Ecoansia o ansia climatica: di cosa si tratta?

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ecoansia


Cos’è l’ecoansia?

Ecoansia” o “eco-anxiety” è un neologismo che si riferisce all’ansia derivata dalla crisi ambientale in corso e dai cambiamenti climatici. Sebbene questo termine comprenda varie esperienze relative all’ansia ambientale, la forma prevalente di ecoansia è “ansia climatica” o “climate anxiety”, che può essere considerata un suo sinonimo.

Esistono diverse definizioni di ecoansia, tra cui “paura cronica della rovina ambientale” e “sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”.

Il concetto di ecoansia è sorto in seguito alla ricerca sugli impatti diretti e indiretti del cambiamento climatico sulla salute mentale e fisica, che è cresciuta moltissimo negli ultimi anni. È stato osservato come l'aumento delle calamità naturali, la deforestazione, l’innalzamento delle temperature, l'inquinamento globale, l’impoverimento della biodiversità, l’eliminazione di interi ecosistemi e specie vegetali e animali e altri fattori di deterioramento ambientale generino un senso di impotenza e persino disperazione in molti individui, che può sfociare in ansia, stress e depressione.

Molte persone, infatti, provano preoccupazioni e inquietudini costanti sulla salute del pianeta e sul futuro delle nuove generazioni. Secondo uno studio del 2011, i fattori decisivi per lo sviluppo dell’ecoansia sono la paura dell'incertezza futura, la sensazione di perdita di controllo e la disconnessione dalla natura. Infatti, l’ecoansia si presenta come una forma specifica di ansia relativa allo stress o al disagio causato dai cambiamenti ambientali, dalla scarsa conoscenza di essi e dal senso di colpa o impotenza per la mancanza di controllo sulle forze della natura.

Si può manifestare in una forma non clinica, come uno stress lieve, o in una forma patologica, nonché come un vero e proprio disturbo con sintomatologia ansiosa (attacchi di panico, insonnia, pensieri ossessivi, etc).

L’ecoansia è un fenomeno emergente che attira sempre più attenzione, man mano che cresce la consapevolezza pubblica sulla crisi climatica. Se da un lato la crescente presa di coscienza dei problemi ambientali globali è utile per diventare cittadini consapevoli e fare la propria parte per ridurre i danni all’ambiente, dall’altro lato l’eccessiva preoccupazione può diventare invalidante e sfociare in un disagio psicologico serio.

Non essendo un disturbo ufficialmente riconosciuto dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), non esistono dei criteri diagnostici precisi. In realtà, è stata sviluppata una scala di valutazione dell’ecoansia chiamata “Hogg Eco-Anxiety Scale” che può fungere come riferimento per la diagnosi, ma non è ancora stata validata in tutti i paesi.

Alcuni esperti sostengono che l’ecoansia non dovrebbe essere considerata come un disturbo d’ansia, ma come una reazione comprensibile alla gravità della crisi ecologica. Altri la considerano un'esperienza di ansia esistenziale in quanto sentirsi minacciati come specie, può portare a profonde crisi di identità e riguardo al significato della vita e dell’umanità.


Chi colpisce?

L’ecoansia colpisce soprattutto i giovani, in particolare tra i 15 e i 30 anni. È logico pensare che i più giovani, che vedono i “grandi” non comprendere appieno la situazione né agire, sono i più frustrati e impauriti.

Secondo uno studio condotto dall’APA (American Psychological Association), quasi la metà degli intervistati tra i 18 e i 34 anni dichiarava di provare preoccupazione e stress in relazione ai cambiamenti climatici e all’incertezza del futuro.

Da quanto emerso da un’intervista condotta su 10 mila giovani tra i 16 e i 25 anni provenienti da 10 paesi, la metà di loro si dichiara triste, incapace di gestire la rabbia, impotente e colpevole per la crisi climatica in atto.

Un altro studio, condotto su 800 giovani italiani, ha indicato risultati simili: il 51% di loro, dichiarava che il cambiamento climatico rappresenta la fonte primaria del loro disagio.

Insomma, le statistiche ci dicono che metà della popolazione giovane potrebbe soffrire di ecoansia. Questi dati epidemiologici possono spiegarsi con il fatto che i giovani saranno coloro che dovranno affrontare le conseguenze delle avversità climatiche nei prossimi decenni. È per questo che si tratta anche della fascia di popolazione maggiormente informata e dedita all’attivismo climatico e alle proteste sulla necessità di agire urgentemente.

Si stima che la prevalenza dell’ecoansia aumenterà nel tempo e che colpirà sempre più persone, anche in maniera diretta. Infatti, ci sono milioni di persone che vivono in condizioni di povertà o in circostanze precarie nel mondo, che rappresentano proprio i gruppi più esposti al rischio di subire sulla propria pelle i gravi effetti della crisi ambientale.


Tipi di ecoansia

Si distinguono 3 tipi di ecoansia o ansia climatica:

  • Ecoansia adattativa: è uno stress non patologico che può motivare l’attivismo climatico e fungere da impulso ad agire per affrontare le minacce del pianeta, per esempio decidendo di ridurre le proprie emissioni di carbonio.

  • Ecoansia disadattiva: è un’ansia patologica, che compromette la salute della persona, assumendo la forma di passività ansiosa e sensazione di impotenza, potendosi persino presentare come un vero e proprio disturbo d’ansia che merita attenzione clinica.

  • Ecoparalisi: quando l’angoscia per la salute dell’ambiente è eccessiva, può diventare paralizzante, con conseguente apatia, disinteresse, perdita di speranza e altri sintomi di tipo depressivo.


Ecoansia e solastagia

Esiste un termine che indica lo stato di angoscia provocato dalle conseguenze dei cambiamenti ambientali, introdotto nel 2005 dal filosofo ambientale australiano Glenn Albrecht: la solastalgia. Egli coniò il termine per descrivere la nostalgia che si può provare se i dintorni della propria casa vengono danneggiati o distrutti, cosa che accadde a molti australiani durante il boom dell’estrazione del carbone.

La solastagia è profondamente connessa all’ecoansia e si considera un suo sintomo.

Come Albrecht stesso la definisce, “la solastalgia è il dolore o la malattia causati dalla perdita o mancanza di conforto e dal senso di isolamento connesso allo stato attuale della propria casa e del proprio territorio.”


Quali sono i sintomi dell’ecoansia?

I sintomi dell’ecoansia variano molto da persona a persona. Possono essere sia a breve termine che cronici e la loro intensità può fluttuare nel tempo,

Tra i sintomi più frequenti vi sono l’ansia persistente e la solastagia. Altri sintomi sono la tristezza eccessiva, l’alienazione, l’irritabilità, l’aggressività e i disturbi del sonno e dell’appetito.

Nei casi più gravi, possono anche esserci attacchi di panico, paura estrema di morire, ideazioni suicidarie, abuso di sostanze e depressione reattiva. Insomma, l’ecoansia può sfociare in una psicopatologia ansiosa o depressiva conclamata.


Conseguenze

L’ecoansia, per via dello stato di preoccupazione costante e stress cronico che genera, può avere un impatto significativo sulle attività della vita quotidiana. Potrebbe persino sfociare in isolamento sociale, problemi lavorativi, difficoltà relazionali o in un disturbo dell’umore o d’ansia conclamato.

Una conseguenza che colpisce i giovani è di smettere di desiderare di avere figli, considerando che la loro futura qualità della vita sarebbe pessima.

D’altra parte, in caso di ecoansia adattativa, la preoccupazione può fungere come una molla per l’azione e fomentare l’impegno per un futuro migliore.


Cause e fattori di rischio

A causare l’ecoansia sono una serie di fattori connessi tra loro, principalmente gli eventi estremi dovuti ai cambiamenti climatici, le conseguenze sul territorio (come la siccità prolungata, la desertificazione e la perdita di biodiversità) e le conseguenze sociali (come l’insicurezza alimentare e idrica). Questi fattori possono essere più o meno d’impatto a seconda della persona, che può essere più o meno sensibile alle tematiche e più o meno suscettibile all’ecoansia.

Si considerano più vulnerabili le persone di giovane età, l’esposizione elevata a problemi ambientali e l’elevata esposizione a notizie sulla crisi ecologica.

Inoltre, sembra che le donne siano maggiormente sensibili a tali emozioni rispetto agli uomini, soprattutto riguardo all’inquietudine per i figli e alla volontà di non averne.

Essere un professionista della sostenibilità o un attivista ambientale è un altro fattore di rischio che predispone allo sviluppo dell’ecoansia, anche se pare che molti di essi abbiano a disposizione delle risorse che aumentano la resilienza, come il senso di efficacia e la possibilità d’intervento.


Come gestire l’eco-ansia?

Per affrontare l'ecoansia è necessario un approccio multidisciplinare. Ecco i consigli degli esperti su cosa fare per gestirla:

  • Partecipare ad iniziative ecologiche e adottare comportamenti sostenibili mettendo in pratica piccole ma importanti azioni quotidiane a favore dell’ambiente, come ridurre o eliminare l’uso di plastica e limitare le emissioni di carbonio.

  • Limitare l’esposizione mediatica “bombardante” decidendo di informarsi in determinati momenti della giornata e solo con fonti affidabili, evitando estremismi, complottismo e negazionismo.

  • Organizzare gruppi di supporto per divulgare informazioni, parlare delle attività in cui impegnarsi e, soprattutto, condividere le proprie preoccupazioni.

  • Ricercare il contatto con la natura il più possibile (passeggiate in natura, giardinaggio, forest bathing), fattore che è stato valutato dagli psicologi come cruciale per restaurare il benessere psicologico in caso di ecoansia.

  • Praticare mindfulness e altre tecniche per rimanere nel momento presente e imparare a non rimuginare eccessivamente su preoccupazioni future.

  • Rivolgersi a un professionista, possibilmente prima che l’ecoansia diventi paralizzante e abbia un impatto negativo sulla qualità della vita. Uno psicologo può aiutare ad accrescere le proprie risorse per gestire lo stress e guidare in percorsi di mindfulness, espressione creativa e tecniche di rilassamento. Secondo gli studi, un intervento psicologico efficace dovrebbe non solo lavorare sull’ansia e sulla regolazione emotiva, ma anche creare connessioni con la natura e con gruppi di supporto. Questo favorirebbe uno spostamento di potere dalla centralità e individualità umana verso una distribuzione equilibrata del potere e dell'attenzione tra individuo, comunità e mondo naturale.

È importante ricordare che l’ecoansia non è sempre un problema da risolvere. Infatti, quando non è grave, è una risorsa per creare consapevolezza del nostro impatto sul mondo e spingerci ad agire in maniera congrua.

Le emozioni hanno uno scopo adattativo: la paura ci mette in guardia dai pericoli, il senso di colpa ci fa impegnare a riparare i danni e la rabbia ci dà energia per apportare cambiamenti.

Se è possibile gestire in un modo efficace e costruttivo le emozioni che si celano dietro l’ecoansia, allora si potrà ridirezionarle verso l’azione concreta e la promozione di un rapporto più sano e rispettoso con il pianeta.


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