più opporti, sei come un uccellino finito in una trappola, comanda lei, e fa di te quello che vuole. Bisogna allora riprendere il contatto con sé stessi, riprendersi il corpo e la mente che si è persi al 100%. Se non la si vede la parte bambina quando inizia ad agire di colpo in azione, quando si è già invasi dal sintomo, e di colpo si diventa succubi del suo funzionamento, è difficile poi riprendere il contatto con sé stessi, e quando si è succubi lì per lì non c’è niente da fare, se non stare ad osservarsi e soffrire, e tentare di parlargli e dire alla parte bambina di lasciarti in pace, di abbandonare il corpo e la mente, ma non è facile, come vedremo, a volte non si riesce neanche a parlare alla parte bambina, anche se la si vede in diretta agire. Perché quando si è dentro la situazione è già troppo tardi, ma è comunque l’unico momento dove si può intervenire in diretta, se non si è totalmente succubi, se c’è qualche percentuale che è ancora sotto il nostro comando, ed è lì che ci si accorge che esiste veramente la parte bambina, che si ha la prova assoluta che esiste, che aveva ragione a dire che esisteva lo psicoterapeuta.

Insomma c’è una lotta tremenda tra l’inconscio che vuole rubare la coscienza e la coscienza che non si vuole fare sopraffare dall’inconscio, una lotta senza risparmio di colpi, anche bassi! Bisogna allora vedere chi vince. Se vince l’inconscio, la parte bambina ti domina, ed entri nella paralisi, altrimenti se vince la coscienza adulta, la smascheri attraverso l’insight e la successiva elaborazione. La lotta, la guerra può essere lunga, perché si tratta di fare diventare cosciente l’inconscio, e non è facile, o farsi sopraffare da esso, e può essere fatta da diverse, da tante battaglia, ma alla fine bisogna essere fiduciosi, se il terapeuta sa cosa sta facendo, e se vede, se è in grado di vedere questa lotta in diretta, e non finirò mai di dirlo a tale proposito, se ha mangiato la stessa pizza che sta mangiando ora il paziente, la sa digerire meglio.

Nei casi estremi di malessere una tecnica è abbandonare la scena, andare via. Ricordo un paziente, sempre Armando, che aveva avuto il suo attacco di panico per la prima volta a scuola a 17 anni durante un’interrogazione, che imbarazzatissimo non aveva trovato meglio da fare che dire alla professoressa che aveva bisogno urgentemente di andare in bagno.

Il sintomo bene o male così, più o meno intensamente, è sempre presente. Quindi il paziente di solito non si ferma su sé stesso sui suoi sintomi, perché non li vede, perché ne è immerso, non riesce a vedere il bambino che è terrorizzato dentro di lui, e quindi non ci crede che esiste, perché non crede sia possibile che esista, perché la paura che il bambino nascosto gli ha fatto sentire lo tiene lontano da se stesso, perchè l’ha sempre terrorizzato. Di solito si sente solo una grande ansia e il corpo che si contrae. Il terrore e la paura è più difficile sentirli.

Inoltre c’è il problema della negazione della malattia. Il paziente tende a non sentirsi malato o addirittura a fuggire dalla malattia, perché prendere coscienza della malattia vuole dire accettare un grosso limite, e si vorrebbe essere invece sempre perfetti, come ho già detto. Per questo spesso non ci pensa mai durante la settimana alla malattia, la minimizza, ci pensa solo in seduta, perché il paziente ne è costretto dalla seduta stessa, dalle circostanze.

Sempre Armando, addirittura per un lungo periodo non si poteva parlare in seduta della sua paura di parlare in pubblico, perché si irrigidiva ed entrava in micro panico, diventava bianco in volto, solo all’idea, solo ad accennare, a sfiorare l’argomento. Quindi anche in seduta questo era un argomento tabù. Ma io sapevo che se avessi con dolcezza insistito, al momento giusto naturalmente, prima o poi avrebbe aperto le porte alla sua cura. E così è stato. Almeno adesso anche in seduta si può parlare dell’argomento. Non è ancora guarito, ma ci sono le premesse per un proficuo lavoro su sé stesso. Armando ha sempre una forza che lo spinge a fuggire. Addirittura ha deciso di saltare tutto un mese di terapia, in dicembre.

Quando poi è tornato a gennaio, sembrava più motivato. L’ho chiamato io, ma lui mi ha detto che mi avrebbe chiamato lui. Così abbiamo ripreso il nostro viaggio, il nostro cammino, e nello stesso tempo abbiamo rispettato le sue difese.

E così, solo poco tempo fa mi ha detto che ha visto per qualche giorno la sua parte bambina in azione, e si è accorto in diretta, finalmente, che non era lui! Dopo quasi due anni di terapia! E non potete immaginare quanto fossi felice! Poi però ne è stato sopraffatto, ma almeno è riuscito a vederla alcune volte.

Bisogna trovare i tempi giusti per parlare al paziente. Infatti non si può portare il paziente dove non vuole essere portato, dove le sue difese non gli permettono di arrivare. Se il paziente non vuole o non può guarire bisogna rispettarlo, ma se lo desidera, se può desiderarlo, compatibilmente con il suo psichismo, bisogna consentire al terapeuta un setting appropriato, possibilmente due sedute la settimana, perché è il setting giusto per la malattia nevrotica, ma in certi casi quando ci si avvicina troppo alla parte bambina perché la paura è troppo forte, talmente forte, che allora il paziente non regge le due sedute e bisogna farne una. È il caso in cui il paziente, poco agganciato, appena finita la seduta si dimentica, diciamo così, evita di pensare per tutta la settimana fino alla seduta successiva, del suo problema. E allora bisognerebbe trovare il tempo per fermarsi sulla propria cura anche durante la settimana, ripeto, deve assolutamente essere la sua priorità, perché per guarire da una malattia così potente, solo 4 volte al mese, è poco.

In alcuni casi ci sono pazienti che fanno 2 sedute, poi una, poi riprendono a farne due la settimana, a secondo dei periodi e di come stanno.

L’arte dello psicoterapeuta è portare il paziente alla fine della terapia e a fargli fare l’ultimo percorso da solo, quando ha ormai tutti gli strumenti per farlo. È così la più grande soddisfazione dello psicoterapeuta, vedere in diretta guarire il paziente, che ce la fa da solo. Ad un certo punto infatti le interpretazioni sono già state fatte, sia quelle sature che quelle insature, e al paziente non resta altro che elaborare la sua malattia, e a quel punto lo può fare in parte anche da solo, e lui stesso si meraviglia di raggiungere da solo degli insight, e di accorgersi di stare entrando, con grande meraviglia, in un altro mondo, in un mondo meraviglioso, che è il mondo degli adulti e delle persone sane.

Questo succede alla fine del percorso psicoterapeutico, se la psicoterapia ha funzionato, se c’è stata una forte alleanza terapeutica, specialmente se la malattia è stata così pesante ed invalidante. E si ha quasi la sensazione che il bambino nascosto faccia pace con te, che sia anche lui contento, gioioso, in festa, perché passano le emozioni corporee di paura, passa l’ansia, passa l’angoscia di sentirsi una nullità, e la disperazione connessa, e si accendono tutte le luci della propria casa, ed il sole risplende dentro se stessi, e con la luce si possono vedere tante cose che prima erano al buio ed erano invisibili.

Certo che il bambino nascosto prima di arrivare a questo punto ci vuole tempo e pazienza, perché lo psichismo degli uomini funziona purtroppo il più delle volte, in modo tale che ha la tendenza a ripetere sempre le stesse cose, è proprio il modo di funzionare del nostro psichismo, quello che preferisce, la cosiddetta coazione a ripetere. Quindi se il paziente è malato, la sua tendenza è ripetere sempre gli stessi meccanismi malati, perché ne è abituato, ha paura di cambiare, di passare dal conosciuto allo sconosciuto.

Quindi è difficile fare cambiare funzionamento, fare cambiare idea alla parte bambina malata, e fargli fare qualcosa d’altro, perché è difesa, ha la tendenza a rimanere sempre come tale, perché è abituata a stare così, ne trae i suoi benefici, e ha a volte il terrore di cambiare.

Molti mi chiedono se i bambini nascosti una volta cresciuti cessano di esistere e muoiono. Sinceramente ho sempre avuto questo dubbio anche io durante il mio percorso analitico, perché anche se mi facevano soffrire, mi ero affezionato ai miei bambini interni nascosti, e non volevo perderli. Perché alla fine bisogna anche sapere separarsi da loro, se si vuole che veramente crescano e quindi guariscano.

Alla fine del mio percorso, con sorpresa ed estrema felicità, mi sono accorto che si trasformano e si presentano con sembianze totalmente diverse, non sono più istanze inconsce che rubano il cervello, no, che ti sovrastano, quando tu no lo vuoi, che ti fanno violenza, no, da adulte le parti bambine non sono più parti bambine ma adulti veri e propri, che personalmente mi aiutano moltissimo nella clinica, spesso a loro do carta bianca e sto ad osservarli cosa fanno con il paziente, come sono brave ad agganciare la loro parte bambina, che subito sente che le mie sono cresciute, perché io so esattamente cosa prova e cosa sente, cosa sono le emozioni dei pazienti, che spesso si meravigliano a vedere come faccio a conoscerli così bene, quando per esempio nelle prime sedute capisco e comprendo cosa mi dicono e partecipo empaticamente alla loro sofferenza.

Mi capita spesso che la mia parte bambina pianga con il paziente quando lui piange, ma le lacrime si fermano negli occhi che si inumidiscono, e mi sento molto vicino al paziente. A volte non ho paura a dirgli che mi sono commosso anch’io. Ma quello che non senti è una sofferenza dentro di te perché quello che sta vivendo il paziente, la sua sofferenza, la conosci bene, molto bene, perché dentro di te quella che era la sua gemella l’hai superata alla grande.

No, secondo la mia esperienza le parti bambine cresciute quindi si integrano con la parte adulta, continuano a provare emozioni ma emozioni diverse, più autentiche e meno proiettive, e aiutano il terapeuta nel suo lavoro, nel caso si stia parlano di uno psicoterapeuta guarito. A volte il terapeuta dà loro carta bianca di agire, ed agiscono quasi da sole, sempre con la supervisione della parte grande.

Quando si guarisce da una psicopatologia così invalidante come la nevrosi, quella tosta, ci si rende conto che non è stata una passeggiata, anzi non è stato assolutamente facile guarire. E sia il paziente e sia il terapeuta se lo ricorderanno per tutta la vita, di questo viaggio affascinante per tutti e due, non solo per il paziente, perché sempre il paziente ti lascia dentro qualcosa di importante, e ogni paziente ti fa crescere, ogni paziente ti fa crescere, sì, perché si cresce tanto con ogni paziente, ogni paziente ti arricchisce tanto, con il suo bagaglio di vita, di forza, di sofferenza e a volte di morte, e con le sue lacrime. Ma anche con la sua gioia quando lo vedi guarito.

Io non vedo l’ora che i pazienti guariscono, perché raggiungere la libertà di pensiero è bellissimo, ed è bellissimo avere anche un corpo libero dall’ansia e da tutta la sintomatologia connessa all’ansia disfunzionale.

Ho un paziente, sempre Armando, a cui tra l’altro non vedo l’ora di fare leggere questo articolo, che fa fatica a credere che può guarire, e spesso in passato voleva interrompere la terapia e rimanere così malato per tutta la vita, perché era disperatamente convinto di non potercela fare. Io gli dico sempre che ci deve credere, non può tutte le volte pensare che quella sia l’ultima seduta, e quindi essere perennemente in fuga da se stesso che lo fa stare male, perché sennò sì non guarirà mai, no, non va bene, lei deve avere fiducia in me, glielo garantisco che guarirà, sempre se mi darà l’opportunità di guarirla, se mi permetterà di farle le sedute, ma il problema è che lei deve collaborare, non pensare al suo bambino interno solo il giorno della seduta, perché quasi la costringo io a pensarci, sennò ci mette troppo tempo, no, ci vuole perseverazione, ci vuole tempo a disposizione per pensare al suo bambino interno tutti i giorni, se lo deve coccolare, anche se la fa disperare, e la fa deprimere, e questa depressione la fa stare male.

Tutti i giorni bisogna avere il coraggio di soffrire e di stare male ed in ansia standogli vicino, perché se si vuole lottare bisogna farlo con perseverazione e motivazione, e senza la lotta non si guarisce. È chiaro che lei non l’ha potuto fare perché è sempre scappato, non la voglio rimproverare, ma adesso vorrei che cambiassero le cose, vorrei vederlo più tonico, più determinato, più sicuro di guarire, più fiducioso di questa possibilità, più sicuro di sè.

Il problema è sempre quello: avvicinarsi il più possibile alla parte bambina del paziente e prima vederla, poi parlarle insieme, e più ci si avvicina più si dirada la nebbia che la avvolge e la si può vedere, presente, in azione, anche se l’andamento è ad elastico, una volta la vedi e un po' la domini, la volta dopo non la vedi e ne sei sopraffatto, poi ancora la rivedi, insomma dipende anche dalla persona che hai davanti e da quanto questa persona ti evoca il conflitto internalizzato che hai nascosto nella profondità di te stesso, e quindi spinge la tua parte bambina a prendere il sopravvento e ad uscire allo scoperto, per difendersi in maniera proiettiva da esso. C’è comunque uno stato sempre di base di ansia bene o male diffusa. E si arriva alla parte bambina tramite il sentire le sue emozioni profonde attraverso il corpo.

Avevo una paziente che costantemente aveva le mani bagnate che le grondavano di sudore, le venivano giù vere e proprie gocce di sudore, e aveva anche tutta la schiena bagnata piena di sudore, perché era costantemente attanagliata dall’ansia. E se c’è così tanta ansia non può essere solo organica, no, l’ansia invalidante è sempre dovuta ad un conflitto internalizzato, altrimenti se una persona ne è privo, è anche privo di ansia. Questo è quello che penso, ne sono convinto.

Ricordo che ho detto ad Armando, che era sempre in una continua fuga, come uno struzzo con la testa perennemente sotto la sabbia, quando faceva due sedute la settimana, e poi ci pensava solo durante la seduta e un po' dopo, alla sua psicoterapia, ma poi non ci pensava troppo durante la settimana alla sua cura, e non a caso l’argomento parlare in pubblico era sempre un tabù.

Lei ha sempre avuto troppa paura, gli dissi, ed io ho sempre rispettato questa sua paura, non l’ho mai forzata. Lei ha sempre cercato di fuggire dal problema, è un anno e mezzo che fugge, che dice che non vuole affrontarlo, solo adesso da poco tempo, da gennaio 2022, mi ha dato veramente il permesso di lavorare sulla sua malattia, perché la sua è una malattia, sì, la nevrosi è una malattia, e lei è malato, ne deve prendere coscienza anche se fa molto male, anche se il dolore la può portare ad essere più motivato, a combattere meglio la malattia. Ci vuole il tempo giusto per guarire, ma per guarire bisogna accettare la malattia con umiltà.

Vede, lei si è lamentato di essere ultimamente peggiorato. Bene, deve essere paradossalmente felice di stare male, di stare finalmente più male di prima, di essere invaso dall’ansia e di inibirsi, perché anche se si riempie di paura e terrore, almeno lì lo vede in diretta il suo bambino interno che era nascosto, e in quegli attimi gli può parlare insieme, ha l’occasione di aprire un dialogo con lui, pregiudiziale per la sua guarigione.

Ma come si fa a guarire? Mi chiedono i pazienti nevrotici che hanno questi problemi. Beh vede, scriva, dico a loro di scrivere quello che io dico, bisogna riuscire a prendere per mano il piccolo bambino interno nevrotico, e parlargli insieme, lei è qui e lui è lì, lo deve vedere da lontano, che c’è, che è diverso da lei stesso grande, e solo così quando l’avrà preso per mano, allora potrà col tempo guarire. Prenderlo per mano significa innanzitutto vederlo, sì vederlo, e cioè agganciarlo. Noi l’abbiamo teorizzato tantissime volte, ma lei in realtà non lo ha mai visto veramente, non sa bene cosa sia la sua presenza, non si è mai accorto veramente di avere un piccolo parassita che le ruba il cervello, che non è lei, sì che non è lei, che è un’altra persona dentro di lei che la comanda, e anche se le ruba solo l’1% vuole dire che le ha rubato un 1% del suo cervello, e lei non è comunque più lei.

Non è più veramente sé stesso, perché ha il cervello occupato, invaso, e perde il comando di esso, perde il controllo di sé stesso nella sua globalità, anche solo se pensa che le verrà una crisi e quindi non è lucido e sciolto, non è mai veramente sé stesso, perché è invaso dalla paura, dal terrore. E le ruba tantissima energia mentale che in potenza potrebbe utilizzare per utilizzare il pensiero e il ragionamento. È bruttissimo infatti parlare con qualcuno con il terrore di sbagliare qualcosa, anzi di sbagliare tutto, e di essere giudicato, di incepparsi o di non funzionare più, e continuare a monitorarsi, non ci si abitua mai, si soffre sempre, anche se lo si fa da una vita, da decenni, mi diceva un paziente, ci si sente in una trappola costantemente.

Le garantisco che lei non è mai stato veramente solo con la sua parte grande libera dal conflitto, no, non sa cosa vuole dire esserlo. Io lo so, io lo vedo che non è ancora arrivato a questo punto fantastico. E io lo posso vedere che lei non è arrivato perché io so cosa vuole dire essere stati malati ed essere guariti, l’ho visto in tanti miei pazienti. Sono una vita che bene o male lei è schiavo della sua parte bambina, che bene o male le ruba sempre il cervello, e si è impadronito di lui, e quindi di lei di conseguenza. Lei non si è mai accorto di essere in un mare bollente con gli squali che la vogliono divorare, lei crede di essere in una vasca da bagno tiepida con i pesci rossi. Perché finché non lo vede veramente non potrà mai rendersene conto del suo bambino interno sofferente, e quindi non potrà prenderlo per mano e guarire.

Freud diceva che prima bisogna ricordare, poi ripetere, e poi rielaborare, bene ora siamo nella fase della ripetizione, in alcuni momenti anche nella fase della rielaborazione. Facciamo bene o male sedute dove affrontiamo sempre apparentemente le stesse cose, ma siamo nella fase giusta, si fidi di me. La fase successiva sarà quella del cambiamento reale, la fase agognata della libertà totale di pensiero, indescrivibile quanto è bella, ma la si può capire solo quando ci si arriva.

Vede Dottore, io se dovessi dirle cosa ho fatto in questo anno e mezzo abbondante, mi diceva sempre Armando, non saprei dirglielo, non mi ricordo bene o male cosa abbiamo detto e fatto.

Bene, benissimo, l’importante è che sia io a ricordarmi tutti i passaggi che stiamo vivendo io e lei, insieme nella sua terapia, l’importante è che sia io ad avere in mente bene tutto il quadro della situazione, tutto il percorso, e cioè come sta andando la sua terapia, l’importante è che sia ad essere la sua memoria storica, io ad avere le idee chiare su quello che abbiamo fatto e su quello che c’è ancora da fare, sul suo percorso.

Ma Dottore come faccio a guarire, cosa devo fare, e soprattutto quando riuscirò a guarire?

Bene, stia bene attento. Lei guarirà quando avrà preso per mano il suo bambino piccolo e l’avrà fatto crescere, e la prima volta che le succederà che sarà veramente libero al 100% sarà bellissimo. Ma quando lo vedrà per la prima volta, quando si accorgerà della sua esistenza la prima volta, non creda di guarire di colpo, no, non succede così. Poi succederà che le ricapiterà che lui le ruba di nuovo il cervello, quando meno se lo aspetta. Non è che si guarisce subito, si fanno 3 passi avanti, due indietro, 3 ancora avanti, 5 passi indietro, è una lotta continua finché lei sarà veramente libero dall’avere la sua crisi di panico e di mancanza di fiato, che è quando il suo bambino piccolo si impadronisce del suo corpo e la paralizza e la blocca, e la rende impotente, e le inibisce le sue facoltà mentali, fino alla reale paralisi, quando lei sarà libero dall’ansia che la attanaglia.

Ed è proprio quando le capita che lei ripeto può trovare l’occasione di vederlo in diretta, il suo bambino piccolo interno, non la perda questa occasione, non scappi, no, no, ma ne approfitti, per comprenderlo, per farlo parlare, per comprendere e capire le sue ragioni della sua esistenza, in un certo senso per addomesticarlo, ne sia contento che lo vede anche se le sta in diretta regalando sintomi dolorosi. Deve essere felice che suo figlio è davanti a lei, e cerca di parlargli attraverso i sintomi, cerca aiuto ed un dialogo con lei, ha bisogno di lei, per stare bene lui e farla stare bene lei, perché anche lui le vuole bene, e le deve volere bene anche lei! Prima di andare a letto, come sua madre le raccontava le storie della volpe rossa, dovrebbe parlarci insieme e fargli le coccole, lui ha tanto bisogno di lei, della sua presenza, del suo esserci, solo così può decidere definitivamente di venire allo scoperto, di cambiare, ed abbandonare finalmente i suoi sintomi. Proprio come se avesse suo figlio reale in carne ed ossa, un bambino reale che piange lacrime vere.

Sì lo deve monitorare bene come funziona, capire il perché lui esiste e come funziona, esattamente come fa a comportarsi, vedere in diretta come le usa il suo corpo, che sintomi crea, anche psicosomatici, e perché crea proprio quei sintomi. Per ogni domanda c’è sempre una risposta. E deve rispettarlo, e volergli bene, perché è comunque una parte di lei, non se lo dimentichi mai, non lo deve odiare, come fanno la maggior parte delle persone quando dopo anni lo raggiungono, finalmente, che lo riempiono di sberle. Non faccia con lui come hanno fatto i suoi genitori che la odiavano se non era perfetto! E lo prendevano a cinghiate. Deve essere felice quando lo vede agire in diretta, perché lo vede, deve avere quasi una sorta di tenerezza, perché è il suo bambino piccolo che emerge, che appare dai meandri del suo inconscio e si fa vivo. Perché lui è un bambino piccolo che ha paura, e allora è come se avesse vicino un bambino reale in carne ed ossa che piange disperato ed è pieno di paura, di terrore, con gli occhi sbarrati, che si fa? Ci si inginocchia vicino lui, a terra e si va al suo stesso livello, gli si fa una carezza, gli si asciugano le lacrime, e gli si sta vicino, prima di tutto, gli si compra un giocattolo, gli si regala un gelato, e poi con calma si cerca di farlo ragionare, spiegandogli il perché delle sue emozioni.

E bisogna stargli vicino e capire quello che prova, per restituirgli in diretta le sue emozioni e le sue ragioni, al posto di dargli una sberla per farlo smettere! Lui è rimasto piccolo a quando i suoi genitori gli facevano del male con le parole, come abbiamo visto, è rimasto fissato ad un lontano passato anacronistico, fuori dal tempo, il suo esame di realtà lo porta nel passato, lei è cresciuto col corpo ma lui è rimasto piccolo, un bambino piccolo dentro di lei che piange ed è terrorizzato dalla paura, sì, deve proprio credere che sia un bambino reale in carne ed ossa.

Il processo è questo. Ad un certo punto lei vede il suo bambino piccolo interno, si rende conto di essere in un mare bollente pieno di squali, lo prende per mano, e lo chiama per il suo nome. “Eccoti qui, che sorpresa, ci sei, ti ho visto, finalmente ti vedo che esisti!”. E magari si commuove lui e vi commuovete insieme, e piangete insieme. Anche se le prime volte è difficilissimo vederlo, perché quando esce fuori di colpo e si è invasi dall’ansia non si è più se stessi, e si diventa sopraffatti, non si riesce più a prendere il controllo di sé stessi, come ho ripetuto più volte, e inevitabilmente ci si arrabbia anche, per la propria impotenza.

Adesso, gli deve dire, quando finalmente lo vede, gli deve dire in diretta: “ci sono io che sono tuo padre, che sono la tua parte grande, la tua parte adulta, che finalmente ti posso prendere per mano”. E quando lui si agita, lei gli deve dire di stare tranquillo, che non succede niente, che non sta succedendo niente. Anzi gli deve dire: “se ti puoi esprimere solo attraverso l’ansia, fallo, se ti puoi esprimere solo bloccandomi, fallo, perché ti voglio bene, ti lascio carta bianca, basta che esisti, e me lo fai vedere, e se sai esistere solo tramite il dolore e la sofferenza, non avere paura a mostrarmele, basta che ti fai volere bene, perchè il tuo bene è elaborare il tuo passato in modo che non ti faccia più male, in modo tale da liberarti di lui, che non sia per te più doloroso così tanto”.

Ma vediamo bene cosa prova l’Armandino, cosa ha l’Armandino. Lui, abbiamo detto, è terrorizzato dalla paura assoluta di sbagliare, il terrore di sbagliare, di risultare inadeguato, paura di mostrarsi un fallimento, una nullità, un incapace, paura della vergogna di mostrarsi così, handicappato, e noi sappiamo che è terrorizzato che tutti lo vedano così, è terrorizzato di fare una bruttissima figura verso le persone che lo vedono inadeguato, mentre in realtà, è prima di tutto lui stesso che si sente un incapace e una nullità, una merdaccia, un piccolo Fantozzi, un fallito, e questo è il suo vero profondo e assoluto dramma.

È costantemente col timore di essere scoperto, che terrore vivere così! “Vede, il suo Armandino l’ha sempre limitata, ma deve avere coraggio e speranza, ed accettare che ci sia questa sua deficienza, questa sua limitazione, questa sua malattia, che in fondo è la sua più grande imperfezione, lo deve accettare, deve credere che ci può arrivare un giorno ad essere libero dal suo Armandino. Vede, deve combattere da una parte, poi nello stesso tempo prenderlo per mano, e darle una carezza, con affetto, anche se non è facile, perché si vorrebbe dargli una sberla”.

Devo combattere o prenderlo per mano con calma?

Vede signor Armando, dipende, un po' uno un po' l’altro, dolcezza, tanta dolcezza e tanto affetto, ma anche un po' di bastone quando le ruba il corpo, e poi un po' di carota, quando si calma, e glielo ridà, anche se solo parzialmente. E gioia quando la libera dall’ansia, le fa un regalo.

Alla fine della terapia lei fa pace con il suo Armando piccolo perché è cresciuto e si è integrato con la sua parte grande, con suo padre che è lei, e sparisce il suo bisogno di esistere, e la lascia libera da essere sé stesso, e di conseguenza non ha più bisogno di rubarle il cervello, perché ha elaborato che non è vero che è un incapace, e accetta a sua volta di sbagliare e di commettere degli errori senza dover per forza crollare, e così aumenta sempre di più la sua autostima, fino a quando si riempie il suo buco narcisistico, e lui si sente finalmente sicuro e solido, e quindi non trema più, ed è stabile.

“Non ci crede che sarà possibile? Vedrà che succederà, deve solo fare il paziente ed avere quindi pazienza e crederci”. Ho detto al Sig. Armando, perché ne sono convinto.

Un altro paziente aveva adottato la strategia, per superare l’influenza negativa della sua parte bambina inibente, di sentirsi Dio e superiore davanti all’altro che considerava sempre un avversario e col quale si sentiva sempre in competizione feroce. In una sorta di meccanismo mentale, così l’avevamo chiamato, il meccanismo, un meccanismo cosciente, si caricava prima degli eventi importanti, e si ripeteva continuamente che colui che doveva affrontare non valesse niente, nulla, trattando così l’altro come se fosse una nullità, e l’insufficiente mentale diventava l’altro, non lui, che improvvisamente iniziava a funzionare libero dal conflitto che aveva superato così temporaneamente, e così si caricava di onnipotenza e con questo stratagemma scavalcava il conflitto e poteva funzionare cognitivamente senza essere sopraffatto. Usava questo meccanismo anche quando faceva gli esami universitari, dove si convinceva che i professori non valevano nulla, che erano dei falliti, e li sfidava, con rabbia, riuscendo così miracolosamente a funzionare, anche bene.

Aveva preso diversi 30 e lode con questa strategia. Ma pagava il dazio di distruggere l’altro che diventava una nullità, e quindi non lo rispettava per quello che era, ma in compenso riusciva a funzionare, per poi, finita la prestazione, crollare di nuovo. Il meccanismo non gli era però riuscito all’esame finale di laurea, davanti a tutti i suoi familiari ed amici, dove era andato totalmente in tilt, rispondendo a tutte le domande con la stessa risposta, in preda ad una sorta di totale ansia che l’aveva portato fino ad una sorta di dissociazione. Fortuna che aveva la media del 108.8, ed è arrivato a prendere 110, ma il fatto che non era riuscito a prendere la lode è stata una ferita che l’ha accompagnato fino alla fine dell’analisi, quando ha fatto pace con se stesso.

Ogni paziente cerca il modo di funzionare superando il suo conflitto, ma quando si è invasi da esso e dall’ansia che ti attanaglia, non è facile districarsi dalla nebbia e ritornare ad essere sé stessi, e non basta lavorare sul sintomo, quella non è una vera guarigione, la vera guarigione è elaborare il conflitto, in modo tale da poterlo superare.

Ma ripetiamo cosa significa guarire e come ci si ammala. “Guarire vuole dire che lei è lì da una parte, e riesce ad osservarsi, riesce ad osservare il suo Armandino in azione, e ogni volta ci riesce sempre meglio, come abbiamo ripetutamente detto. In questo preciso momento l’altra persona che si ha davanti viene scambiata per una figura della propria infanzia che è giudicante e squalificante, che è pronta a criticare e ad individuare le tue deficienze, ed è questo il nucleo del conflitto internalizzato, che significa che tante tantissime volte quasi sempre per anni nell’infanzia, si è vissuta quella relazione con una persona di riferimento o con più persone di riferimento squalificanti, e così si è formata la parte bambina che si difende, che vive in lei, che ha le caratteristiche del suo parente, perché ci crede di essere un fallito, anche perché gliel’hanno detto da una vita più volte”.

Questa parte bambina da parte della parte grande è un potenziale nemico da cui difendersi, un nemico che gli evoca il conflitto. Ma in realtà bisogna sempre pensare, che tu che sei davanti a me in realtà non sei, come pensa la mia parte bambina, mio padre o mia madre, che mi ha sempre squalificato, perché ci può essere una persona, per esempio un padre comunque squalificante che perennemente è in competizione con te e nell’infanzia non ti fa mai un complimento ma ti deve sempre attaccare per distruggerti e sentirsi così bravo solo lui, che di fatto ti ha sempre castrato, oppure come abbiamo già detto ci può essere una madre che non si fida mai delle tue potenzialità e costantemente ti anticipa perché ha paura che a lasciarti da solo a provare a fare le cose tu le puoi sbagliare, fino a creare qualcosa di drammatico. In entrambi i casi il messaggio che passa è che tu sei un fallito, un perdente, una nullità, e la tua autostima crolla, e ci si riempie di vergogna, e si vorrebbe sprofondare ogni volta che subentra una possibile relazione.

Questo può succedere, succede spesso nelle famiglie dove c’è il culto della perfezione, dove ci sono persone magari molto intelligenti, che nonostante i loro problemi hanno fatto carriera, hanno avuto successo nella vita, sono arrivate ad essere qualcuno, hanno occupato un ruolo importante nella società dove sono estremamente stimate, ma che hanno problemi nevrotici, o narcisistici.

Per esempio narcisisticamente, sempre inconsciamente, hanno però il limite di non essere in grado di sopportare di avere dei figli non al loro livello, perché altrimenti si sentirebbero squalificati anche loro. Strano, perché hanno raggiunto il successo nella vita, eppure vi garantisco che è così, perché hanno raggiunto il success con la loro parte grande, mentre la parte bambina è rimasta bloccata a quando era molto piccola, e gli ha sempre creato problemi.

Oppure quando c’è un figlio molto intelligente, i genitori lo devono massacrare e distruggere per essere vincenti solo loro. Ci può essere anche il caso in cui c’è un secondo figlio che fa fatica a raggiungere le prestazioni del fratello, e ne viene schiacciato, e dilaga l’ansia da prestazione per lui.

Quindi quando si crea all’interno del bambino questa enorme insicurezza, che non si riesce ad elaborare durante l’infanzia e neanche in adolescenza e in età adulta, allora il conflitto diventa internalizzato, è dentro, e tutte le persone che assomigliano alle tue figure primarie sono diciamo “pericolose” per te, perché la propria parte bambina si comporta con loro come si comportava con le figure dell’infanzia che lo facevano stare male, che lo hanno fatto stare male per anni.

Quando si è coscienti di queste dinamiche, di questa situazione, allora appena si incontrano persone potenzialmente ansiogene, bisogna prevedere l’arrivo dell’ansia, che può essere più o meno paralizzante, questo per non farsi sopraffare. Bisogna prevedere che il bambino nascosto ti ruba il cervello scambiando le persone che si hanno davanti come se fossero i propri genitori o comunque con le proprie persone di riferimento che ti hanno fatto stare male denigrandoti o non considerandoti all’altezza.

A parole è facile, ma in realtà è difficilissimo in diretta accorgersi del furto del cervello, perché si è invasi dall’ansia e dalla paralisi corporea mentale e fisica. Ma non bisogna scappare da questo dolore, perché ogni volta è un dolore che emerge, pungente, bisogna affrontarlo è una forte emozione, bisogna combattere tante battaglie prima di vincere la guerra finale e deporre le armi verso se stessi, il percorso è lungo, specialmente se il paziente è già avanti con l’età, è più facile lavorare con i bambini nevrotici o con gli adolescenti nevrotici o con i giovani adulti nevrotici, perché sono meno rigidi, più plasmabili, perché il loro carattere è meno strutturato sulla malattia nevrotica.

Allora quando capita la relazione diciamo pericolosa, quando si incontrano persone che evocano il conflitto, ecco che di colpo il tuo bambino nascosto che è in dormi veglia ma sempre lucido e pronto a svegliarsi, si sveglia per difendersi, e tu di colpo sei di fronte al tuo bambino interno nascosto che emerge fuori e si vede attraverso i sintomi, perché entra subito nella tua coscienza e nel tuo corpo e tu non riesci a fermarlo.

Il paziente può per anni teorizzare la presenza della parte bambina ma non vederla mai in diretta, sa che c’è, solo perché glielo dico io, ma non la vede. Finché, se il paziente ha pazienza, e se ha perseveranza e il coraggio di lottare, prima o poi il paziente arriva ad essere sempre di più ogni volta a tu per tu con la sua parte bambina, che sta dall’altra parte, siete uno di fronte all’altro, che finalmente vi guardate, che finalmente vi potete guardare, finalmente vi vedete, dopo tanti anni dove la parte bambina è rimasta in presenza nascosta, dove lui il bambino nascosto era chiuso a chiave nella sua stanza nell’inconscio lontano dalla sua coscienza, assolutamente al buio, a piangere pieno di paura, e a sbattere la testa contro il muro fino a lacerarsi, perfino a sanguinare, e ad agire la sua disperazione da lì sotto indisturbato. Il paziente allora lo può vedere attraverso i sintomi, ma il processo difficile è capire che i sintomi non gli appartengono veramente, ma appartengono alla parte bambina, sono la sua espressione, il suo modo di farsi viva al mondo, nel tentativo estremo di essere aiutata e guarita, fatta crescere.

Bisogna così continuamente fare esercizi di vedere che la parte bambina esiste, di monitoraggio di se stessi, fino a quando i tempi di latenza diminuiscono, il bambino interno appare sempre, aumenta l’ansia, ma poi lentamente scompare e ricompare l’ansia, e alla fine si è guariti, alla fine di questo lungo e doloroso cammino, dopo avere fatto sempre un cammino di due passi avanti, tre indietro, due avanti e tre indietro, e avere scalato la montagna più alta, fino a raggiungere il valico e andare dall’altra parte, vittoriosi verso una nuova vita. Lo so che è semplicistico spiegare così la guarigione, ma è difficile, bisogna esserci dentro per capirlo, e non a caso mi accorgo che ripeto sempre le stesse cose, per fare in modo che siano chiare, perché in realtà sono veramente molto complesse. Si parla in fondo si qualcosa che prima non si vede ed agisce comunque su di te, poi si vede che agisce dentro di te, e poi non agisce più.

Ma la cosa principale è che tutto il carattere di una persona può ruotare dietro questa malattia, senza che magari per tutta la vita questa persona lo sappia, che potrebbe avere un carattere diverso, ed intanto fa stare male le persone che lo frequentano, che spesso si stufano di lui, o può rovinare lo sviluppo dei suoi figli che crescono come lui, nevrotici, o può rovinare il rapporto con la sua compagna.

Come abbiamo già anticipato, la prima volta che il paziente riesce ad osservarsi e a parlare alla sua parte bambina che dopo anni se non decenni agiva indisturbata fuori dalla sua coscienza, è bellissimo! Allora il paziente si ferma e la può ascoltare. Stupendo! In quel momento anche il paziente vede che lentamente lui stesso si sta trasformando.

Bisogna che il paziente inizi a vedere la sua parte bambina anche solo ogni tanto, ma non solo, quando la osserva, bisogna che capisca cosa gli sta succedendo in quel preciso momento, cosa gli sta saltando in mente, che emozioni sta provando, a lui e a lei, alla sua parte bambina, no, non è facile, non basta dirsi in quel momento preciso che ci si guarda ansiosi e paralizzati e non si riesce a parlare, che si ha ansia perché si ha paura ad essere scoperti essere degli incapaci, magari fosse così facile guarire.

Bisogna ripetere la situazione decine decine di volte, lavorando anche quindi sul sintomo, cercando di elaborare ogni volta quella precisa situazione, per vedere cosa in realtà ci sta dietro, anche se quando sei lì per lì a contatto con l’ansia si è sopraffatti ed è difficilissimo. E anche se fa male bisogna favorire i momenti dove l’ansia può arrivare, e cioè gli incontri con gli amici, con i parenti, con più persone, in gruppo, in modo da fare sempre esercizi di rinascita.

Dicevo al paziente che ha paura a parlare in pubblico. No, è inutile che lei vada a parlare in pubblico adesso che non è ancora guarito, sennò senza la corazza e senza le armi va in guerra e si brucia, la ammazzano subito! No, lei deve prima capire ripetere ed elaborare tutti i suoi meccanismi, tutte le sue dinamiche nevrotiche, e solo dopo quando sarà cresciuta la sua parte bambina e sarà libero di essere sé stesso e di usare le sue potenzialità cognitive al 100%, potrà andare senza problemi a parlare in pubblico, senza paura e terrore di sbagliare, perché avrà capito che cosa vuole dire dentro di lei sbagliare, e sarà prima addomesticata così poi sarà cresciuta e diventerà adulta la sua parte bambina.

La prima volta che succede il paziente si vede in diretta libero in pubblico di parlare senza avere l’emozione della paura che lo sovrasta, e vi garantisco che quando succede, quando il paziente ce l’ha fatta per la prima volta a dominare la mia parte bambina e a riprendersi in diretta il 100% di se stesso, a volte capita che il paziente si commuove, capita di provare una felicità profonda, anche se poi il giorno dopo ritorna perdente, in balia della parte bambina che lo paralizza. Pazienza, ci vuole pazienza, e perseveranza, che è direttamente proporzionale alla gravità della propria malattia.

Ricordo che ad un paziente capitava che quando vedeva un film o sentendo una notizia di qualcuno che riusciva e trionfava in qualcosa, gli venivano giù le lacrime, e a volte piangeva a dirotto, e non sapeva come mai. Io gli spiegai. Chi sta piangendo in realtà? Non è la sua parte grande, no, è il suo bambino nascosto interno che si identificava con il vincente, e che piangeva dalla commozione, lui che non era mai arrivato ad essere apprezzato come lui, lui che finalmente aveva vinto indirettamente identificandosi con il vincitore, dopo anni, in questo caso decenni, che si era sentito un fallito.  E così il paziente si è commosso a sua volta a vedere che veramente aveva un bambino piccolo dentro di lui, che non era lui, che soffriva, e che piangeva.

Tornado invece al paziente Armando e al suo Armandino, gli ho detto più volte, che noi sono più di 100 sedute che parliamo di questo Armandino, l’abbiamo teorizzato tante volte che è un bambino dentro di lei nascosto inconscio che si sente una “merdaccia”, un incapace, è stato bello quando l’ha visto per la prima volta, e quindi gli ha parlato insieme, quando lo ha veramente rassicurato, e quindi si è separato da lui, almeno parzialmente, perché bisogna separarsi per distinguersi.

Su coraggio, lo so che ce la può fare, che ce la deve fare, ma ci deve credere. Lo sa che tutte le sue manifestazioni depressive sono tutte legate al suo Armandino che si sente una nullità ogni volta che sbaglia, e la fa sprofondare nell’abisso dell’insufficienza, lo sa vero?

Quindi bisogna per tantissime volte cercare di prendere per mano la propria parte bambina, e mentre agisce dirgli in diretta: “guarda che chi hai davanti a te non è tuo padre o tua madre che ti dicevano costantemente che sei un incapace ed erano pronti a criticarti ogni cosa facevi di sbagliato! No, le persone che si incontrano sono persone che non hanno niente a che vedere con le tue figure primarie la cui interazione con loro ha generato il conflitto. E alla fine della psicoterapia, vedrai che le rispetterai per quello che sono, e vedrai veramente l’altro solo per quello che è senza proiettare su di lui tutti i tuoi conflitti internalizzati”.

Buona giornata signor Armando, stia sereno e fiducioso, ma non smetta mai di lottare, anzi inizi a lottare per impadronirsi di tutti questi suoi meccanismi, e prima di tutto si fidi di me, cerchi di capire che non è lei in azione nelle situazioni che si riempie di ansia, ma il suo bambino interno nascosto. E pensi che non è l’unico che ha dovuto percorrere il suo viaggio fino a vedere la luce e che, come ci sono riusciti gli altri ognuno rispettando i suoi tempi, ci può riuscire anche lei.

Non si può guarire se non lo vede, questo è il primo passo fondamentale, lei lo deve cercare in ogni sua emozione, nelle sue emozioni che la inquietano, che la fanno stare male, lo deve ricercare pure nei suoi sogni, specialmente nei suoi incubi, insomma in tutte le manifestazioni del suo inconscio. Quando lei ha paura, non è lei ma è il suo Armandino che ha paura. Quando lei ha paura di sbagliare, non è lei che ha paura di sbagliare, ma è il suo Armandino che ha paura, che ha il terrore di sbagliare. Quando è in procinto di parlare in pubblico e sente che le sta arrivando il panico, paradossalmente deve essere contento perché è il momento che può vedere in diretta il suo Armandino, gliel’ho già detto e gliel’ho fatto scrivere la scorsa seduta, lei dovrebbe essere felicissimo di stare male, perché ogni volta che sta male può avere l’occasione di prendere per mano il suo bambino interno e parlarci insieme.

Su coraggio Signor Armando, insieme dobbiamo farcela, e ce la faremo!

Ma perché non si può mai sbagliare, perché bisogna fare sempre giusto, perché ogni volta si soffre se si commette un errore, e non si può stare in pace nell’errore stesso? Questa è una bella domanda, è una domanda chiave. La risposta è che il paziente, il nevrotico non può permettersi l’errore altrimenti cadrebbe dal piedistallo del suo ideale perfetto, e no, la mediocrità e l’errore, finché è nevrotico, non può accettarlo. Se infatti il terrore è di sbagliare, se non si ha più paura di sbagliare e si può sbagliare liberamente, il terrore passa, e il paziente guarisce.

Invece ogni volta saper accettare di fare un errore, di sbagliare senza sobbalzare, che ti venga una forte paura e una forte botta di angoscia, un forte dolore, è un traguardo che ad un certo punto del processo di guarigione affiora alla luce, e allora la lucina sempre più diventa sole, ma ci vuole tempo, anche per questo processo di elaborazione.

Bisogna passare ogni volta dall’osservazione del proprio dolore quando si sbaglia, all’accettazione di esso, fino a quando sbagliare diventa naturale, e non ti fa più paura e terrore, non ti fa più male.

Ma perché non si può non essere perfetti? Per una questione di presunzione, di orgoglio, ma in realtà in ultima analisi è sempre un problema relazionale, e cioè di volere che i genitori ti apprezzino, ma non solo che ti apprezzino, ma che di conseguenza ti vogliono bene.

Alla fine, quindi è anche un problema legato agli affetti, all’accettazione di sé stessi, è un problema di amore, di essere amati. Perché da piccolo se non si era perfetti i tuoi genitori non ti volevano più bene, e qui si collega il bambino nascosto legato all’autostima con il bambino nascosto abbandonico, e quando si arriva a questo punto è un punto cardine della cura. Anche in questo caso bisogna parlare, dialogare con la parte bambina, e spiegarle queste cose. Fino a quando le digerisce, e le passa la paura di sbagliare. Non è infatti possibile per il bambino nascosto non sentirsi amati, è troppo doloroso.

La guarigione infatti porta il paziente a mettere le sue armi rabbiose nel cassetto, addirittura a venderle, e si fa pace con i propri genitori che con tanta difficoltà ti hanno voluto bene, a loro modo, come hanno potuto, e solo come il loro psichismo gli ha permesso, e si cerca di volergli bene, a sua volta, il paziente deve cercare di volergli bene, perché può permetterselo perché è guarito. Volere veramente bene ad una persona è veramente difficile, ci si riesce veramente solo verso la fine dell’analisi, quando c’è la remissione della sintomatologia, il cuore si apre, e subentra la tenerezza verso tutti, e trionfa l’amore verso il prossimo. Anche questo traguardo ti porta ad avvicinarti di più agli altri. L’invidia sparisce, e tutti diventano come dei fratelli, scompare l’odio, e la paura di sbagliare, e ogni volta che si sbaglia si è comunque sereni, non c’è più quella botta dentro che ti fa tremare!

C’era un paziente che ogni volta che faceva un errore a digitare al computer una parola stava male, aveva un micro attacco si sofferenza, e doveva correre velocemente il più veloce possibile a correggere il suo errore. Finché un giorno, alla fine della sua psicoterapia, dopo anni di analisi, si è chiesto perché stava così male. Ma perché io non mi posso permettere di sbagliare, di fare un errore? Si è chiesto. E quando gli ho fatto notare che non c’era nessuna tragedia se lui sbagliava una parola al computer, ha incominciato a sbagliare e a provare meno dolore, fino a quando si è liberato di questo dolore, che così è passato dall’essere un dolore corporeo, una botta di paura fisica, ad un dolore prettamente mentale, e l’errore era diventato per lui una cosa normale, anche se ci ha messo un po' di tempo ad elaborare il tutto, ed è stato parecchio tempo a vedere questo suo meccanismo e a dire: “non sono io che ho paura di sbagliare, ma sei tu, mio bambino nascosto”.

Insomma, è umano sbagliare, sì è umano sbagliare. Ma il tuo inconscio, la tua parte bambina non lo sa per decenni, addirittura lo può non sapere per mezzo secolo e anche di più.

E allora il paziente si divertiva a godere nel vedere che digitando un errore al pc non succedeva più niente, non era morto ogni volta dalla paura di sbagliare, e così quasi improvvisamente, a fine analisi, si è accorto dopo una vita che era stato sempre male, e non ci voleva credere.

Penso a tutti coloro che non sopportano di sbagliare e che non sopportano che gli altri sbagliano, come vivono male!

Solo alla fine della psicoanalisi, o della psicoterapia psicoanalitica, quando si può osservare la parte bambina in diretta in azione, si può capire che non si è assolutamente d’accordo con lei, e si può distanziarsi dal suo pensiero, gradualmente, differenziarsi dal suo pensiero, a furia di rendersene conto attraverso ripetuti insight, e a furia di parlarci insieme, per fargli capire che queste sue idee sono “fuori dal mondo”, che queste sue idee sono sbagliate, e si soffre a pensare che si è vissuti una vita con i tuoi genitori che ignari la pensavano allo stesso modo, della tua parte bambina, e che credevano fosse giusto pensarci, e che tu sei diventato in fondo come loro, nonostante conosci tutte queste cose.

E solo alla fine dell’analisi, o del percorso psicoterapico, che allora si può capire come funzionavano i tuoi genitori, perché funzionavano come te, e li si può comprendere e perdonare, e si fa pace con loro. Come tu hai visto in diretta come può la tua parte bambina squalificare in un lampo un figlio e avere dubbi sulle sue potenzialità cognitive solo se fa un minimo errore, tu sei nato in questo clima con i tuoi genitori che hanno fatto la stessa cosa con te, se sono morti, o se sono vivi continuano a farlo, e quando lo vieni a sapere e a capire così ti puoi meglio difendere, perché li puoi prevedere, perché loro sono sempre uguali e rimangono così sempre.

Bene, siamo giunti quasi alla fine di questo lungo articolo. Chiedo scusa se sono stato a volte prolisso e ripetitivo, ma è un po' il mio stile. Ma mi sono chiesto come mai faccio fatica ad essere sintetico. Credo perché scrivo come lavoro con i miei pazienti, ripetendo le cose, non mi piace interpretare solo una volta, no, mi piace accompagnare il paziente seduta dopo seduta, in modo da avvicinarlo a sé stesso, al suo dolore, con più dolcezza e rispetto per il suo dolore, e allora a volte, anzi spesso, ad ogni seduta, gli spiego i suoi meccanismi, e non mi preoccupo se sono ripetitivo anche con lui. Mi piace pensare che questo articolo sia come una seduta, che possa servire anche ai miei pazienti che lo leggeranno, e quindi uso il linguaggio delle sedute.

L’inconscio ha tempi lunghi, e bisogna sempre rispondere ai pazienti quando ti fanno delle domande, non bisogna mai non rispondere, stare zitti. Ecco perché questo articolo è importante, per mostrare anche ai miei pazienti i loro meccanismi, e aiutarli ad avere la speranza di poter finalmente un giorno guarire.

Auguro a tutti i nevrotici prima o poi di arrivare a guarire, a questo regalo della vita. Dai, fidatevi del vostro psicoterapeuta, ed abbiate la speranza di raggiungere il sole, la luce, anche se non vi vedete al buio, ve lo dico io che lo siete!

Il mio lavoro di psicoterapeuta è una missione, lo faccio con il cuore, ho sofferto tanto nella vita, ho fatto un’analisi molto lunga, ho raggiunto tanti traguardi, ed adesso non sopporto di vedere una persona che viene a chiedermi aiuto senza che io la possa veramente aiutare, ce la metto sempre tutta, perché guarire è stupendo per tutti, è come raggiungere sulla terra il paradiso terrestre.

 

11 febbraio 2022: Seduta online con il Sig. Armando.

Dopo quasi 2 anni di terapia, prima 2 volte la settimana, poi una volta la settimana.

 

A: Sa Dottore, ho un fortissimo senso di scoraggiamento, non riesco a rendere serena mia moglie. Lei mi ha detto: non capisco più nulla, sono stanca a lavorare come operaia.

Io gli ho risposto: ormai sei una disperata.

E lei mi ha risposto: dovresti provare tu a fare quello che faccio io al lavoro.

Ed allora io sono caduto in uno sconforto totale. Un senso totale di depressione, come se mia moglie mi avesse detto che non valevo niente. Inoltre mi hanno proposto di parlare in pubblico, ed ancora una volta ho detto di no, come faccio in questi ultimi 10 anni.

T: Vede, sig. Armando, c’è sempre il suo Armandino che ancora una volta l’ha fatta sentire una nullità.

A: Vede Dottore, ho pensato seriamente questa settimana a cose brutte, che senso ha la mia vita, anche che vorrei morire, perché sto troppo male, non lo farei mai di uccidermi, ma intanto l’ho pensato, ho avuto questi pensieri.

T: Sì, lei sta provando un senso di disperazione totale.

A: Cos’è che mi fa scoraggiare così tanto? Certamente la delusione che io sento di avere dato ad una persona. Quello che mi ha chiesto di fare un intervento l’ho deluso per l’ennesima volta, e questo fatto mi ha fatto venire una bassissima autostima, e mi sono sentito fortemente crollare.

T: Lei deve dire sempre di no a coloro che la vogliono fare parlare in pubblico di fronte a 200 persone, perché no, non è ancora pronto, finché lo dico io in alleanza terapeutica con lei, con Armandino grande, finchè così lo diciamo in due.

Sì, lei sicuramente guarirà, ma è ancora presto, è sulla buona strada, ma non è ancora guarito.

A: Dottore, questa sua frase mi ha rassicurato, mi ha fatto un po' evaporare il peso di avere detto di no alla possibilità di parlare in pubblico. Sono peggiorato tanto ultimamente, tra l’altro, è aumentata la mia paura.

T: gliel’ho già detto l’altra volta, se le cose vanno bene, una persona prima di guarire peggiora, se l’è dimenticato che gliel’ho detto?! Non è facendo esercizi “primari” che lei guarisce, che significa che lei va veramente a provare a parlare in pubblico, senza ancora essere guarito, con la sua parte bambina ancora massicciamente malata, e quindi col rischio concreto di avere un attacco di panico, no, ma stiamo scherzando? No, si guarisce facendo crescere la sua parte bambina che sicuramente farà crescere, e sa perché ne sono così convinto? Perché lei da 0 a 100, è già arrivato a metà, a 50.

 

0 ------------------------30------------------------------50--------------------------------------------------100

 

Quando infatti arriverà a 100, sarà arrivato finalmente alla libertà di pensiero, e riuscirà così a parlare in pubblico, e sarà totalmente guarito dalla glossofobia (paura di parlare in pubblico), e magari la verrò a vedere io in diretta.

Fino a poco tempo fa, lei era fermo al 30 per cento, mentre ora è a 50, e sta meglio a 50 perché la differenza tra 30 e 50 è che ora riesce a vedere il suo bambino dal di fuori che agisce, direttamente proporzionalmente all’arrivo dei sintomi.

Se lei quindi è arrivato al 50 per cento, vuole dire che non è fermo, come vuole farle credere la sua parte bambina, tremenda, vuole dire che sta camminando molto bene, invece lei crede ad Armandino, e si deprime, al posto di credere a me, ma non mi potrà mai credere, finchè non ci sarà arrivato. Quindi lei non ci crede ma crede a lui, e si sente una merda, un fallito, è disperato al punto di volersi fare fuori, arriva a dirsi che la sua vita è un fallimento. Mentre io le dico: “no, caro Armandino, sei a buon punto, no, tu ce la farai, non ho dubbi, è solo una questione di tempo”.

A: Non mi fido di lei in realtà Dottore, in realtà.

T: ma è certo, lei non potrà mai fidarsi perché non è ancora arrivato alla fine del suo viaggio, e come Tommaso, o lei vede o lei non crede., e quindi non può credere finchè non vede davanti ai suoi occhi che è guarito.

Lei deve allora solo credere sulla fiducia ma finchè i sintomi sono così forti è dura.

Ha anche pensato stavolta di smettere la terapia? Di nuovo?

A: no, dopo alcuni mesi consecutivi non ho pensato questa volta a questa ipotesi, in questa settimana.

T: benissimo, questa è la prova che non è fermo al 30% ma è al 50% del suo cammino, che è arrivato a metà, prima invece lo pensava ad ogni seduta, che faceva di malavoglia.

A: sì Dottore, chiaramente è una delle poche volte che ho aspettato la seduta del venerdì con un senso di serenità e di liberazione, avevo stranamente voglia di venire, avevo voglia come di una specie di svuotamento inconscio.

T: e non a caso, va bene che le avevo mandato un messaggio di arrivare stavolta puntuale, è arrivato dopo mesi puntuale per la prima volta non con i suoi soliti 5 e più minuti di ritardo, irrecuperabili perchè sa che dopo ho un’altra seduta.

Ma non solo, signor Armando, le dico anche che sono certo che lei diventerà un leader, e cioè colui che spiegano agli altri quello che devono fare, che lei non è mai riuscito ad essere perché non è mai riuscito a parlare in pubblico.

A: questa è talmente una cosa che non vedo che non vedo assolutamente sia possibile, che non concretizzo assolutamente possa succedermi un futuro, non certo per mancanza di capacità, ma perché ho questa parte che me lo impedisce.

T: bene, ma a lei so che interessa andare al sodo: praticamente come fare per arrivare a guarire? Il primo passaggio che lei ha già fatto recentemente per la prima volta, ma prima mi diceva che se lo era già dimenticato, me lo dica lei.

A: Ah sì, è quello di osservare l’Armandino in azione. Armandino non lo osservo adesso con lei ma lo posso osservare solo nei momenti di difficoltà emotiva, quando sale alla ribalta.

T: sì, come dico io quando le ruba il cervello. E lei sparisce, non è più lei.

A: è un braccio di ferro, lo vivo e faccio fatica a resistere.

T: vede, o vince o perde, o tutto o niente, sono i soliti due passi avanti e tre indietro, poi ancora tre passi avanti e due indietro, e andando avanti così si cresce. Adesso siamo all’anticamera della guarigione, altrimenti se lei fosse già guarito, parlerebbe alla “primaria”, o addirittura davanti a un milione di persone, lei non ci crede che sarà possibile, ma vedrà. Già il fatto che si fosse parzialmente dimenticato che per guarire bisogna vedere la parte bambina in azione, e quindi in questo modo distaccarsi e differenziarsi da essa, mentre il suo inconscio ha preferito deprimersi e stare male per una settimana, nonostante io le abbia detto la scorsa seduta che ero certo che lei sarebbe guarito un giorno, mi fa pensare che non mi ha creduto, che ancora non si fida di me. Giusto?

A: certo!

T: cosa deve fare secondo lei questa settimana?

A: devo ricominciare a vedere Armandino in tutti i suoi aspettiù, anche se vederlo in diretta è difficile, perché finchè lui non è chiamato in causa, io vado alla grande.

Ho appena detto al referente che voglio rinunciare a fare un piccolo incontro con 20 persone, con poche persone. Volevo rinunciare visto che ho questi problemi.

T: eh nooo, assolutamente no, questi esercizi li deve fare, sennò non va bene, ci mette troppo tempo, non ce la fa.

A: è la mia rabbia che mi porta a rinunciare a provare.

T: me lo promette che ci prova a fare questo intervento nel gruppo piccolo?

A: va bene, domani telefono, glielo prometto.

T: Io non ho dubbi che lei guarirà, mi deve solo lasciare il tempo e la possibilità di curarla, e deve avere tanta pazienza, perché non si può sapere quando guarirà. Ma ci deve credere come me che questo prima o poi possa accadere, come sono guarito io vedrà che guarirà anche lei, no, non si deve deprimere ogni volta che si accorge che dopo una seduta non è ancora guarito.

 

Come vedete, il sig. Armando, è nella fase ampiamente descritta, quando abbiamo parlato inizialmente della cura del paziente nevrotico, dell’osservazione in diretta della sua parte bambina, o meglio diciamo che non è ancora in pieno in questa fase, perché per esempio si è dimenticato di osservarsi in questa settimana.

Io aspetto, ma sono fiducioso, non ho paura a dire che sono certo che guarirà, perché lo sento dentro, in profondità, che questo non che potrà succedere, ma che succederà sicuramente, è solo una questione di tempo.

Quello che succederà lo sento dentro che succederà, e non posso non trasmetterlo al paziente che sta soffrendo, che è in questo periodo succube della sua parte bambina molto spesso, al punto che è depresso e cambia di umore molto spesso, al punto che la nevrosi ha coinvolto anche il rapporto con sua moglie, dove nel dialogo ha prevalso la sua parte bambina.

Quello che succederà ad Armandino ed ad Armando ve lo racconto nel prossimo capitolo, dove parlerò della guarigione del paziente nevrotico.

Nel frattempo vi mostro un ipotetico dialogo immaginario tra me ed Armandino, in queste due lettere che ho inventato per essere il più esplicativo possibile.

 

19 febbraio 2022: Seduta online con il Sig. Armando.

 

A: dottore sto male, è come se fossi tornato all’inizio della terapia, mi è successo per tre volte che dovevo parlare in pubblico, anche se solo online davanti a una ventina di persone, e mi ha preso il solito panico, che è salito stavolta, fortuna che ho finito di parlare solo dopo poco, ma sono stato malissimo! Ed ho subito pensato: lui riesce a parlare, il mio collega, io no, vuole dire che assolutamente non valgo nulla!

Il problema Dottore è che non mi aspettavo l’ansia, e appena è arrivata dirompente mi sono sforzato di arrivare, con fatica, alla fine del discorso. No, non ero più io.

Mi è capitato per tre volte. Così dovevo lunedì fare un altro intervento e ho detto che dovevo fare delle commissioni, e non ho fatto niente. Ho avuto in compenso tanta paura e rabbia a non presenziare.

T: vede, il problema centrale è che lei non si aspettava l’ansia, anche se io sono più sedute che glielo dico che se lo deve aspettare che arrivi la sua parte bambina che le ruba in diretta il 100% del suo cervello. Il fatto che lei non se lo aspetti, vuole dire che ancora fa fatica a credere che esista. No, non si guarisce di colpo, bisogna aspettarsela, prevederla, quasi chiamarla, quasi desiderare che arrivi, perché solo in quel momento ci può parlare insieme, altrimenti sparisce e le sfugge, se ne va, e non la vede più. Se invece se l’aspetta, magari con gioia perché ce l’ha lì, allora incomincia ad avere un dialogo con lei. Sono due anni che invece fa il possibile per scappare e per non affrontarla!

Il problema è che si è fatto sopraffare e non è riuscito a parlarci in diretta all’Armandino che ha visto le ha rubato il cervello al 100%, non è riuscito ad avere neanche un 1% libero per osservarlo e parlarci insieme, no, si è fatto sopraffare totalmente. Vede, lei deve essere felicissimo tutte le volte che lo può vedere il suo Armandino, e solo quando sta male lo vede, altrimenti non si può accorgere che ce l’ha. E in quei momenti che sta male paradossalmente deve essere felice perché è a contatto con lui, perché è in inibizione intellettiva totale. Ha mai provato a parlarci quando sta male totalmente e le sta salendo il panico? Lei adesso ha l’impressione a livello di sintomi di stare peggio, in realtà non è così, è un passaggio che purtroppo deve fare, per arrivare al paradiso deve passare per il purgatorio, è inevitabile, ha fatto i suoi 5 passi indietro, ma adesso finalmente lo vede in diretta il suo Armandino, e sa che è lui che le fa venire il panico! Solo quando le ruba il cervello lo vede e solo lì ci può parlare insieme, deve ringraziare questi momenti drammatici, sennò altrimenti crede che non ce l’ha.

A: mi ha appena telefonato un collega per chiedermi di parlare in pubblico, ecco Dottore adesso sono paralizzato mi è venuto il panico sto male sto malissimo veramente, solo chi lo prova può capire quello che mi succede, è una cosa fortissima! Indescrivibile, solo se la si prova la si può capire quanto si sta male! Mi sembra anche che mi sia salita di colpo la febbre!

T: lo so benissimo quello che succede, ci si sente in paralisi. Ma ne approfitti adesso che lo sente adesso in diretta, che visibilmente ha cambiato volto, che si è impietrito di colpo, che non è più lei, per parlarci insieme al suo Armandino. Adesso che vede i sintomi è lui che le sta parlando, si fermi e lo ascolti, non fugga, cerchi di capire cosa sta succedendo dentro di lei nel suo profondo, nella profondità del suo inconscio. È lì Armandino da lì sotto che Armandino le vuole parlare attraverso i sintomi, le scriva una lettera tramite me, dai, coraggio!

A: non ce la faccio sono paralizzato, sto male! Sento che mi ha rubato tutto il mio corpo e ne sono succube.

A: ma non posso prendere dei farmaci per farmi passare questa cosa?

T: no, io glielo sconsiglio, così nasconde ancora di più la sua parte bambina, invece adesso che la sta tirando fuori ha l’opportunità di farci i conti insieme, di averla lì davanti. Io a pazienti come lei sconsiglio di prendere farmaci, perché con lei si può lavorare bene, lei è intelligente, ha una buona capacità introspettiva, anche se quando le sopraggiunge il panico va in totale tilt.

T: dai, la scriviamo insieme. Mi dica lei cosa vuole dirgli al suo Armandino.

A: Caro Armandino,

in questo momento ho paura, e visto che non ho risposto al telefono ma so benissimo cosa mi sta chiedendo il mio collega, già la mia autostima va sottoterra.

T: si fermi e rifletta. Che cosa le sta dicendo il suo Armandino quando la fa andare in panico? La sta bloccando fisicamente, ma lui nello stesso tempo parla, non solo la blocca attraverso il corpo.

E lei mi ha risposto: dovresti provare tu a fare quello che faccio io al lavoro. Sì, dobbiamo capire quali sono le sue precise parole, dobbiamo dargli voce, perché lui parla solo attraverso il suo corpo e basta, paralizzandola, mentre dobbiamo tirargli fuori i suoi pensieri, verbalizzarli, sì, dal corporeo passare al mentale.

Allora, stia bene attento, lui le sta dicendo: “se tu non sei perfetto non vali nulla e la tua autostima va a zero. Tu devi fare perfettamente tutto esattamente giusto senza assolutamente sbagliare!”.

Lui mentre lei inizia il discorso è attentissimo e le continua a dire non sbagliare non sbagliare, quindi la monitora continuamente, e le dice continuamente, no non sbagliare non fare nessun errore, non puoi permetterti di sbagliare!

A: in questo momento mi ha tolto l’appetito mi sento la febbre mi sento male, sono di colpo pieno di ansia, sto proprio male Dottore, sì sto molto male! Il semplice fatto di darle una delusione.

T: si è accorto del lapsus che ha fatto, come se stesse parlando a me, di dare a me una delusione!

A: no mi sono solo sbagliato, volevo dire dargli a lui al mio collega una delusione, mi fa stare troppo male. In questo momento è passata tutta la mia serenità, la fame, ho la febbre, non ci credo che un giorno riuscirò a parlare, non ci credo più che guarirò, no. Il fatto che gli altri lo sappiano che sono così, che sono in questo stato, mi fa ancora stare più male.

T: invece, il semplice fatto che è peggiorato vuole dire che sta guarendo, come le ho detto la scorsa seduta.

A: non riesco a parlare ad Armandino, non saprei cosa dirgli! È talmente forte che mi ammutolisce.

T: lui vuole che lei faccia una performance perfetta ma ha il terrore che lei non ce la fa.

A: cosa vuole da me Armandino in questo momento che mi tiene in panico? Non vuole che io mi esponga, devo rimanere bloccato e zitto.

T: sì, non vuole che lei parli perché se lei fa un errore ha paura di essere giudicato da tutti.

A: allora mi paralizza, mi blocca e mi fa stare zitto.

T: sì, in modo tale che è impossibile che lei sbaglia, se sta zitto non può sbagliare e di conseguenza essere giudicato che ha sbagliato! Ha capito finalmente cos’è il panico?!

A: lui è convinto allora di essere giudicato una nullità anche solo se io faccio un minimo errore.

T: per esempio, quando lei sta scrivendo al PC e fa un errore, cosa prova, torna indietro subito a correggerlo?

A: sì, è fastidioso sbagliare al PC. Sì Dottore, torno subito a cancellare l’errore, sì, c’è davanti a me un errore che io devo subito cancellare, e correggere.

T: vede che non accetta anche nelle piccole cose anche un minimo errore e sta male? Questa ne è la prova, il suo fastidio, perché, solo per una parola che ha sbagliato?! Questo significa che anche nelle piccole cose sbagliate c’è un giudicante che la castra e la fa sentire totalmente una nullità, anche solo per un minimo errore al PC, e così pensa che tutti la stanno giudicando anche se è da solo. Così il primo giudice di sé stesso è lei, e poi proietta sugli altri questo vissuto. Gliel’ho spiegato cos’è la proiezione.

A: sì, lo so cos’è, quando gli altri mi giudicano come mi giudico io!

T: Bravo! Se poi è in pubblico davanti ad altra gente deve parlare, la paura di sbagliare e di non essere perfetto, che tutti la stanno giudicando e controllando se funziona, se sbaglia o no, è totale, perché se lei sbaglia effettivamente la decretano che lei è il pirla in assoluto. Così il suo inconscio, la sua parte bambina, che è molto furba ed intelligente, e fa le cose per ottenere delle cose, facendole venire il panico cancella la possibilità che lei possa sbagliare. Il panico diventa quindi l’unico modo per zittirla ed impedirle di fatto di sbagliare e di fare una bruttissima figura. Lei così fa come vuole il suo bambino nascosto. Rinuncia a parlare ed evita così il rischio di fallire.

A: quindi mi blocca così non posso sbagliare?

T: esatto!

A: il terrore di sbagliare me lo ha appena fatto vedere Armandino.

T: bellissima seduta! Vede che finalmente non ha avuto solo il panico che l’ha sopraffatta ma ha fatto un’interpretazione, ha cioè capito che c’è una connessione tra il suo corpo che si blocca e il terrore di sbagliare di Armandino.

Purtroppo bisogna passare dalla sofferenza per guarire.

Alla fine è tutto lì, che ci si sente una nullità se si sbaglia, e bisogna imparare a sbagliare perché noi siamo esseri umani che possiamo sbagliare, e accettare che siamo imperfetti.

A: io a livello cosciente l’accetto di essere imperfetto.

T: non c’entra nulla a livello cosciente. Adesso a 47 anni ormai è adulto e tutti gli adulti bene o male accettano che sono imperfetti, è il suo inconscio che non l’accetta, bisogna farglielo capire a lui!

Sono molto contento che in questa seduta forse per la prima volta lei ha accettato di stare in diretta a parlare con me e con il suo Armandino, per cercare di capire un po' cosa le sta succedendo.

Se vuole può chiedere delle sedute supplementari, stia sereno.

A: va bene, buona sera Dottore, molto probabilmente il prossino venerdì ci vediamo dal vivo.

T: bene, sono molto contento. Lei deve paradossalmente sperare di vedere sempre più spesso il suo Armandino, lo deve chiamare, per parlarci insieme, perché solo quando è dentro a contatto con lui ci può parlare insieme e in quel momento può capire cosa le sta succedendo.

 

Come vedete quando Armandino si mostra attraverso i sintomi Armando lo vede, altrimenti non riesce assolutamente a vederlo, e quasi si dimentica che esiste, anzi senza quasi, si dimentica che esiste, e diventa egodistonico.

Armando è ancora nella fase del tutto o niente rispetto all’osservazione della sua parte bambina, sa che ci può lavorare insieme solo se gli appare davanti, in modo tale che così col tempo si può avvicinare sempre di più alla parte bambina e renderla sempre più cosciente, ma ancora non riesce a parlarci insieme, è solo riuscito a dirle, che in quel momento aveva paura. La fase che viene dopo deve essere invece la fase della elaborazione del vissuto della parte bambina, capire perché agisce in quel modo, cosa vuole trasmettere rubando il corpo alla sua parte grande, cosa pretende da lei. Bisogna insomma che ci sia un dialogo costruttivo, trasformando le emozioni di paura in parole, alle quali vanno dato un senso globale e significativo.

Ci deve essere pure un motivo del perché la parte bambina le fa venire il panico. Che messaggio le sta dando? Perché gli paralizza il corpo!?

Lo sappiamo, perché non sopporta di non essere Dio, e cioè il perfetto, e quindi non è contemplata la possibilità di sbagliare, per nulla!

Sento che Armando forse per la prima volta dopo 2 anni circa di terapia si sta iniziando ad agganciare veramente come voglio io, ma ci vuole tempo, deve attraversare tutte le fasi per guarire, non ne può saltare una, no, deve passare attraverso la fase della sofferenza, del dolore, dell’auto osservazione della sua paralisi. E cioè deve avere il coraggio di dialogare con Armandino, di prenderlo per mano per farlo diventare grande, ma per farlo deve capire che è lui che lo fa andare in panico, come sembra ogni volta capire, anche se poi se lo dimentica.

Forza Armando, so che leggerà questo articolo, spero che le darà tanta forza per continuare verso il suo cammino.

 

Lettera dal terapeuta alla parte bambina, che non è ancora cresciuta del tutto:

“Caro Armandino, tuo padre, Armando, mi ha dato il permesso di scriverti, anzi mi ha chiesto lui di scriverti una lettera, perché lui fa fatica a vederti, o ti vede solo ogni tanto.

Dai piccolo nostro, cerca di crescere anche tu e di collaborare anche tu. Ogni giorno tu credi di avere davanti i tuoi genitori, che quando eri un bambino piccolo ti hanno detto che eri un incapace, no, non è così, davanti hai delle persone diverse, che non sono loro, non fare l’errore di scambiarle per i tuoi genitori e di irrigidirti come se avessi davanti i tuoi genitori. Ti prego, fidati di noi, di me che sono il tuo psicoterapeuta e di tuo padre, che è la parte adulta di Armando, io e lui siamo in alleanza terapeutica per tirarti fuori dal tuo buco dove sei nascosto a piangere e a sentirti un incapace. Entra anche tu con noi in alleanza e non ti pentirai.

Ma quanto soffri! Noi lo sappiamo che tu soffri, come noi vediamo ogni giorno che tu rubi il cervello ed il corpo ad Armando adulto e lo paralizzi, no, devi spiegarci perché continui a farlo, no il pericolo e la paura che hai non ha più motivo di esistere, devi persistere nel tuo atteggiamento, nel tuo comportamento, e crescere, per integrarti con Armando grande. Non di piacerebbe guidare con lui sulle sue ginocchia senza toccare i comandi? Non ti rende questo più sicuro?

Dai coraggi fidati di noi, libera tuo padre da questo tuo assedio, e regalagli la libertà. Vedrai che quando succederà avrai smesso di soffrire anche tu, e sarai anche tu libero di integrarti con lui e di diventare quindi un adulto. Ma soprattutto devi imparare a fidarti di te stesso, e di quello che ti dice la tua parte adulta, che ti valorizza, che ti dice sempre che sei bravo, ci devi credere, devi avere più forza in te stesso, non devi mollare, no non devi mollare.

Tu hai assolutamente il terrore di fallire di sbagliare ogni cosa che fai. No, un giorno capirai che non c’è niente di male a sbagliare, che accettare di essere imperfetto è una cosa bellissima, quando non sarai mai più bisognoso di fare 100.000 dimostrazioni a te stesso e agli altri per vedere se sei il migliore. No, quando ti accontenterai a volte anche della mediocrità, di non dover essere sempre al TOP, no, quando ti accontenterai sì a volte anche di sbagliare e di essere un perdente, che male c’è, può capitare di fare male una cosa, ma allora non ti sentirai di crollare, no, ti sentirai bene comunque, perché no ti sentirai totalmente un fallito, come ti senti adesso se bagli.

Su coraggio, bambino mio, tieni duro, abbia fiducia in me che sono il tuo terapeuta, vedrai che ce la farai, devi avere solo un po' di pazienza.

Stai tranquillo. Ti voglio bene, anzi tanto bene. Non avere paura a mostrarti come sei, ad essere te stesso. Ti do carta bianca, continua a rubare il cervello quanto ne hai bisogno, finchè un giorno te ne stancherai, quando capirai che potrai accettare anche il grigio, non solo il bianco o il nero.

Starei qui ore a parlarti, ma adesso sei stanco, vai a riposarti.”.

 

Questa lettera va letta al paziente, in modo tale che così il messaggio passa al bambino nascosto, che lo ascolta, e che viene invogliato a crescere, finalmente.

C’è infatti una comunicazione tra la parte adulta del paziente e lo psicoterapeuta, e tra loro c’è una comunicazione fatta tra le due coscienze di loro stessi, poi c’è una forte comunicazione che va dalla pancia di uno alla pancia dell’altro, sì, il messaggio passa lì sotto, va dall’inconscio di uno all’inconscio dell’altro. Qui il paziente parla con la sua parte o le sue parti bambine ancora inconsce, mentre il terapeuta ha la fortuna di poter parlare sia inconsciamente, ma anche le parti bambine che sono state malate inconsce e sono ora guarite, e quindi può vederle in azione, finchè un giorno potrà lasciargli carta bianca, perché ormai saranno cresciute, e non potranno più rubargli il cervello alla parte adulta, che sarà libera di essere finalmente se stessa.

 

La parte bambina risponde:

“Caro terapeuta, caro papà,

scusami se è da una vita ti rubo il corpo e il cervello, caro Armando, ma non riesco a fare altrimenti, è più forte di me! Continuo a fare la stessa cosa ripetutamente da anni, non conosco altri schemi mentali, ed allora uso solo i vecchi. Che strazio perché so, perché vedo che vi faccio soffrire, ma mi sento uno scemo, è più forte di me. E mi sento anche solo, tremendamente solo, mi sento triste, tremendamente triste, mi sento ancora tanto impaurito, tremendamente impaurito, non mi fido ancora di voi, come non mi fido di nessuno, ho bisogno ancora di usare il cervello di Armando e di paralizzare il suo corpo, perché ho paura che sbagli e così non può sbagliare, ma così lo so, lo condanno alla depressione. Ma mi fido di voi, ce la farò a crescere a diventare grande, adulto, dovete avere tutti pazienza. Io adesso mi fido solo di me stesso, che dice che non valgo nulla, che sono un fallito, un handicappato, un insufficiente mentale, un cretino, uno scemo, e lo penso da una vita, da decenni. E ho paura a mostrarlo a tutti, ho paura di essere deriso, umiliato, scoperto che lo sono veramente se sbaglio. Sono ossessionato dall’errore, dallo sbagliare, non sopporto assolutamente di sbagliare, è più forte di me, sì, adesso mi sento ancora Dio l’invincibile, no sbagliare proprio no non lo posso sopportare, perché se sbaglio mi sento profondamente un incapace e un fallito, la mia autostima è nulla, è sotto alle scarpe, e ogni cosa che faccio ho bisogno di farmi dire da Armando e da tutti che sono bravo, e me lo dico io stesso ogni volta che faccio qualcosa. Ma mi accorgo che non serve a nulla, mi sento sempre e comunque uno scemo. Ho paura, tanta paura, e tanta ansia, e tanta angoscia, ma cercherò di crescere, ho deciso di collaborare con voi, anche se non è facile. Anche io voglio fidarmi del terapeuta, del Dott. Gambardella.

Adesso ho visto che ogni tanto Armando riesce a riconoscermi, a vedere in diretta che esisto e che gli rubo il cervello o il corpo, e questo è molto importante, mia fa capire che siamo sulla buona strada, rispetto alla mia guarigione. Ma ho ancora paura, tanta paura, che quando lui non mi vede si dimentichi che io esito, questa è la mia paura più grossa”.

 

La guarigione del paziente nevrotico

Guarire veramente dalla nevrosi non è facile, ma è possibile. Innanzitutto, ripeto, è possibile se hai un terapeuta che è assolutamente sano, che non è mai stato cioè nevrotico, o se è stato nevrotico, puoi guarire se è stato nevrotico, ed è guarito, ed allora sa dove portarti.

Paradossalmente io mi fido di più, preferisco di più gli psicoterapeuti che sono stati malati di nevrosi, anche tosta, quelli per intenderci che magari hanno avuto più analisti, che sono quelli che hanno sofferto di più, e che sono quindi vaccinati alla sofferenza, al dolore, ma che ora sono felici e sereni perché sono guariti.

Questi terapeuti sono più affidabili, sempre secondo me, perché il paziente quando parla di come sta, di quello che gli sta capitando, ma soprattutto della cura e della possibile guarigione della sua nevrosi, vede dall’altra parte che ha a che fare con una persona che sa di cosa sta parlando perché la patologia l’ha vissuta sulla sua pelle, e solo colui che è guarito da una forte nevrosi invalidante, sa cosa vuole dire esserlo stato e può aiutare il paziente a venirne fuori. Ha cioè già percorso la strada che deve percorrere lui.

Ci siamo lasciati nel precedente capitolo, dicevamo, quello della cura del nevrotico, che si arriva ad un certo punto del processo di guarigione, che si riesce almeno una volta ad osservare la propria parte bambina in azione e rendersi conto che esiste, proprio perché se ne ha avuto la dimostrazione in diretta, dimostrazione inconfutabile della sua presenza.

Come avete visto nell’ultima seduta con Armando e il suo Armandino.

Bene, da questo punto come si fa a guarire?

Certo bisogna continuare ad osservarsi sempre di più, senza scappare, senza fuggire, per il dolore che ti fa venire quando ti ruba il cervello ed il corpo al 100%, e cioè in tutte le situazioni che tu sai può svegliarsi e scatenarsi il tuo bambino interno.

Sì, bisogna che tu lo prendi finalmente per mano, e non che lo prendi a sberle, ma lui deve collaborare, deve continuare o meglio iniziare la collaborazione con la parte grande adulta del paziente e lo psicoterapeuta che ha la sua parte grande e i suoi bambini ex malati cresciuti ed adulti oramai, in comando di regia insieme al padre, il loro terapeuta, ma sufficientemente grandi addirittura da poter prendere in mano i comandi della navicella, stavolta senza rubarli al padre, perché lui gli ha dato il consenso di aiutare con la loro esperienza di ex malati nevrotici il paziente.

Cosa fanno allora le parti bambine cresciute? Insegnano all’Armandino, per esempio, come si deve comportare se vuole guarire.

Analizziamo la seduta dell’11 febbraio, seduta che ho fatto online con Armando.

La mia parte bambina, visto che sapete ormai tutti che sono stato nevrotico, e lo sa anche realmente il signor Armando, innanzitutto è collegata direttamente al bambino nascosto Armandino, sì, l’ha agganciato finalmente, dopo un sacco di tempo che non riusciva ad agganciarlo. Lui, che sempre bene o male dormiva ed era poco interessato alla cura, arrivava sempre in ritardo per dimostrare al terapeuta che non c’era niente da fare, oppure lui conosce va solo il modo di funzionare della malattia nevrotica e tutto il resto gli faceva paura.

A questo punto ecco il messaggio del terapeuta: dai che ce la fai, che ce la puoi fare, te lo spiego io come fare, come sono cresciute le mie parti bambine, e specialmente quella dell’autostima, che realmente si chiamava Salazar, coraggio, ce la puoi fare anche tu.

Quello che adesso devi fare è continuare a cercare di aiutare tuo padre che è Armando Grande o adulto, come preferisci, a crederci di poter guarire, e per fare questo la devi smettere di continuare a deprimerlo, basta, e a mandarlo in totale disperazione, basta! E in seduta ieri gli ho detto ad Armando: “sennò a sto Armandino gli diamo una bella sberla per dirgli di lasciarla in pace”.

Ma il problema è capire veramente perché esiste.

Armandino non sopporta l’errore di ogni tipo, abbiamo visto, e ogni volta che Armando sbaglia gli deve dire che è un fallito e che non vale nulla. Bene, questa è la base della sua patologia nevrotica.

Che si esprime quando deve parlare in pubblico quando c’è la possibilità che gli altri se sbaglia gli dicono che è un fallito.

Bene, ogni volta che lei signor Armando osserva ora Armandino in diretta, e ha fastidio quando lui sbaglia, e sente dentro di lei dentro il suo corpo la rabbia, come quando dice a sua moglie che è una disperata, dandole di fatto dell’incapace, deve contemporaneamente non solo vedere Armandino in azione squalificante e denigrante, ma ci deve parlare insieme, sì, ad ogni costo deve fare lo sforzo di parlarci insieme per spiegargli in diretta cosa gli sta succedendo, e perché agisce così. In pratica deve continuamente farsi delle auto interpretazioni.

Per esempio, quando prova dolore nel fare un errore, e come mi diceva butta violentemente il cellulare della ditta in ufficio e lo spacca, è lì che per l’ennesima volta non l’ha spaccato lei ma ha avuto la dimostrazione in diretta che l’ha spaccato Armandino, che non riusciva a rispondere a tutte le telefonate, perché era da solo in ufficio, e quindi non sopportava l’idea di sentirsi un incapace per questo, e non a caso gli è venuta fuori tantissima rabbia, nel vedersi, come sempre, handicappato e inadeguato.

Allora ogni volta che vede Armandino in azione, lo deve interpretare continuamente, perché è più presente di quanto creda, insomma sarebbe l’ideale se tornasse a fare le sue 2 sedute la settimana perché solo 4 al mese 40 all’anno sono pochissime, ma se non ne ha voglia, e capiremo sempre il perché, perché c’è sempre un motivo per ogni cosa, deve farsi una full immersion continuata per vedere sempre di più il suo Armandino, fino a smascherarlo del tutto, e a vederlo in continuazione agire, e di nuovo lei lo interpreta continuamente.

E le deve dire: “tu non sei uno stupido anche se sbagli, puoi con me sbagliare quanto vuoi, come quel nonno lasciava sbagliare suo nipote, vi ricordate?

La fase finale quindi della cura delle nevrosi sta nel prendere agganciare continuamente la propria parte bambina ed interpretarsela continuamente. Arrabbiandosi anche con lei quando, sempre meno, si arrabbia quando sbaglia, perchè sbagliare lo fa sentire una merdaccia, una nullità, un fallito, e tutto quello che abbondantemente abbiamo visto.

Ma finchè il paziente soffre a sbagliare, no, non è ancora guarito. E allora, adesso che è in grado di ascoltarti, bisogna spiegargli continuamente ed interpretarlo continuamente.

E bisogna anche a volte incavolarsi della tua parte bambina che non si fida di te, a volte bisogna fare la voce grossa, perché non si capisce per esempio perché bisogna arrabbiarsi o stare male quando si sbaglia. Da adulti deve essere una cosa normale sbagliare, si sa che solo sbagliando si impara.

Nella fase finale della guarigione non è sufficiente osservare la parte bambina in azione, lavorare cioè sui sintomi, in pratica, osservandoli e cercando tramite essi di parlare con la propria parte bambina. No, non basta!

Perché, in un’ottica di cura psicoanalitica, lavorare sul sintomo non è sufficiente, ma bisogna andare alle cause del conflitto, altrimenti non si riesce mai a guarire del tutto.

Quindi da una parte si lavora sul sintomo, cercando di vedere il bambino in azione, dall’altra si cerca di capire cosa succede in quel momento terribile dissociativo quando ti ruba il cervello e ti paralizza. Quando sei dentro la paura.

Il discorso centrale è che non si sopporta nessun errore. Bene, per guarire bisogna superarsi, uscire da questo schema decennale, e bisogna imparare ad accettare di essere delle persone imperfette, che cioè possono sbagliare. Sembra un ragionamento scontato, ma per un nevrotico, ve lo garantisco, che punta sempre alla perfezione fino ad esserne ossessionato, è all’inizio un ragionamento quasi impossibile. Sì, essere delle persone imperfette, come lo sono non la maggior parte delle persone, ma come lo siamo tutti, perché tutti ogni tanto sbagliamo, è impossibile non sbagliare, fa parte della natura dell’uomo sbagliare, il mondo stesso non è perfetto, solo Dio, se ci credete, è per antonomasia perfetto! Per imparare bisogna sbagliare, non ci sono dubbi su questa affermazione! Ma per colui che ha centrato tutta la vita sul bisogno assoluto onnipotente di non sbagliare, e ha fondato il suo carattere e la sua personalità su questo, capite che non è facile ragionare in questo modo e cambiare.

Quando si riesce ad accettare in profondità l’imperfezione, ecco che non si ha più paura di sbagliare in pubblico, quando si era convinti che tutti ti osservassero ogni minimo errore per darti la sentenza finale che eri un fallito!

Quando ci si leva dall’ossessione che se si sbaglia si viene etichettati e stigmatizzati come perdenti ed irrecuperabili, quando ci si leva dall’ossessione di dover avere sempre una marcia in più, si capisce che per fare qualsiasi lavoro non occorre essere sempre vincenti in assoluto, e così entra nella nostra vita il concetto di imperfezione, fondamentale per la cura della nevrosi.

Se si pensa bene il nevrotico è sempre tanto ossessivo e perfezionista, deve essere perfetto e se non va tutto perfettamente come si vuole va in crisi perché un minimo errore, come abbondantemente abbiamo visto, lo paralizza. Bene, allora bisogna ripetersi, che male c’è se io sbaglio, se io sono imperfetto, se io non sono Dio, se io non sono il migliore, se io non sono il più grande, se accetto i miei limiti? È vero che perdo l’amore e la stima delle persone se sono imperfetto?!

E allora, quando si prende coscienza che non è vero che tutto il mondo è lì che soffre e ti considera una nullità anche se fai un minimo errore, allora ti si apre un nuovo mondo davanti, il mondo del poter essere comunque sufficientemente bravo anche se non hai una marcia in più, ma sei in sintonia con le tue emozioni, in equilibrio con esse, quando cioè le tue parti bambine sono cresciute, e tu sei diventato un adulto, perché hai risolto tutti i tuoi nuclei psicopatologici, uno per uno, con tanta pazienza ed umiltà, passettino per passettino, tre passi avanti e due indietro, e via così, cadendo e rialzandoti, accettando l’imperfezione della caduta. E riesci anche a vedere il mondo che hai davanti non sempre nell’ottica che sia giusto o sbagliato, che va bene o che non va bene, perché riuscire a sintonizzarsi nell’ottica dell’imperfezione comporta l’accettazione a volte anche della mediocrità, il non dover sempre puntare tutto al cielo, dove c’è Dio, il perfetto per eccellenza.

Sbagliando si impara è quindi la chiave di svolta del processo di guarigione.

Abbiamo detto che la malattia nevrotica consiste nel non accettare di non essere perfetti in assoluto sempre. Quindi accetto di poter essere un perdente a volte, quando sbaglio, e comunque mi rimane anche se sbaglio una base sicura di sicurezza di autostima propria sufficiente per farmi sentire una persona solida dal punto di vista narcisistico, una persona insomma che vale.

Mentre il nevrotico è scisso, se sbaglia non vale nulla, se fa giusto è Dio, non c’è tra il nero ed il bianco il grigio, il mediocre, l’imperfetto, l’errore, lo sbaglio. No, sono concetti impossibili da accettare. Perché ogni minimo errore porta il nevrotico al suo dramma di essere nullo.

Vi garantisco che vivere la vita senza l’ossessione di non sbagliare mai, di non poter sbagliare mai, è una liberazione totale, da una fatica enorme. Accettare anche solo la parola mediocre, l’essere cioè sul 6 ogni tanto, o addirittura quando si sbaglia raggiungere il 5 o il 4, l’insufficienza, no non è contemplato, quando si punta sempre l’unico voto possibile che è il 10, ed invece accettarlo apre una serie di orizzonti indescrivibili di pace e di serenità, e di sanità mentale, di assenza del conflitto, di poter osservare l’altro non nell’ottica di osservare sempre se va bene o se non va bene, e quindi se è perfetto o non lo è.

E così, se si riesce a digerire prima o poi l’imperfezione e la si fa propria, ad un certo punto il tuo bambino nascosto da bambino nascosto che era diventa appunto non più nascosto e parla con te tutto il giorno, è così affiorato alla coscienza e ha a che fare con la tua parte adulta, e tu ti accorgi perfettamente, quando è lui che agisce e quando sei tu, riesci a vederlo sempre in azione, in diretta, e ti accorgi che lo è quasi sempre, anche se nella fase finale la smette di farsi dire e di dire a se stesso che è bravo. Sì, in questa fase diciamo dell’imperfezione e della sua accettazione dell’imperfezione, il dialogo con il tuo bambino nascosto è fondamentale, lui che ti chiede sempre se è bravo, lui che ti domanda sempre, in pratica, ho fatto giusto? Perché non accetta di sbagliare, tu devi rispondergli che non importa se sbaglia, anzi che bisogna amare l’errore, lo sbaglio, e lo inviti a sbagliare, in modo tale che possa scendere dal piedistallo dell’onnipotenza e dell’arrivismo, e quindi della perfezione totale, assolutamente mortifera.

Avanti così a piccoli passi, fino a quando si cresce, fino a quando la tua parte bambina è cresciuta del tutto, e allora scompare la paura dal tuo corpo, scompare l’ansia, scompaiono quasi per miracolo i sintomi, l’inibizione intellettiva, e trionfa la libertà di pensiero. Ma ci vuole tempo nel processo finale. Lo vedi di colpo solo quando la prima volta, dopo generalmente una buona interpretazione, ed il successivo insight, vedi la tua parte bambina in azione e capisci che non sei tu. Poi non sei guarito subito, attenzione, ci vuole tempo di elaborare la scoperta, il tuo bambino nascosto ancora per tanto tempo ha paura e rabbia di sbagliare, anche se lo hai smascherato da tempo.

Ma ad un certo punto finalmente ce la fai, e la nevrosi rimane sempre più un lontano ricordo.

Un paziente che è arrivato alla fine del suo viaggio, del suo percorso, alla sua guarigione, un giorno mi disse: “grazie Dottore, mi sembra impossibile esserci riuscito, abbiamo scalato l’Everest insieme e ci siamo riusciti senza cadere nel dirupo e morire”.

È difficile spiegare veramente quello che succederà alla fine della terapia, quando finalmente arriva la fase della totale libertà di pensiero e si libera il tuo corpo dall’ansia. E tu finalmente vedi che funzioni, alla grande, ma che puoi anche non funzionare e sbagliare e fare un errore od essere imperfetto, e che non succede assolutamente nulla, e ti sembra quasi quasi un miracolo, perché non ci avevi veramente creduto che prima o poi potesse succedere. Non solo si diventa più lucidi, ma si impara ad utilizzare la propria memoria, sia quella a breve che a lungo termine. Si ha la sensazione di non essere più in uno stato di confusione, che i tuoi pensieri sono più lineari, più ordinati, hai la sensazione che ti nasca una nuova memoria, di dimenticarti meno le cose, quando prima eri spesso in preda ad assenze e a dissociazioni nell’inibizione intellettiva. Così sei più sicuro di te stesso, riesci ad essere più concentrato, più attivo, più determinato, senti anche a livello somatico una più totale padronanza del tuo corpo, hai la sensazione di essere più intero, insomma è totalmente un nuovo vivere!

Perché il nevrotico è difficile da curare? Perché non è mai pienamente conscio della sua malattia, e questo non essere coscienti fa parte di essa. In fondo non ci crede veramente di essere malato. Infatti solo quando il paziente veramente guarisce ed ha finito la sua analisi, o la sua psicoterapia, e quindi ha risolto tutti i suoi nuclei psicopatologici, solo allora paradossalmente si può voltare indietro e può capire veramente cosa vuole dire essere stati nevrotici. E può comprendere così a pieno la sua malattia, e quanto era malato.

Anche per questo che scrivo questo articolo, per mostrare al paziente nevrotico cosa lo aspetta, perché adesso non lo può sapere, se è ancora dentro la malattia, che alla fine del suo percorso lo aspetta la gioia, lo può solo immaginare.

Ogni terapia è un discorso a sé, è un viaggio incredibile dentro sé stessi, per certi versi affascinante, liberatorio ma può essere anche estremamente doloroso, e quindi le terapie non possono essere tutte uguali. Io ho cercato di oggettivizzare la malattia, e cioè quando parlo dei bambini nascosti parlo comunque principalmente solo dei due più importanti, quello abbandonico e quello dell’autostima, e il fatto che ognuno li ha ancora se è un paziente, dicevo ieri ad un paziente alla sua terza seduta, significa che è malato, e cioè che c’è un bambino nascosto dentro di lui che deve fare crescere se vuole stare bene.

La psicoterapia psicoanalitica quindi è soggettiva per ognuno non tanto per le linee guida ma per i contenuti, anche se le linee guida bene o male possono essere le stesse, perché i bambini nascosti principalmente sono solo due, quello abbandonico e quello legato all’autostima, e per finire l’analisi devono crescere tutti e due.

Continuiamo il nostro percorso, dico ad ogni inizio di seduta, il nostro viaggio alla ricerca del vero Armando, nel caso che è la seduta del Sig. Armando.

Liberare le potenzialità del proprio cervello in maniera costante e definitiva è comunque una sensazione esilarante, unica. Bisogna provarlo in diretta per capire quello che succede, quando sì di colpo, se hai avuto sempre problemi per esempio di linguaggio e di inibizione intellettiva, o di balbuzie o di blocchi mentali, ti rendi conto che riesci a parlare velocemente senza intoppi o senza continuare stare ossessivamente a vederti e monitorarti come funzioni, e ti senti proprio una libertà totale di poter pensare e ragionare, e non ti sembra vero, senti per la prima volta magari dopo decenni che il tuo cervello inizia veramente a funzionare come avrebbe potuto funzionare da sempre se tu non avessi avuto un conflitto così forte, se non avessi avuto magari quei genitori che ti hanno fatto del male. Senti insomma di essere finalmente libero!

E la sensazione di funzionamento impressiona, può far paura anch’essa, talmente è bella e potente, e c’è il rischio di andare in iper attivazione, almeno all’inizio, anche se poi ci si calma, si ha il tempo di riflettere e di osservarsi, e si inizia proprio, come un bambino piccolo che cresce in sintonia con il suo corpo per la prima volta, a controllare come funziona il tuo funzionamento mentale.

Quando ti accorgi che tu sei diventato come le persone sane, ti viene quasi un brivido di paura, ma ormai sei sulla punta dell’Everest, al valico finale, e hai un piede dall’altra parte, e vedi cosa c’è finalmente dall’altra parte, e intravvedi da lontano la pianura, oltre la quale il mare da burrascoso e in tempesta e pieno di squali che era, è diventato calmo e piatto, pieno di balene e di delfini che non fanno male, e di pesci variopinti, e non vedi l’ora di buttarti dentro, e ti butti dentro a fare un bagno, felice, senza paura. Dal buio dell’inverno è arrivata la primavera, arrivano gli uccellini che cantano e tu sei uno di loro, sei libero come uno di loro, finalmente, non l’avresti mai creduto che fosse potuto arrivare quel momento.

Sì, perché scompare la paura, che di solito è un sentimento che appartiene più che altro ai bambini.

Avere la sensazione di essere felici dopo anni di sofferenza non è facile, va gestita, perché ad un certo punto si diventa adulti di colpo, sì dopo anni di lavoro su sé stessi, magari, a togliere la polvere che inesorabilmente si riposava.

Così ad un certo punto avviene la magia, e mi vengono i brividi a pensare al ricordo di quel momento. Quando si diventa adulti di colpo, quasi di colpo, diciamo, e diventare adulto di colpo non è facile, proprio perché è sorprendente, come è sorprendente ancora il ricordo vivo di quando si stava male, e così se capita ad uno psicoterapeuta di scatta la voglia di aiutare il più possibile chi sta male e ha passato quello che hai passato tu.

Vi garantisco che la sensazione di libertà è talmente bella che il ricordo ancora mi commuove e mi fa una gioia indescrivibile, e che quando la raggiungi per la prima volta è un flash come pochi ne hai raggiunti nella vita, perché tu inizi a vivere veramente e pienamente solo da quel momento in poi, ti sembra impossibile che magari hai vissuto per decenni, per una vita e non eri tu, ma è così, bisogna provarlo per crederlo, sono sensazioni di pura gioia e felicità che non si possono veramente descrivere, la felicità di essere finalmente te stesso, e avere fatto pace non solo con la tua parte bambina che è cresciuta, ma anche con il passato, con i tuoi genitori….

Sì bello, proprio bello!

Come l’enorme sensazione di pace che mano a mano sopraggiunge, per poi arrivare ad essere stabile, di poter fare ogni cosa senza l’assillo e l’angoscia e l’ansia di farla sbagliata, vuole dire essere nella libertà, in un mondo fermo, stabile, strutturato, fino a poco tempo prima sconosciuto, un mondo dove l’errore è finalmente possibile, accettabile, non impossibile come nel mondo precedente. Un mondo che si credeva irraggiungibile, che come per magia è apparso, addirittura superiore alle aspettative.

Fare una cosa senza l’assillo di sbagliarla o di farla male è un successo, ti sembra quasi impossibile, quando tutta la tua vita hai sempre fatto tutto col metro di giudizio che se era sbagliato ti veniva una paura dentro enorme destabilizzante, e il tuo corpo tremava di ansia angoscia e paura!

Una persona poi si chiede: ma come ho fatto a vivere tutta la mia vita così, in questa trappola?! E quante cose si sono perse, soprattutto la memoria degli eventi, che assolutamente non si ricordano, e si vorrebbe tornare indietro per ricominciare a vivere d’accapo, ma non si può fare. Ma si è talmente felici adesso che non importa, non ci si pensa più.

Quando ti liberi dal vedere l’errore possibile tuo e degli altri come quella cosa che è al centro della tua vita, specialmente nel rapporto con i tuoi figli, perché poi ci si identifica con le persone più care di sangue, ti accorgi che tutta la tua vita era centrata sull’essere perfetto, e ti chiedi perché, come mai, che senso ha!

Le risposte le abbiamo date, le sappiamo, la genesi, perché si è formata la nevrosi, il tuo carattere nevrotico, ma ti chiedi come sia possibile addirittura bruciarti la memoria ed avere tabula rasa di molti episodi della tua vita, che non ricordi, e affiorano alla mente in parte i ricordi, ma soprattutto le emozioni degli anni precedenti, quell’emozione di terrore in adolescenza quando la certezza della tua limitatezza ti faceva pensare che la vita era uno schifo, e non era desiderabile viverla, e ti assaliva un’angoscia indescrivibile, potente, di impotenza, verso gli eventi che ti opprimevano.

Inevitabilmente, quando una patologia così invalidante guarisce, il cambiamento si ripercuote anche su tutta la tua personalità, sul tuo carattere, e si diventa più decisi, in poco tempo, si tende a non chiedere più agli altri sempre tutto quello che bisogna fare come farlo, insomma ci si sente di camminare non più sulle sabbie mobile ma su un bel cemento armato stabile, sopra un bel tappeto rosso persiano.

Inoltre il cambiamento del carattere si vede anche nel tuo essere più allegro, più spiritoso, più gioioso e più felice di vivere, è come se ti avessero liberato da una rete che ti attanagliava da una vita, e tu fossi un cardellino catturato che riprendi a volare nel cielo libero. Dopo anni di schiavitù.

Ho un probabile futuro giovane paziente, da poco, di 17 anni, che ha fatto per ora con me solo una seduta.

Ha mollato la scuola e sta più di 15 ore al giorno a giocare ai videogiochi, e dai 14 ai 16 anni non faceva altro che farsi canne. Allora ha voluto lui andare dallo psicologo, e la prima cosa che mi ha detto, oltre a dargli del tu e a dirgli di darmelo anche a me del tu se voleva, è stata: “Andrea, non ce la faccio più di fare una vita del genere, mi rendo conto che sto fuggendo, no, così non è vita”. Mostrandomi un assoluto bisogno di aiuto, che non posso assolutamente disattendere.

Sta emergendo il suo dolore profondo di sentirsi una nullità, sua madre che pretende sempre da lui ogni cosa e non si accontenta di nulla, sua nonna che l’ha chiamato verme, mentre questi ragazzini al posto di fuggire e di trovare un angolo di paradiso lontano dalla loro profonda sofferenza con le droghe o i videogiochi, andrebbero presi per mano dai genitori, ascoltati, capiti, perché vivono tanto nella tristezza e nello sconforto, nell’inquietudine e nello smarrimento. Ma spesso i genitori non possono farlo, sennò lo farebbero. Perché il loro psichismo non glielo permette di fare.

Io non ho paura di fare un po' di auto rivelazione, self disclosure, a dire ai pazienti fin dalle prime sedute che faccio questo lavoro, che amo e che mi piace moltissimo, perché sono stato male anche io nella vita, e quindi per questo non solo per formazione ho dovuto fare una lunga psicoanalisi, più di una fino ad una psicoterapia finale risolutiva, e adesso che ne sono guarito e che sto bene posso aiutare chi sta male come sono stato io, sì, non ho paura a dire senza problemi che la mia è una missione per tirarlo fuori dal tunnel nero e portarlo, come dice il mio sito, alla luce. Io non ho paura a dire che sono stato malato anch’io, secondo me è una forza, non una debolezza, ne sono convinto, ma posso dirlo solo perché ho la forza di esserne uscito, e quindi di essere guarito.

Sì, essere guariti veramente guariti del tutto! È una sensazione bellissima di liberazione e di padronanza di sé stessi, di solidità del proprio Io, che certamente non si è mai provata per tutta la vita, sì si diventa e ci si sente un’altra persona.

Ho detto al signor Armando, poco tempo fa, una seduta che mi ha chiesto cosa voleva dire guarire: “Perché lei si sentirà veramente sé stesso, finalmente dopo tantissimi anni di schiavitù, dove è stato schiavo di Armandino, perché non è l’Armando grande che ha paura, ma è l’Armandino che ha paura, che è impaurito, spaventato, terrorizzato dalla paura di sbagliare e di venire di conseguenza scoperto, scoperto da tutti che non valeva niente, di fare una figura umiliante, dove tutti ti disprezzano, ti denigrano, e non credono più in te, tutti si convincono che sei e sei sempre stato una assoluta nullità. Quindi il problema è narcisistico, legato ad un suo enorme buco di autostima, lei in tutta la vita ha sempre avuto il bisogno che le dicessero che era bravo, e ne ha ancora bisogno adesso, perché in realtà non ha mai creduto in sé stesso, si è sempre sentito una nullità, anche perché di fatto nei momenti prestazionali più importanti della sua vita è andato in tilt, per colpa del suo bambino interno. Guardi per esempio il semplice fatto che lei non si immagina neanche lontanamente che può iniziare un discorso in pubblico dicendo: “scusate, eccomi qui dopo 10 anni di latitanza, ho bisogno del vostro aiuto perché ho paura di crollare e di bloccarmi, ecc. ecc.”. No, non lo farebbe mai un discorso del genere, no non se lo può permettere di mostrarsi incapace così e dichiararsi davanti a tutti una nullità, perché ha paura che poi gli altri ci credono, ed è questo il suo segreto più grande, la paura di essere scoperto in fallo, e per giunta in flagranza, la paura in fondo di essere un perdente”.

Quindi il paziente che ci riesce a guarire, che finalmente ha padronanza di sé stesso, della sua parte bambina, e sa chi è, e non la vede più in diretta che agisce dentro di lui, perché è guarita, è cresciuta, e ne ha adesso il ricordo, ma se è successo da poco, da poco tempo, e quindi il ricordo è ancora vicino a lui, di quando era un bambino terrorizzato, quando aveva un’estrema paura e vergogna di essere scoperto che falliva, che sbagliava, allora l’impressione di essere entrato in un mondo magico è ancora più forte e sorprendente.

Questa magia è sentire appunto che l’emozione della paura e del terrore non era sua ma della parte grande ma della sua parte piccola, del suo bambino interno nascosto.

Sì questo è un punto fondamentale, è un problema di separarsi dall’altro, di separazione dalla propria parte bambina, che nel momento che tu ti separi da lei, scompare, e finisce di esistere. E così è un lontano ricordo, di quando le proprie emozioni di paura in realtà non erano nostre ma appartenevano a lei. Certo che se ancora per esempio ci si accorge di soffrire quando si sbaglia, magari ancora a digitare una parola al computer, vuole dire che ancora questo processo non è arrivato del tutto e non sei ancora guarito, ed allora calma, goditi il momento ed abbi pazienza, non deprimerti, fidati di me, impara a soffrire nel sentire ancora la tua sofferenza quando sbagli e a vederla sempre più egodistonica, e cioè lontano da tuo io.

Quando ci si accorge di questa presenza, la maggior parte del gioco è fatto! E quando ci si accorge che l’emozione non è la nostra, questo è un momento fondamentale, perché si accoglie la sua emozione. Ma bisogna ripetere tante volte la situazione in modo da convincere il bambino interno che lui vale che non è un fallito, convinzione che non ha mai avuto in tutta la vita.

E così il ricordo di chi era il tuo bambino nascosto interno, la tua parte bambina nascosta segreta dentro di te, di quando era un bambino nascosto insicuro con una bassissima autostima quasi zero, che non si fidava di nessuno perché pensava che tutti lo osservano e gli dicessero che non valeva niente, il ricordo quindi delle sue manie di persecuzione, anche se rimaneva ancora sempre ancorato sufficientemente alla realtà, il ricordo di tutto ciò ti fa tanta tenerezza, e alla fine quasi quasi non si vuole crescere, perché non si vuole lasciare questo bambino da solo, non si vuole perderlo. Paradossalmente l’idea di perderlo ti ha fatto stare tanto male, ma non è colpa sua, lui è semplicemente una vittima del sistema relazionale dove hai vissuto. Come quando i bambini crescono, e si ha nostalgia di quando erano stati piccoli nell’infanzia.

In un’analisi fatta e finita bene, i ricordi di quando la tua parte bambina ti intrappolava, di quando tu eri rimasto bloccato nell’infanzia, fin dall’infanzia, e per tutta l’adolescenza, e il ricordo di tuo padre che non ti ha mai detto che eri bravo e non ti ha mai stimato e valorizzato, anzi ha solo e sempre sottolineato i suoi difetti, il ricordo di quando ti diceva che non valevi niente, lo senti sempre più come un ricordo che non ti fa più male perché hai elaborato il conflitto che ci sta dietro e liberato la tua parte bambina, e così le parole di tuo padre, che erano mazzate, non lo sono più, quando una volta le parole erano mazzate peggio che prendere botte reali fisiche.

Quando il paziente ormai guarito si accorge che non ha più bisogno di farsi dire che è bravo, e di dirlo agli altri, adulandoli, e quando non si aspetta più che suo padre gli dica che è bravo, e che non solo lui ma tutti glielo dicano sempre, come se lo chiedeva sempre lui, gli sembra di sognare, non ci crede, non gli sembra vero che sia potuto succedere tutto ciò.

Lui così è cambiato, ma quasi sempre i suoi genitori sono rimasti uguali, no, non sono cambiati con i loro meccanismi interni, no, non cambiano mai, rimangono sempre uguali per tutta la vita, difficile che vadano anche loro in psicoterapia, e che ti chiedano scusa di quanto ti hanno fatto del male, perché non ne sono consapevoli, come non ne sono stati consapevoli, essendo anche loro adesso al presente all’interno del conflitto, avendo anche loro avuto genitori così, la cui relazione con loro non hanno ancora elaborato.

Mi viene in mente come un pesce non conosca la realtà della vita esterna all’acqua, un pesce nell’oceano non la saprà mai, lui conosce solo il suo mondo e basta, i suoi fondali, tutti gli altri mondi sono sconosciuti, inesistenti, non si può neanche immaginare che esistono. È molto difficile che tuo padre o tua madre ti verranno a chiedere scusa e cambieranno il loro atteggiamento verso di te, e allora bisogna lavorare in analisi o in psicoterapia su sé stessi, perché si ha un compito importante, interrompere la catena generazionale della nevrosi che attanaglia la famiglia.

Quando non si sta più male quando loro ti attaccano, vuole dire che si è finita l’analisi.

Per questo è importante parlare alla parte bambina e a quella adulta del paziente, per spiegargli cosa lo aspetta, e fargli venire la voglia di diventare grande.

Quindi io sono solito spiegare al paziente la situazione, attraverso una sorta di psico-educazione, a volte, per mostrare al paziente a che punto si è arrivati della psicoterapia.

Sì, dico sempre a tutti i miei pazienti, che loro per guarire devono imparare a conoscere la loro parte bambina.

E così dico spesso al sig. Armando: “Armandino ancora non tollera l’errore, deve essere sempre perfetto, non può permettersi di sbagliare mai, e lo vede in terapia, lei non si sopporta perché non guarisce subito, non si sopporta perché vede che ci sono dei limiti alla sua guarigione, ha sempre detto io massimo un anno sto in terapia e poi mollo tutto se non guarisco, come dire che non accetta di avere dei limiti, e che è malato, lei forse non ha mai accettato di essere malato, sennò avrebbe continuato a fare 2 sedute la settimana, senza fuggire, senza pensare ogni volta dopo la sua unica seduta settimanale che sarebbe stata l’ultima! Sì, lei fugge continuamente da questo problema perché la fa stare troppo male rendersi conto che è malato, e cioè che ha una deficienza, che ha un limite, una persona che deve essere sempre perfetto non può accettarsi che ha dei limiti, che può sbagliare, che deve fare un percorso per guarire!”.

Quello che deve fare il paziente è fare il paziente, e cioè accettare di essere malato, accettare che deve curarsi, e per farlo deve vedere la sua parte bambina piccola e parlarci insieme, vederlo distante da sé stesso, dalla sua parte adulta.

Il paziente deve impegnarsi a fare ciò, deve impegnarsi se vuole guarire, e deve cercare di non fuggire alla sua paura ma buttarsi dentro di essa, si deve impegnare anche se è doloroso prendere per mano la sua parte bambina, e deve essere fiducioso di poter un giorno guarire. Per fare tutto ciò si deve fidare dell’analista, dello psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico.

L’osservazione della propria parte bambina che agisce in diretta è un processo lungo, porta alla guarigione, ma bisogna avere pazienza. Può succedere che ci si crede già guariti perché si sperimenta una assenza di sintomi per un po' di tempo, ma poi per esempio ti viene a trovare un parente e di nuovo di colpo sopraggiungono i sintomi, e ti accorgi che non eri ancora guarito del tutto, che hai fatto 5 passi indietro.

Lo devi prevedere, deve essere normale che possa succedere, non bisogna cadere nello sconforto e deprimersi quando succede, ma bisogna avere la forza di continuare fino alla guarigione totale, bisogna avere pazienza, perseverare nell’auto osservazione, tenere duro, quando si ricade bisogna avere il coraggio di parlare con il tuo bambino interno, e vedere cosa dice, cosa ti fa dire, e capire sempre di più che non sei tu che parli ma lui.

La difficoltà in questi momenti è trasformare l’emozione da corporea all’essere mentalizzata, cioè bisogna prendere per mano le proprie emozioni più profonde, quelle della tua parte bambina, e farle tue, profondamente tue, darle un significato, significarle. Difficile spiegare quello che voglio dire, bisogna sempre monitorarsi, ma sempre di più ti abitui quando non sei più tu e la tua parte bambina ti ruba il corpo e il cervello.

Finché arriverà il giorno che sempre più starai meglio, e succederà sempre meno che la nevrosi ti paralizza. Ma ti senti sufficientemente libero, e allora sarà il momento che anche il signor Armando potrà provare con forza a parlare in pubblico, e sarà allora molto più facile per lui, fino al giorno che sarà lo stesso Armando a decidere di parlare in pubblico, perché avrà elaborato tutta la sua malattia e si sentirà quindi forte e sicuro quindi di sé stesso, non si sentirà più un incapace.

A quel punto avrà riempito il suo buco narcisistico e avrà una stabile autostima, verificata anche sul campo, ma a volte ci vuole tempo.

In questa fase non bisogna avere fretta, come in tutte le altre, ma bisogna sapere aspettare ed avere fiducia nella cura, fiducia delle parole del tuo terapeuta, che ti ha detto che ti ha promesso che un giorno guarirai. Questa fase è molto dolorosa, perché vedersi in diretta sul punto di guarire, ma non riuscire mai a guarire del tutto, ti fa venire anche tanta rabbia e sconforto, perché si crede sempre che sia la conferma che non potrai mai guarire.

Finché un giorno finalmente, a piccoli passi, si arriva veramente alla guarigione totale, e quando succede, il paziente assolutamente se ne accorge, perché si mantiene sempre uguale, ed è costantemente sé stesso, senza avere momenti dissociativi. Gli sembra di essere anche addirittura più intelligente, perché vede che non ha più ansia, e capisce così perché ce l’aveva, e solo allora che ne è fuori capisce veramente cosa vuole dire avere ansia, anche solo un minimo. Sa fronteggiare le discussioni che una volta lo paralizzavano, senza paura di essere abbandonato se la pensa in maniera diversa dal suo interlocutore, a cui vuole magari bene, porta avanti la sua idea e sa anche dire di no, un no che solo adesso sa mantenere e sostenere. Insomma è una maniera diversa di ragionare, di affrontare le discussioni, senza subire le assenze, le dissociazioni, senza andare in tilt, una maniera diversa di vivere.

Fuori dal tunnel improvvisamente impazza la voglia di vivere

Si riesce quindi ad essere separati dall’altro, senza bisogno sempre di assecondarlo.

È il modo di vivere da adulti, perché si è diventati adulti, ed è un’altra cosa, un altro modo di vivere. Il nostro lavoro da psicoterapeuti è portare il paziente alla fine del suo percorso del suo viaggio, dove trova il suo essere adulto, l’adultità.

A volte può succedere che si modifica anche il proprio carattere. Per esempio si inizia ad ascoltare musica diversa, meno lenta e depressiva, più allegra e ritmata, cresce sempre di più la gioia di vivere, che comprende anche la gioia di stare con le altre persone, di socializzare, si ha voglia di stare ore vis a vis con gli amici, anche di stare con loro al telefono, c’è spazio mentale finalmente per gli altri e non solo per sé stessi. Insomma un altro vivere, assolutamente un altro vivere.

E così il bambino nascosto legato all’autostima cresciuto si allinea all’età della parte adulta del paziente, e tutti e due riprendono il cammino della vita, felici e sereni, insieme.

Finché non diventi adulto non puoi sapere cosa vuole dire non esserlo stato, non finirò mai di ripeterlo, perché è un concetto importante, troppo importante, decisivo secondo me!

C’è il rispetto verso sé stessi, ma soprattutto verso gli altri. E si diventa anche spiritosi, si ride di più, si è più sereni, si acquisisce un senso di ordine mentale, aumenta la concentrazione e l’attenzione, si ha la sensazione di avere meno confusione, e di non essere più in un mare in burrasca, ma di essere in un mare piatto e calmo.

E si è felici di vivere, finalmente felici di vivere.

È così’ una liberazione anche non dover fare tutto principalmente ossessionati dal bisogno di farsi dire che si è bravi, per dimostrare il proprio valore, aspettandosi così sempre l’approvazione degli altri.

Un’altra bellissima sensazione è quella di avere raggiunto tutte le persone che sono adulte a cui tu vuoi bene, non ci si sente più indietro, ci si sente al loro stesso livello.

Quando le tue parti bambine sono cresciute, i tuoi bambini interni sono adulti e ci si sente veramente padroni in casa propria, senza essere succubi di loro, senza che le tue parti bambine ti possano più rubare né il corpo né la mente. No, perché non è più possibile

Aumenta anche la velocità del pensiero e a secondo delle necessità anche del linguaggio. E così aumenta anche la lucidità, tutto diventa più stabile, più fermo, si ha così più padronanza del proprio inconscio, e questa caratteristica si sente, eccome. Si incomincia cioè ad imparare ad usare il proprio cervello totalmente, ad avere la padronanza di lui.

C’è così un enorme spazio mentale a disposizione, per pensare, ragionare, fare collegamenti. Ma non è una sorta di maniacalità che nasconde un vissuto depressivo, no, qui si tratta di essere veramente felici, allegri, si ride, non si è più aggressivi con gli altri e competitivi con gli altri. Si tratta di essere finalmente sani.

Inoltre, non da ultimo e non meno importante, se si hanno dei pazienti, perché si è psicoterapeuti o si è in formazione per diventare psicoterapeuti, ci si accorge quando si guarisce che non si proiettano più i propri vissuti sul paziente, e il fatto che ti sia passata l’ansia nevrotica e l’inibizione intellettiva ti aiuta a lavorare assolutamente meglio, senti insomma che alla fine dell’analisi si lavora molto meglio e non c’è confronto a come si lavorava prima, il terapeuta diventa veramente adulto e non ha così, come il paziente guarito, più i suoi bambini interni inconsci che lo comandano.

E si riesce a fare pace col passato, certo non si dimentica il passato, ma non ti fa più male, anche se a volte è stato traumatico.

E in un certo senso, bisogna dimenticarci il passato, anche se ci ha fatto male, e vivere nel presente proiettati verso il futuro, pensare a quanto si è stati male nel passato non serve a niente.

Mi piace a questo punto ricordarmi il proverbio napoletano di Peppino Fiorelli:

chi ha avuto avuto avuto … chi ha dato dato dato … scurdàmmoce’ o ppassato, simme’ e Napule, paisà!

In realtà, come un albero, noi abbiamo il nostro passato radicato dentro di noi, ogni cerchio del nostro albero rappresenta un evento e un’emozione della nostra vita, che ci ha aiutato a crescere.

Non si può dimenticare il nostro passato, ce lo porteremo sempre dietro, nel cuore, per tutta la vita, anche se è stato tremendamente doloroso, ma si impara a non portarci dietro ogni volta che si ripete una situazione che lo evoca, quell’emozione di paura di rabbia e di dolore e di terrore che ti faceva sobbalzare il cuore, e così ci si purifica.

È bellissimo il momento quando il paziente vede il suo bambino nascosto distante da sé, è come se lui si elevasse in alto in cielo e vedesse dall’alto la situazione, e la vede chiara, chiarissima, e vede il suo bambino piccolo, che non è lui, lo vede diverso, un’altra persona, un bambino che oramai non è più un bambino, ma che è cresciuto.

 

Finisce qui questo lungo articolo.

Auguro a tutti coloro che hanno una loro parte bambina intrappolata di farla crescere, a superarsi, e quindi in ultima analisi di guarire, perché altrimenti si rimane inevitabilmente malati. Si sta male se stessi e si fa stare male le persone che ci vogliono bene.

La differenza rispetto a quello che ho sostenuto nel precedente articolo, dove non parlavo di malattia ma solo di un paziente che non riesce a crescere e che deve crescere la sua parte bambina, è che in questo articolo più tecnico parlo di malattia e di psicoterapia, perché credo che sia più incisivo parlare di malattia quando una persona sta così male, e dire solo che la sua parte bambina deve crescere, sia forse un po' troppo riduttivo.

 

BIBLIOGRAFIA

 

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