Cos’è l’empatia?
La parola empatia (dal termine greco “empatéia”, a sua volta composto da “en”, “dentro”, e “pathos”, “sofferenza” o “sentimento“) significa letteralmente “sentire dentro” e si riferisce alla capacità di immedesimarsi in un’altra persona, mettersi nei panni dell’altro, percepire e comprendere lo stato emotivo altrui.
Una persona empatica si cala nella realtà dell’altro per poter comprendere i suoi punti di vista senza giudicare e provare i suoi stessi sentimenti. Allo stesso tempo, mantiene una separazione dall’altro e riesce a distinguere i propri punti di vista e sentimenti.
Storia dell’empatia
Nell’antica Grecia, il termine “empatéia” veniva utilizzato per indicare quel legame emozionale di partecipazione che legava il poeta-cantautore, detto aedo, con gli spettatori che assistevano alla sua performance. Empatizzare con l’aedo significava sentirsi dentro di lui, sperimentare l’esperienza che stava narrando.
In filosofia, il concetto di empatia è stato introdotto nell’Ottocento da Vischer per definire la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura. Diversi filosofi nel corso della storia approfondirono i loro concetti di empatia, come elemento fondamentale di diverse teorie fenomenologiche dell’intersoggettività.
In psicologia, l’empatia fu introdotta da Lipps nel Novecento, per spiegare la partecipazione profonda all’esperienza di un altro essere, o imitazione interiore. Questo fenomeno avviene quando osserviamo un movimento in un'altra persona e sorge in noi uno stato d’animo, non proprio, ma proiettato sull’altro e legato al suo movimento.
Da lì, l’empatia è divenuta oggetto di studio da parte di numerosi autori in psicologia, tra cui Titchener e Sigmund Freud.
Recentemente, lo psicologo Daniel Goleman ha descritto l'empatia come una delle cinque componenti base dell’intelligenza emotiva.
Cosa dice la scienza?
Secondo la teoria dei neuroni specchio formulata nel 2006 da un gruppo di ricercatori italiani, la risposta empatica sarebbe connessa a dei particolari neuroni che si trovano nella corteccia premotoria e parietale posteriore.
Definiti neuroni specchio, queste cellule del sistema nervoso si caratterizzano per attivarsi sia quando compiamo una determinata azione in prima persona, sia quando osserviamo qualcun altro compierla. Come in uno specchio, comprendiamo l’azione osservata rappresentandola dentro di noi con un processo di “simulazione incarnata”, ma rimanendo consapevoli della differenza tra noi e l’altro.
Questi neuroni sono responsabili di molti comportamenti che si apprendono per imitazione, come il linguaggio, e svolgono un ruolo adattivo per la sopravvivenza della specie. Dal punto di vista neurobiologico, la capacità empatica è dovuta proprio a questi circuiti cerebrali dei neuroni specchio.
Tipi di empatia
Diversi autori spiegano che l’empatia non è un concetto “unitario”, piuttosto è un’abilità che diventa più sofisticata e complessa con il passare del tempo.
L’empatia può essere descritta con un modello a tre componenti seguendo il lavoro dello psicologo Hoffman. Questo modello distingue tre tipi di empatia, che sono l’affettiva, la cognitiva e la motivazionale. I tre si svilupperebbero gradualmente durante la crescita.
Empatia affettiva o emotiva: Si manifesta sin dai primi giorni di vita come pura affettività. È ciò che ci fa sentire le emozioni e sensazioni dell’altro. Secondo alcuni dati, questo tipo di empatia è più sviluppata nelle donne.
Empatia cognitiva: Va acquisendo importanza nel corso dello sviluppo, integrandosi con quella affettiva. Secondo la ricerca, questo tipo di empatia si può migliorare facilmente con la pratica. È una forma più evoluta di empatia, che ci permette di intuire quello che l’altro pensa e di comprendere a fondo il suo punto di vista e le sue esigenze. Tuttavia, non necessariamente implica il preoccuparsi per l’altro o il desiderio di fare qualcosa per l’altro. L’empatia cognitiva è il tipo di empatia tipica dei buoni oratori, dei mediatori, e anche dei venditori.
Empatia motivazionale o compassionevole: La componente motivazionale dell’empatia si manifesta quando il fatto di empatizzare con un altro essere umano ci induce a mettere in atto comportamenti prosociali di aiuto, mantenendo il distacco necessario perché l’aiuto sia efficace. Quando una persona empatica vede qualcuno soffrire, prova compassione, si preoccupa e sente il bisogno di aiutarlo. Aiutare l’altro genererà benessere in lei, mentre non farlo porterebbe a sentimenti di colpa. Questo tipo di empatia è definita anche preoccupazione empatica e rappresenta la forma più elevata di empatia. Questa funzione dell’empatia implica meccanismi cognitivi più complessi, che generalmente si acquisiscono intorno ai 13 anni.
Ognuno di noi ha una certa quota di questi tre tipi di empatia. Tuttavia, ci sono individui che hanno dei deficit di una delle tre. Per esempio, è stato osservato che i sociopatici, i torturatori, e alcuni politici hanno spesso un’empatia cognitiva molto sviluppata, ma mancano di empatia emotiva e di compassione. Al contrario, sembra che le persone autistiche abbiano molta empatia emotiva ma scarsa empatia cognitiva.
Alcuni autori fanno anche una distinzione tra empatia positiva e negativa. La prima è la capacità di condividere appieno la gioia di un'altra persona. La seconda è invece la non-capacità di condividere la gioia di un’altra persona, perché le proprie emozioni e i propri vissuti prevalgono al punto di non potere volgere l’attenzione allo stato emotivo dell’altro.
Benefici dell’empatia e impatto su diversi aspetti della vita
L’empatia è un’abilità umana fondamentale e una qualità straordinaria, che ha un impatto positivo su molti aspetti della vita.
Uno dei benefici più evidenti sul piano sociale è il miglioramento dei rapporti interpersonali.
Infatti, l’empatia rappresenta una risorsa preziosa per stringere e mantenere legami positivi con gli altri, rende le relazioni più profonde, sincere e appaganti, consente una comunicazione efficace e gratificante e permette di accedere alle emozioni altrui e rispondere a queste in modo appropriato.
In una scala più grande, l’empatia promuove un clima di comprensione e tolleranza nei diversi contesti socioculturali e religiosi, favorendo la convivenza pacifica e la coesione sociale e riducendo il pregiudizio, il bullismo e la discriminazione.
Inoltre, l’empatia può ispirare azioni altruistiche e contribuire attivamente al benessere della comunità. Non a caso, le persone empatiche sono più propense a impegnarsi in attività di volontariato, svolgere professioni di aiuto (come insegnanti, infermieri, medici e psicologi) e a sostenere cause benefiche.
In ambito lavorativo, l’empatia è una qualità fondamentale, soprattutto nei leader. Permette di creare un ambiente positivo e collaborativo e team di lavoro coesi, composti da persone che comprendono le esigenze dei loro colleghi. Questo risulta in un aumento della produttività, una comunicazione efficace, un maggiore coinvolgimento nei dipendenti e un alto grado di benessere dei lavoratori.
A livello personale individuale, l’empatia potenzia il benessere psicologico, mentale ed emotivo. Comprendere le emozioni degli altri, indirettamente, aumenta l’autoconsapevolezza del proprio mondo interiore. Altri effetti sono la riduzione dello stress, l’aumento dell’autostima, la gratitudine e un maggiore senso di soddisfazione nella vita.
Segnali e comportamenti che caratterizzano le persone empatiche
Le persone empatiche presentano determinate caratteristiche.
Sono brave a cogliere i minimi dettagli e a leggere gli indizi non verbali, come le espressioni facciali, i gesti e il tono di voce.
Sono abili in creare connessioni con gli altri e stabilire relazioni. Infatti, tendono ad avere una rete sociale di amici stretti. Comunicare è il loro forte, perché ascoltano veramente l’altro, colgono la sua prospettiva, trasmettono e captano le emozioni e dimostrano una connessione emotiva. Hanno un forte vocabolario emotivo e sono a loro agio quando si parla di emozioni.
Le persone empatiche vengono considerate dagli altri come persone molto buone, compassionevoli, generose e sempre disponibili. Vengono anche etichettate come eccessivamente sensibili. Piangono e ridono con estrema facilità ed empatizzano in modo potente anche con la scena di un film.
Sono persone particolarmente intuitive e perspicaci. A volte sembra abbiano un “sesto senso”, perché captano i sentimenti dell’altro anche senza scambio di parole. Inoltre, capiscono subito quando l’altro sta mentendo.
Apprezzano la solitudine e gli piace passare tempo con sé stessi.
In generale, sanno gestire bene le proprie emozioni e mantengono la calma in situazioni difficili, rimanendo nel momento presente.
Quando le persone empatiche hanno un momento di debolezza e non riescono a gestire la situazione, rischiano di assorbire l’energia altrui e percepire i problemi altrui come propri. Così, possono finire col sentirsi sopraffatte dalle emozioni degli altri. Quando accade, si sentono molto stanche, esauste, svuotate.
Bias cognitivi che ostacolano l’empatia
I bias cognitivi sono delle distorsioni nella percezione e nell'interpretazione della realtà. Ne esistono moltissimi tipi. Alcuni in particolare possono ostacolare l'empatia in modo significativo, creando barriere emotive e comportamentali tra le persone.
Il bias della deumanizzazione, che fa percepire gli altri come “meno umani”, riduce la capacità di provare empatia. Questo fenomeno si verifica soprattutto in situazioni di conflitto o discriminazione sociale, dove un gruppo viene deumanizzato e, in assenza di empatia, viene trattato con insensibilità e indifferenza.
Anche il bias della colpevolizzazione ostacola l’empatia. Si tratta di un fenomeno psicologico per cui si tende ad attribuire la responsabilità di un problema alla vittima stessa, ignorando il contesto e le circostanze esterne che hanno contribuito alla situazione. Questo bias, ostacolando l’empatia, porta a comportarsi con giudizio e indifferenza verso la vittima, piuttosto che con comprensione e supporto.
Il bias dell'effetto testimone è un altro bias cognitivo che può avere un impatto negativo sulla capacità di provare empatia. Consiste nella tendenza a diluire il senso di responsabilità personale in presenza di altre persone, assumendo che sarà qualcun altro ad agire. Di conseguenza, invece di agire con empatia motivazionale o compassionevole, c’è il rischio di non agire affatto in situazioni in cui si potrebbe fare la differenza e contribuire al benessere degli altri (per esempio, quando qualcuno è in pericolo e pensiamo “qualcuno lo aiuterà”).
Il bias di conferma rappresenta un'altra barriera all'empatia. È un meccanismo psicologico per cui tendiamo a ricercare e prestare attenzione solo alle informazioni che confermano le nostre convinzioni preesistenti, ignorando o minimizzando tutte le altre. In questo modo saremo incapaci di aprirci alle prospettive diverse dalle nostre e di entrare in empatia con gli altri.
Infine, il bias dell'etnocentrismo rappresenta un ostacolo significativo all'empatia. Questo bias ci porta a valutare le altre culture unicamente in base alle nostre credenze e ci rende ciechi di fronte alla ricchezza della diversità. Conseguenze di questo bias sono stereotipi, pregiudizi e discriminazione.
Questi bias possono comportare una limitata capacità di comprendere gli altri e di entrare in connessione empatica con loro. Riconoscere e andare oltre questi bias può essere il primo passo per sviluppare una maggiore empatia verso gli altri.
Come coltivare e sviluppare l'empatia
Per alcuni, l’empatia è innata. Tuttavia, l’empatia si può allenare.
È possibile sviluppare questa capacità attraverso la pratica e l’esercizio. Queste sono le tecniche principali per coltivare l’empatia:
Riconoscimento delle proprie emozioni: Conoscere e osservare le proprie emozioni e sviluppare un buon livello di auto-conoscenza è il primo passo per poter fare lo stesso negli altri. Lavorare sulle proprie emozioni e riuscire a gestirle è il secondo passo, per raggiungere uno stato di auto-regolazione emotiva, particolarmente importante di fronte alle emozioni altrui.
Ascolto attivo: Questa è una competenza che sembra banale ma non lo è. Ascoltare l’altro con apertura, rispetto e curiosità e senza giudicare è fondamentale. È necessario focalizzarsi su come si sente l’altro, per riuscire a riconoscere le sue emozioni.
Connessione con l’altro: Una volta praticati i primi due passi, è il momento di stabilire la connessione empatica. Inizialmente, occorrerà sforzarsi per immedesimarsi nell’altro, facendo attenzione a mantenere una separazione tra sé stesso e l’altro. Una volta sintonizzati con il vissuto dell’altro e interiorizzato il suo stato, sia a livello cognitivo (i pensieri), che emotivo (le emozioni), è il momento di aiutarlo, con comunicazione e azioni compassionevoli, che siano di supporto e non giudicanti.
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Bibliografia
Rizzolatti, G., & Sinigaglia, C. (2006). So quel che fai: Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Gallese, V., Migone, P., e Eagle, M. N. (2006). La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane.
Lipps, T. (2020). Scritti sull'empatia. Orthotes.
Vischer, F. T. (2011). Auch Einer (German Edition).
Goleman, D. (2011). Intelligenza Emotiva. Editore: Bur.
Hoffman, M.L. (2008). Empatia e sviluppo morale. Il Mulino
Morelli, U. (2020). *Empatie ritrovate: Entro il limite per un mondo nuovo Condividi*. San Paolo Edizioni.
Giusti, E., e Azzi, L. (2013). Neuroscienze per la psicoterapia. La clinica dell’integrazione trasformativa (Vol. 23), Sovera Edizioni.